Ballata dell’odio e dell’amore

Ballata dell’odio e dell’amore

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Opera confusionaria ma deflagrante nella sua sincerità popolare e viscerale, Ballata dell’odio e dell’amore permette di ritrovare Álex de la Iglesia, cineasta indecifrabile e altalenante, in grado in quest’occasione di offrire il meglio di sé. In concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2010, dove la giuria presieduta da Quentin Tarantino gli ha assegnato il Leone d’Argento e il premio per la sceneggiatura.

Pagliacci

1937. Le scimmie del circo urlano selvaggiamente nella loro gabbia mentre, fuori, gli uomini uccidono e muoiono in un altro circo: la guerra civile spagnola. Il Pagliaccio Triste, arruolato contro il suo volere dalla Milizia, finisce per commettere con un machete un massacro di soldati nazionalisti mentre ha ancora indosso il suo costume. E così inizia questa movimentata avventura in cui Javier e Sergio, due pagliacci orrendamente sfigurati, combattono all’ultimo sangue per l’amore ambiguo di un’acrobata durante il regime di Franco… [sinossi]
Balada triste de trompeta
por un pasado que murio
y que llora
y que gime
Raphael, Balada de la trompeta
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Per quanto riguarda il cinema spagnolo, ragionare sulla propria memoria storica mescolandola alle viscere stesse del cinema popolare non rappresenta di certo una novità così eclatante: in questo senso gli anni della transizione, che accompagnarono il lento spegnersi di Francisco Franco fino alla rinascita democratica della nazione dopo quasi quarant’anni di dittatura fascista, si segnalano come una vera e propria fucina di talenti, da Victor Erice a Narciso Ibáñez Serrador, passando per Carlos Saura fino a giungere ai primi irriverenti vagiti di Pedro Almodóvar.
La linea tracciata, pur con i dovuti deragliamenti, è stata ricalcata decine di volte nel corso degli ultimi decenni: inevitabile, dunque, rintracciarne le ombre anche nell’opera di Álex de la Iglesia, seppur in maniera (finora) sempre piuttosto velata o allusiva. Fin dall’esordio alla regia con il cortometraggio Mirindas asesinas, divertito omaggio al pulp riletto in una chiave parodistica e ghignante, il cineasta spagnolo ha disseminato le sue opere di accenni alla società spagnola, tanto nello strampalato e inafferrabile esordio Azione mutante (1993) quanto nella delirante commedia orrorifica El día de la Bestia (1995), per arrivare a incursioni nel ventre malato della borghesia quali La comunidad (2000) e Crimen perfecto (2004). Eppure mai, neanche nelle operazioni più apertamente anarcoidi, de la Iglesia aveva avuto l’ardire di puntare così in alto. Balada triste de trompeta (Ballata dell’odio e dell’amore), il film con cui il regista di Muertos de risa fa il proprio esordio ufficiale nella massima competizione veneziana, è infatti una creatura magmatica, gloriosa e imperfetta allo stesso tempo, che cerca di racchiudere in un folle triangolo amoroso il senso estremo di una nazione dissanguata dall’interno, vampirizzata da una dittatura oramai affondata nella decadenza e a pochi passi dalla definitiva scomparsa. Per riuscire nel proprio intento, de la Iglesia non usa mezzi termini, ma lavora piuttosto per accumulo di materiali: se questa pratica può apparire a prima vista come un grave difetto, è doveroso far notare come nelle mani di de la Iglesia si trasforma in un effetto domino devastante e di fronte al quale risulta inutile opporre resistenza.

Ballata dell’odio e dell’amore inizia come un melodramma vecchio stile, ricco di ammiccamenti al bizzarro racchiusi nell’ambientazione circense. Poco per volta, però, ci si rende conto di come non sia questa la chiave di lettura ideale per comprendere il senso della pellicola: la stessa cornice storica, tra l’altro, svolge il proprio ruolo senza prendere mai il sopravvento sulla narrazione. Quest’ultima, al contrario, diventa ben presto l’arma schizofrenica in mano al quarantacinquenne regista per minare la prassi cinematografica: Ballata dell’odio e dell’amore diventa dunque di volta in volta commedia grottesca, melodramma, horror, crime movie, e chi più ne ha più ne metta. Puntando al cattivo gusto tenendo pigiato il pedale dell’acceleratore, de la Iglesia si conferma regista anarchico e volubile. Non tutto fila liscio nel corso del film, ma anche gli errori più macroscopici (e ce ne sono) finiscono per essere fagocitati dalla pantagruelica fame di cinema messa in mostra senza reticenze dal proprio autore. Amori, ammazzamenti, combattimenti all’ultimo sangue, risate, lacrime: tutti gli umori vengono portati all’eccesso, trascinati all’estremo delle loro possibilità. In questo modo de la Iglesia compie un’operazione sanamente anarchica, veracemente anti-borghese, che coinvolge e diverte. E, nel marasma che viene a crearsi, capita di assistere anche ad alcune sequenze così ispirate da incollarsi agli occhi dello spettatore: su tutte, vale la pena citare quantomeno la caccia in cui Javier, oramai impazzito, viene utilizzato come cane da riporto (e che si conclude con un geniale morso alla mano “amorevole” di Franco), il combattimento finale in cima alla croce e Javier, armato fino ai denti, che in un cinema si trova a tu per tu con il volto (su grande schermo) di Raphael che intona la canzone ispiratrice del film.
Opera confusionaria ma deflagrante nella sua sincerità popolare e viscerale, Ballata dell’odio e dell’amore permette di ritrovare un cineasta indecifrabile e altalenante, in grado in quest’occasione di offrire il meglio di sé.

Info
Il trailer italiano di Ballata dell’odio e dell’amore.
Ballata dell’odio e dell’amore sul canale Film su YouTube.
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