Jackass 3D

Jackass 3D

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Nella sua becera e volgare postura Jackass 3D non è altro che la messa in mostra più palese di una società dello spettacolo che sta assaporando l’ebbrezza del potere assoluto, e ne sperpera il potenziale nei modi più disparati.

Non (ri)fatelo a casa!

Johnny Knoxville e i suoi compagni stuntman sono tornati. Questa volta in 3D. Tra prodezze, scherzi e parodie i membri del cast si faranno perfino sparare in aria da un potente motore a propulsione. [sinossi]

La “cattiva maestra televisione” di cui parlava Karl Popper in uno dei suoi ultimi saggi nel 1994, teorizzando la necessità di una patente da assegnare a chi si occupa della programmazione sul piccolo schermo, sta prendendo anno dopo anno sempre più piede all’interno dei meccanismi (solo apparentemente) oliati della società occidentale. Tra gli innumerevoli esempi che si potrebbero portare a riprova di quanto appena affermato rifulge di luce propria – si fa per dire – un’opera come Jackass 3D, terzo appuntamento cinematografico con le iperboliche disavventure di un manipolo di stuntman completamente fuori di testa. Il marchio di MTV che campeggia sui titoli di testa serve a circoscrivere senza possibilità di errore il campo in cui continua tutt’oggi a muoversi questa inqualificabile macchina arraffa-soldi (nel primo week-end di uscita negli Stati Uniti ha raggranellato la considerevole somma di cinquanta milioni di dollari), sorta di versione rozza e spudoratamente yankee del folle programma televisivo nipponico Za Gaman, che fece la fortuna del nostrano Mai dire Banzai. Al di là dell’ambizione cinematografica, che sfrutta opportunamente lo specchietto per allodole della stereoscopia (la tecnica tridimensionale è praticamente inutile in un film di questo tipo, che può essere facilmente preso come simbolo della degenerazione verso cui sta protendendosi il 3D, sempre più abusato nella produzione statunitense), è la strutturazione stessa di Jackass 3D a pretendere un’estetica prettamente televisiva. Lo avevano dimostrato dopotutto già i primi due capitoli di questa perdibile saga, e la terza stanca copia carbone del prototipo non poteva che confermare i dubbi che da sempre si accompagnano alle gesta di Johnny Knoxville e compagnia “cascante”: la sequela di masochistiche efferatezze cui vanno incontro gli stuntman più famosi d’America – e del mondo – si montano in sequenza con la stessa metronomica nettezza di uno show televisivo.

Non esiste logica, non si segue alcun fil rouge, non si ha a che fare con nessun percorso nascosto: gli sketch si susseguono senza sosta, per un’ora e mezza, inanellando qua e là qualche miserando refrain e procedendo esclusivamente per un accumulo di materiali visivi, quasi sempre disturbanti, che dovrebbero garantire una sorta di effetto valanga per lo spettatore. È indubbio in effetti che per i deboli di stomaco e gli amanti del buon gusto ci sia di che temere un vero e proprio collasso: bunjee jumping praticati in gabinetti pubblici intasati di feci, uomini che usano il proprio pene come mazza da baseball (contro palline da ping pong), persone che si spalmano le une contro le altre una super-colla, petomani che sfruttano il meteorismo per suonare la tromba o lanciare freccette, queste sono solo alcune delle bizzarrie che si possono incrociare nel film di Jeff Tremaine. Insomma, una vera e propria deflagrazione scatologica, in cui le deiezioni acquistano un valore di primaria importanza: gli escrementi possono trasformarsi in una becera e del tutto gratuita rappresentazione “vulcanica”, tanto per dirne una. Nell’assistere alle disastrose – e spesso e volentieri pericolose – sfide in cui si lanciano i vari Knoxville, Steve-O, Bam Margera e Wee Man, tutti volti oramai venerati dal pubblico televisivo medio, per lo meno quello a stelle e strisce, si dovrebbe scaturire in un’irrefrenabile risata: ma, al di là della meccanica reazione che si potrebbe verificare anche di fronte ai più retrivi repertori di Paperissima davvero non si riesce a capire cosa ci sia da sollazzarsi.

Nella sua becera e volgare postura Jackass 3D non è altro che la messa in mostra più palese di una società dello spettacolo che sta assaporando l’ebbrezza del potere assoluto, e ne sperpera il potenziale nei modi più disparati. Un miserabile e sciatto inno alla visione del “proibito”, messo in mostra con sguardo così qualunquista ed esibizionista da apparire perfino reazionario, nonché completamente vuoto di significato, anche il più basilare. E quanto è infine ipocrita quella scritta su sfondo nero che apre e chiude il film, e in cui si mette all’erta il pubblico: non rifate a casa ciò che state per vedere o avete appena visto, perché rischiate di farvi male. Ancor più male di un’ora e mezza passata a lobotomizzarsi il cervello di fronte alle insulse bravate di un gruppo di stuntman?

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