It’s Me, It’s Me

It’s Me, It’s Me

di

Basato su un’idea folle quanto geniale, It’s Me, It’s Me di Satoshi Miki, dopo un inizio folgorante, finisce presto per sgonfiarsi e per riproporre delle situazioni sempre simili in modo quasi ciclico. Al Far East 2013.

Mi sdoppio in trentatré

Mai e poi mai Hitoshi avrebbe potuto immaginare cosa gli sarebbe successo in seguito a una piccola truffa. Spunteranno infatti due copie di se stesso, una seria e una più buffa. Dopo il terrore iniziale il ragazzo comincia a sfruttare le circostanze, ma la situazione degenera, i duplicati cominciano a moltiplicarsi e i contorni della realtà a sfumare… [sinossi]

“Attenzione, non favorire la proliferazione”, ammoniscono i cartelli disseminati per l’intera città in questo nuovo film di Satoshi Miki: sotto la scritta campeggia la silhouette di un muride. Gli uomini come i topi, dunque, per lo stralunato cineasta nipponico, che con It’s Me, It’s Me torna al Far East Film Festival di Udine dopo aver spiazzato gli spettatori friulani nel 2008 con l’ottimo Adrift in Tokyo e lo schizoide Deathfix: Die and Let Live e l’anno seguente con il surreale (ma nel complesso meno riuscito) Instant Swamp. E proprio Instant Swamp era fino a oggi l’ultima incursione dietro la macchina da presa di questo cinquantaduenne nativo di Yokohama dedito a una rilettura mai prona o prevedibile della realtà.

Anche It’s Me, It’s Me, al di là della trama, è disseminato di piccole e grandi eversioni dalla norma: si prenda l’ambiente di lavoro del giovane Hitoshi, commesso in un grande magazzino specializzato in elettronica e tecnologia digitale, con il campionario di bizzarrie dei suoi colleghi, i rituali incomprensibili, i dialoghi ai limiti del nonsense puro. Il Giappone tratteggiato da Miki nei suoi lungometraggi è quasi un non-luogo, universo a sé stante in cui non vigono le regole basilari del vivere comune: una “Me Island”, come la rinominano Hitoshi e i suoi due doppioni (Daiki e Nao) protagonisti dell’incredibile vicenda narrata nel film. Già, perché Hitoshi, dopo aver sottratto in un fast food il cellulare a un altro ragazzo e aver truffato la madre di quest’ultimo facendosi versare sul conto corrente 900,000 yen, si ritrova di fronte a una realtà difficile da comprendere: Daiki, il proprietario del telefonino, è una sua perfetta copia carbone. Al duo si aggiunge l’ingenuo e infantile Nao, e dopo un’iniziale titubanza il trio decide di passare il tempo insieme, capendo di essere parti di un unico organismo pulsante.

Hitoshi è dunque uno e trino, e come ogni figura deistica che si rispetti deve inevitabilmente muoversi verso la propria materializzazione in ogni essere umano. In questo incubo a occhi aperti iniziano a proliferare – proprio come i topi dei cartelli sparpagliati in giro per la città – infinite versioni di Hitoshi: è uomo, donna, bambino, coppia, poliziotto, criminale, anziano, studente, impiegato, camionista, e chi più ne ha più ne metta. Queste nuove copie sono però imperfette, incapaci di palesare l’unità di azione e pensiero che unisce (almeno sulla carta) il trio “originale”: forse anche per questo una misteriosa figura inizia a eliminarli uno dopo l’altro, in un gioco al massacro destinato a finire solo quando, à la Highlander, ne resterà soltanto uno.

Il microcosmo surreale di Miki si trasforma così in una visione incubale e allucinatoria, all’interno della quale gli elementi di disturbo sono proprio quelli che dovrebbero ricondurre il tutto sui binari della “realtà”, materia strana e impalpabile nelle mani di un cineasta così particolare.
Peccato però che Satoshi Miki dimostri di non saper maneggiare con la dovuta cura una materia siffatta: dopo un incipit folgorante It’s Me, It’s Me rallenta in maniera preoccupante, fino a raggiungere una vera e propria impasse narrativa, in seguito alla quale il film si sgonfia inesorabilmente, iniziando a girare a vuoto. Le situazioni si ripropongono in modo quasi ciclico, e anche la ricerca di “sé” del protagonista appare palesemente banale nella sua basica lettura filosofica della rivendicazione dell’Io.
Peccato, perché ancora una volta l’anarcoide talento visionario di Miki avrebbe potuto colpire nel segno, grazie anche alla stupefacente interpretazione del protagonista Kazuya Kamenashi, un “pop aidoru” che dimostra di sapersi destreggiare in maniera eccellente davanti alla macchina da presa.

Info
La scheda di It’s Me, It’s Me sul sito del Far East.

Articoli correlati

Array
  • AltreVisioni

    Instant Swamp

    di Con Instant Swamp il folle cinema di Satoshi Miki sembra per una volta girare un po' a vuoto. Al Far East Film Festival del 2009.
  • AltreVisioni

    Adrift in Tokyo

    di Visto al Far East Film Festival di Udine, Adrift in Tokyo conferma la statura autoriale del cinema di Satoshi Miki, tra lirismo e grottesco.