Lili Marleen

Incastonato in una comoda e accurata confezione sia dal punto di vista grafico che contenutistico, il dvd Lili Marleen è un prodotto che sazia la curiosità e insieme stimola a riflessioni grazie all’unione dvd + rivista (in formato booklet).

Che uomo era [Fassbinder]?
Non so più rispondere a questa domanda.
Si può sentire l’uomo da quello che è stata la sua opera.
Se uno capisce la grande varietà di materiale che ci ha lasciato
si accorge di quante cose era tutte insieme,
di quanti uomini in uno lui fosse.
Hanna Schygulla

Dopo la brillante e fine proposta de L’imperatore del Nord di Robert Aldrich, il connubio Koch Media/Filmaker’s Magazine offre al grande pubblico un’altra opera cinematografica da vedere e rivedere, leggere e collezionare: incastonato in una comoda e accurata confezione sia dal punto di vista grafico che contenutistico, il dvd Lili Marleen è un prodotto che sazia la curiosità e insieme stimola a riflessioni grazie all’unione dvd + rivista (in formato booklet).
Innanzitutto, il film. Si tratta di uno degli ultimi lavori di Rainer Werner Fassbinder, prodotto nel 1980 e presentato l’anno successivo, anno in cui il prolifico cineasta, morto a 37 anni nel 1982 con quaranta film e altrettante opere teatrali alle spalle, aveva fornito alla televisione tedesca l’ottimo Berlin Alexanderplatz. In base al successo di pubblico ottenuto con questa incursione nel piccolo schermo, e reduce dal Matrimonio di Maria Braun, film che repentinamente scaglia il binomio Fassbinder-Schygulla [1] nell’olimpo degli artisti che faranno risorgere il cinema tedesco, a Fassbinder viene data l’opportunità di continuare la sua rassegna storica sulle radici della sua heimat [2]. Il cineasta coglie l’occasione per montare a neve i suoi temi, e per affondare ancora di più gli artigli nel ventre molle della fondazione della Germania post-hitleriana. Lili Marleen è un melodramma, una storia d’amore impossibile: una cantante tedesca ha una relazione con un pianista ebreo, e con il passare degli anni lei – Hanna Schygulla/Willy – diventa “la” cantante del regime, mentre lui –Giancarlo Giannini/Robert – continua a essere quello che era, ovvero uno dei tanti che si oppone al regime. Sotto traccia al melò apparentemente scontato lavora il genio e la sregolatezza di Fassbinder, che non dimentica di pungolare neanche per un secondo lo spettatore: in una scena del film Willy (Schygulla) non riesce a farsi una ragione del fatto che sia diventata la cantante simbolo del III Reich, e singhiozzando esclama “Ma io canto una canzone, è solo una canzone…”. La Schygulla interpreta ciò contro cui Fassbinder lotta lungo il corso della sua breve esistenza: l’idea del disimpegno, della possibilità dell’arte staccata dal contesto, la negazione della possibile “non-scelta” di fronte allo stato totale o alla repressione. Persino con i personaggi secondari di questo film, marionette senza un briciolo di personalità, piatti e ostili, inutilmente rigidi, l’autore ci suggerisce di guardare oltre, di non farsi ingannare dagli specchi e dai riflessi, dai vetri antichi di cui colma le sequenze del film: sono marionette, e Fassbinder suggerisce in mille modi di guardare i fili e il burattinaio, perché tutto sommato la storia d’amore è quello che è, forse è proprio come Romeo e Giulietta… Fa di tutto per straniare e colpire l’immaginario dello spettatore, utilizza la macchina da presa come fosse una spia, un altro personaggio, che mostra e dimostra con carrellate inverse ai movimenti dell’azione degli attori, piani sequenza spregiudicati, e una luce caldissima, a volte caravaggesca e oscena, che strania e inquieta [3]. E tanti sono gli spunti offerti da questo film che all’epoca non suscitò entusiasmi, forse perché troppo a fondo voleva scandagliare Fassbinder, troppo poco sociologicamente, mai schematicamente, sulle relazioni tra essere umano e stato, e tra esseri umani.

Da gustare assieme al film è la rivista/booklet Filmaker’s Magazine, dal titolo assai accattivante: Dormirò quando sarò morto: Fassbinder, Lili Marleen e il totalitarismo nel cinema. Si tratta di un numero monografico della rivista che, sebbene lasci a volte sorpresi per la stringatezza di alcuni contributi su temi quanto mai corposi e forieri di discussione e analisi, non delude affatto quanto allo spazio e al livello degli articoli dedicato a Rainer Werner Fassbinder: ottimo Serafino Murri nel breve Rainer Werner Fassbinder: dormirò quando sarò morto, rassegna di presentazione della parabola artistica dell’autore, così come ottimamente delucida e commuove As Chianese in Ogni uomo uccide ciò che ama: Querelle de Brest, e chiude esaustivamente Giancarlo Simone Destrero in Rainer, l’antiborghese. Forse gli autori della rivista tentano di rispettare il pensiero fassbinderiano: «In ultima analisi, quello che conta è l’intero corpo dell’opera che ci si lascia dietro quando si scompare. È la totalità dell’oeuvre che deve dire qualcosa di speciale riguardo al tempo in cui è stata realizzata. Altrimenti è inutile».

Note
1. Hanna Schygulla è l’attrice che diventa luogo del cinema fassbinderiano: lo accompagna dai tempi dell’antiteater, collettivo teatrale fondato nel post-68 monacense in seguito allo scioglimento da parte delle forze dell’ordine dell’Action theater. La Schygulla lo seguirà nella maggior parte dei lavori cinematografici, e assieme a Margit Carstensen e a sua madre – Lilo Pempeit – rappresenta nella produzione fassbinderiana un sottoprogetto che potremmo chiamare “la donna in Germania”.
2. «Dopo la grande messa in scena di Berlin Alexanderplatz Fassbinder torna al cinema con una raffica di tre film in poco più di un anno. “Fassbinder has made a lot of movies, now he makes a lot of moneys” proclamava Variety del 2 maggio 1979 dopo il successo di Il matrimonio di Maria Braun. E il tandem Fassbinder-Schygulla diventa l’asso nella manica di produttori e distributori. Tra questi c’è Luggi Waldleitner, uno dei cavalli vincenti del cinema di intrattenimento popolare dell’era Adenauer. Nel quadro di una coproduzione con l’Italia e con gli Usa, offre al regista la sceneggiatura di un film tratto dalle memorie di Lale Andersen, la cantante della famosa canzone Lili Marleen. Dalle interviste si capirà poi che l’atteggiamento di Fassbinder di fronte all’occasione è stato quello un po’ cinico del “perché no?” piuttosto che quello di una meditata scelta. Così lo sventurato progetto, protagonisti la Schygulla e Giancarlo Giannini, viene messo in cantiere e realizzato.» Così duramente Davide Ferrario nel monografico del Castoro dedicato all’artista bavarese chiosa l’avventura produttiva di Lili Marleen, a mo’ di manzoniano “e la sventurata rispose”: veramente un giudizio che non ci sentiamo di condividere, visto l’esito e la natura della pellicola – tutt’altro che priva di impegno,o intrisa di commercialità.
3. La splendida illuminazione e la fotografia di Lili Marleen, così come di Berlin Alexanderplatz e degli ultimi film di Fassbinder si devono a Xavier Schwarzenberger, che proprio con questo film inaugura il sodalizio con il cineasta tedesco.
Info
Lili Marleen – FilmaKer’s Edition su Dvd-Store.
Il trailer di Lili Marleen.
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