The Viral Factor

The Viral Factor

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Dante Lam sa senza dubbio come mettere in scena un action, e The Viral Factor non fa che confermarlo. Peccato però che stavolta il lavoro appaia più stanco del solito, e poco appassionante.

Bello senz’anima

Una missione per scortare un testimone dalla Giordania all’Olanda lascia l’agente dell’International Security Affairs Jon gravemente menomato: una pallottola è rimasta bloccata nel suo cervello, la sua fidanzata e collega Rita è morta e l’agente traditore Sean ha portato via il testimone. Jon medita di dimettersi ma scopre che il padre e il fratello sono ancora vivi. L’uomo si mette sulle loro tracce e scopre che il fratello lavora come mercenario per Sean, il quale vuole costringere la scienziata Rachel a sintetizzare un virus mutante in grado di infettare l’umanità. [sinossi]

La quattordicesima edizione del Far East Film Festival chiude all’insegna del cinema balistico e testosteroideo di Dante Lam, che tuttavia, con The Viral Factor, compie un passo all’indietro rispetto alle opere migliori della sua filmografia. Che il regista sappia come muovere la macchina da presa era cosa già ampiamente dimostrata nei suoi film precedenti (The Beast Stalker, Fire of Conscience, The Sniper, The Stool Pigeon), action adrenalinici caratterizzati da una cifra stilistica personale in cui si mescolano bene il tradizionale poliziesco di Hong Kong, sia nelle ricorrenze tematiche che nella rappresentazione formale, e lo spettacolo pirotecnico delle più costose produzioni americane. Niente da eccepire da questo punto di vista. Lo spettatore in cerca di emozioni forti all’insegna di roboanti esplosioni e dinamiche acrobazie, non resterà infatti insoddisfatto. Neppure la mancanza di aderenza alla realtà è necessariamente da considerarsi “peccato mortale” in un genere che ci ha spesso abituati a performance eroiche al limite del superomismo consumate tra voli, esplosioni e ferite mai mortali. L’inverosimile anzi, laddove accompagnato dalla giusta dose di ironia, è in grado di aggiungere divertimento all’azione, anche se non è mai stato questo il registro in cui si muove Lam. Le cadute dai piani alti e un numero esagerato di pallottole sparate senza mai arrecare conseguenze troppo invalidanti, finiscono quindi per apparire nel contesto un eccesso ingiustificato. Ma il vero problema del film risiede piuttosto nella mancanza di spessore dei personaggi in una storia che si sviluppa in maniera troppo meccanica e priva di pathos. Tutti gli elementi forti del racconto vantano un precedente illustre; la pallottola conficcata nel cervello (Bullet in the Head, Loving You a firma di John Woo e Johnnie To), la contrapposizione di due fratelli ai lati opposti della legge (A Better Tomorrow di John Woo), così come i temi rappresentati sono tra i più ricorrenti nel cinema noir hongkonghese: famiglia, colpa, rimpianto, redenzione, vendetta, contrapposizione bene/male. Eppure Lam non è stato in grado in questo film di conferire la giusta dimensione ai suoi protagonisti che sembrano venir abbozzati e liquidati con mano frettolosa e poco sentimento.

Non aiuta nell’impresa l’interpretazione spenta di Jay Chou nei panni di Jon, fratello buono e inespressivo, mentre risulta molto più convincente  l’immancabile Nicholas Tse, nell’interpretazione di Yeung, ragazzo sensibile passato al lato oscuro in seguito alle dure prove cui lo ha sottoposto la vita. Rispetto ad altre prove più riuscite, in quest’opera Dante Lam sembra preoccuparsi solo di dimostrare di saper gestire un budget stellare, concentrando tutti i suoi sforzi nella realizzazione di sequenze spettacolari come quella dell’attentato in Giordania a base di lanciarazzi, granate e scontri a fuoco, perfettamente riuscite in termini tecnici ma ovviamente insufficienti a conferire la giusta profondità alla storia.

Info
Il trailer di The Viral Factor.

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