Far East 2011 – Bilancio

Far East 2011 – Bilancio

Il Far East 2011, tredicesima edizione del festival udinese dedicato al cinema dell’Estremo Oriente, ha confermato la sua crescita esponenziale, sia a livello cittadino che nazionale. A trionfare è stata la Cina, con l’acclamazione popolare di Aftershock di Feng Xiaogang e Under the Hawthorn Tree di Zhang Yimou.

La Cina in trionfo: questa è l’immagine conclusiva della tredicesima edizione del Far East Film Festival di Udine, il più importante evento europeo dedicato alla produzione popolare del sud-est asiatico. Ad attirare le simpatie del pubblico friulano sono stati due melodrammi provenienti dalla Repubblica Popolare, vale a dire Under the Hawthorn Tree di Zhang Yimou e Aftershock di Feng Xiaogang, rispettivamente secondo e primo classificato al termine della kermesse. Pur non condividendo l’entusiasmo nei confronti di questi due film, a loro modo entrambi ricattatori e (inevitabilmente?) succubi del sistema politico di Pechino, è indiscutibile la presa emotiva che le opere di Zhang e Feng sono state in grado di esercitare sul pubblico che come ogni anno ha gremito il Teatro Nuovo Giovanni da Udine in ogni ordine di posti.

Grande era la pressione sul Far East, perché è negli anni di crisi (economica, culturale, sociale) che si riesce davvero a scorgere l’identità peculiare di una manifestazione di questo tipo: è per questo che non si può che applaudire per l’ennesima volta la gestione, sana e intelligente, di una delle più oliate macchine festivaliere italiane. Una riflessione, questa, che va ben oltre la mera qualità dei singoli film: perché è innegabile che molti dei grandi autori che un tempo affollavano le giornate del Far Eas ora latitino, preferendo schermi più prestigiosi (Cannes e Venezia hanno progressivamente accolto molti degli eroi dal FEFF, da Takashi Miike a Johnnie To, fino a Park Chan-wook), e tornando di quando in quando in Friuli proprio per la riconoscenza mostrata verso il festival, come hanno dimostrato il bell’esperimento in I-Phone Night Fishing di Park e la stanca commedia amorosa Don’t Go Breaking My Heart di To. Nonostante questo il Far East non si è certo perso d’animo, perseverando nella ricerca di nuovi registi da proporre al mondo dei cinefili e degli appassionati cultori delle culture dell’estremo oriente: in tal senso davvero rassicuranti sono apparse le visioni dello spassoso Cannonball Wedlock, diretto dal giovane Koji Maeda, e del raffinato e coinvolgente The Drunkard, opera prima del critico cinematografico Freddie Wong. Proprio da Giappone e Hong Kong sono arrivate molte delle visioni più interessanti del festival: l’arcipelago del Sol Levante, verso il quale il festival si è mobilitato per aiutare la ricostruzione dopo il disastroso terremoto che ha colpito il paese lo scorso marzo, oltre al film di Maeda è stata rappresentata – tra gli altri – dall’ottimo Confessions di Tetsuya Nakashima, dall’originale rilettura del pinku eiga Underwater Love di Shinji Imaoka, dall’irriverente e dinamitardo Yakuza Weapon di Yudai Yamaguchi e Tak Sakaguchi, e dal dramma intimista Wandering Home di Yoichi Higashi, con un monumentale Tadanobu Asano.

Dal canto suo l’ex colonia britannica sembra ritrovato almeno in parte la verve che la rese simbolo dell’intera Asia (dopotutto lo stesso Far East nacque nel 1998 come Hong Kong Film Festival): se il film di Freddie Wong avrebbe meritato con ogni probabilità la vittoria finale, The Stool Pigeon di Dante Lam si è distinto come uno dei titoli più adrenalinici dell’intera rassegna. Dopo aver per anni dominato in lungo e in largo il territorio del noir e del melodramma, la cinematografia coreana ha quest’anno dato il meglio di sé nella commedia con My Dear Desperado di Kim Kwang-sik e Cyrano Agency di Kim Hyun-seok, oltre al fantasy in odore di Shyamalan Haunters. Già si è detto dei film vincitori, ma all’interno di una selezione cinese non certo indimenticabile spiccava The Piano in a Factory di Zhang Meng (già autore del bel Lucky Dog), innervato da toni surreali che rimandano ad Aki Kaurismäki ed Emir Kusturica. Con Cina, Corea del Sud, Hong Kong e Giappone a monopolizzare completamente il festival (su cinquanta titoli in concorso ben trentasette provenivano da questi quattro paesi), è rimasto ben poco spazio per le altre cinematografie: a parte l’esordio assoluto della Mongolia (con il divertente Operation Tatar di Baatar Bat-Ulzii), sono da segnalare la scatenata “rock-comedy” filippina Rackenrol di Quark Henares, e un nugolo di opere interessanti ma incapaci di convincere fino in fondo.

Se la selezione non è riuscita sempre a soddisfare le aspettative, ben altro discorso è valido per le retrospettive, la prima dedicata alla commedia pan-asiatica e la seconda al lavoro di Daisuke Asakura come produttrice di Pink Movie: tra un Koji Wakamatsu d’annata (Lead Tombstone) e la spericolata fusione di generi di Pedicab Driver di Sammo Hung, c’è stata l’occasione per confrontarsi con il genio di Michael Hui, maestro assoluto della commedia di Hong Kong, del quale sono stati proiettati tra gli altri i due capolavori The Private Eyes e Chicken and Duck Talk (quest’ultimo diretto da Clifton Ko). Insomma, le corna lanciate come amuleto contro la cattiva sorte sembrano aver funzionato a dovere, perché nonostante tutti i problemi che affliggono chiunque tenti di promuovere la cultura nel nostro Paese, Udine continua a rimanere una meta fondamentale per chi è interessato ad allargare i propri orizzonti, aprendo le porte all’estremo oriente. Con la speranza che l’ottimo lavoro svolto dalla direzione del festival sia una volta per tutte riconosciuto, senza indugi o tentennamenti di sorta.

Info
Il sito ufficiale del Far East 2011.

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