Intervista a Nima Javidi
Abbiamo incontrato Nima Javidi, regista di Melbourne, film d’apertura della ventinovesima edizione della Settimana Internazionale della Critica. Nella nostra chiacchierata abbiamo parlato della genesi del film, della sua complessa struttura narrativa, del sistema produttivo e del cinema popolare iraniano…
La ventinovesima edizione della Settimana della Critica ha mosso il primo deciso passo con Melbourne, opera d’esordio del regista e sceneggiatore iraniano Nima Javidi, classe 1980, già autore di due documentari (Person e An Ending to an Ancient Profession, entrambi del 2007), numerosi spot pubblicitari e sei cortometraggi. Un’opera prima in perfetto equilibrio tra dramma e suspense, una pellicola che poggia le proprie fondamenta su una scrittura attenta, certosina, e sulle performance dei due protagonisti Payman Maadi (Amir) e Negar Javaherian (Sara). Javidi costruisce questa sorta di thriller morale attorno alla morte inspiegabile di un neonato, imprigionando Amir e Sara in un appartamento che via via assume i connotati di un bivio esistenziale. Dopo la proiezione ufficiale di Melbourne, e la calorosa accoglienza del pubblico e della stampa, abbiamo incontrato Nima Javidi, simpatico, disponibile e comprensibilmente esausto.
Come è nata l’idea al centro del film?
Nima Javidi: Circa cinque o sei anni fa andai in montagna con un gruppo di amici, tra cui una giovane coppia con un bambino poco più che neonato, e a un certo punto fui lasciato in casa con il piccolo per un breve lasso di tempo. Nonostante io facessi un po’ di rumore, il bambino sembrava non farci caso e a un certo punto mi sono chiesto se fosse ancora vivo. A quel punto ho provato a fare ancora più rumore e quello per fortuna si è svegliato. Ma è stato allora che mi sono chiesto: cosa avrei fatto se il bambino fosse invece morto? E così è nata l’idea centrale del mio film.
Possiamo quindi pensare che la sequenza della scoperta della morte del bambino, con la porta che sbatte come sospinta da un forte vento, sia stata costruita in quella maniera così particolare perché influenzata dalla tua esperienza in montagna?
Nima Javidi: Sì, forse inconsciamente è stato così.
Melbourne è il tuo primo film, quale è stato il percorso produttivo che ti ha permesso di realizzarlo?
Nima Javidi: Non credo ci sia molta differenza tra il produrre un film in Iran o altrove, credo che il percorso cinematografico sia simile in quasi tutti i paesi. Quando un regista ha una sceneggiatura pronta da realizzare, va in cerca di un produttore e poi se il produttore accetta di fare il film, ci pensa lui a trovare i soldi necessari. In Iran ci sono produzioni che prendono i fondi dallo Stato e produzioni che prendono soldi da privati, il mio film, nel dettaglio, è stato finanziato da una banca.
La struttura del film, ambientato in un’unica location, è legata anche a questioni di budget?
Nima Javidi: Esatto, è proprio così, la scelta di ambientare tutto in interni e in un’unica location è legata al budget. Dal momento che io ero un regista al primo film non potevo presentarmi con un progetto costosissimo e sperare di trovare un produttore, e allora ho dovuto limitare il tutto a un interno pur sapendo che questo mi avrebbe causato delle difficoltà, perché è più difficile mantenere la tensione e l’attenzione dello spettatore con un film che si svolge tutto in un solo ambiente. Ho dovuto lavorare molto di più sulla sceneggiatura avendo fatto questa scelta, ma non avevo molte alternative.
L’appartamento così come lo vediamo è realmente esistente? E come l’avete trovato?
Nima Javidi: Keyvan Moghadam, il nostro scenografo, ha dovuto lavorare un po’ per riadattare lo spazio alle nostre esigenze perché quello che vedete nel film non era proprio un normale appartamento di un condominio. Si tratta di un ostello che noi abbiamo “trasformato” con poche modifiche in un condominio.
Come hai elaborato la regia del film e il lavoro con gli attori, c’è stata improvvisazione sul set?
Nima Javidi: Nell’esecuzione non abbiamo potuto improvvisare niente né cambiare niente perché tutto era scritto e la tensione sarebbe venuta meno se avessimo cambiato qualcosa. Rispetto alla sceneggiatura, però, all’inizio ho voluto cambiare una cosa importante: l’idea che avevo avuto era che la bambina aveva cinque anni e, una volta lasciata incustodita, moriva per aver messo il dito nella presa dell’elettricità. Ho cambiato questa cosa perché così quella morte avrebbe avuto un colpevole e poteva in qualche modo essere evitata, mentre il vero dramma della morte bianca è che non ha colpevoli ed è inevitabile.
Tra le cose che ci hanno impressionato di più di Melbourne c’è senz’altro l’equilibrio e la gestione della suspense e della componente drammatica: volevamo sapere come hai lavorato su questi aspetti e per quale dei due ti senti più portato, anche in prospettiva della direzione futura che vorrai dare alla tua carriera.
Nima Javidi: Prima rispondo alla seconda domanda. Così come ho fatto vedere nel film, il mio punto di vista sull’essere umano è quanto gli uomini siano imprevedibili e sia impossibile prevederne le scelte. Allo stesso modo io non ho ancora preso decisioni circa il mio futuro, è anch’esso imprevedibile.
Per quel che riguarda la prima domanda, io ho pensato che il mio interlocutore dovesse essere il più ampio possibile e che questo film deve poter essere visto sia da mio fratello che da un amico, da un uomo o una giovane donna così come da mia nonna, e per incollare lo spettatore allo schermo ho usato il grimaldello della tensione. Era l’arma più potente che avevo.
Vedendo il tuo film viene da pensare al cinema di Asghar Farhadi a quello di Roman Polanski e all’Hitchcock di Nodo alla gola: volevamo sapere se sono stati questi i suoi punti di riferimento.
Nima Javidi: Sì, Polanski e Hitchcock senza dubbio hanno influenzato la mia formazione e la scrittura della sceneggiatura di Melbourne. L’unica cosa che io ho fatto di diverso è stato cambiare il soggetto, perché mentre in un thriller di Hitchcock spesso era un ricco che veniva ammazzato, io ho voluto costruire tutto intorno a un innocente. Credo che questo si sposi meglio con la realtà odierna. Di solito nel genere thriller abbiamo un omicidio e tutti vogliono sapere il perché, ma in questo caso il morto è un neonato e non c’è un perché. Utilizzo lo stesso svolgimento di un mistery ma senza che in realtà ci sia poi una spiegazione.
Un altro tema centrale in Melbourne è quello dell’emigrazione, vista come un tentativo di evadere alle proprie responsabilità. Volevamo sapere se questo tema è presente nella società iraniana, e se chi va via è visto come qualcuno che rifiuta di assumersi una responsabilità.
Nima Javidi: Io credo che non solo in Iran, ma ovunque nel mondo, chi lascia il proprio paese rifiuta anche di assumersi delle responsabilità. L’emigrazione di suo ha il sentore della mancanza di responsabilità. Tu hai visto bene questo aspetto che io cercavo in realtà di nascondere.
Noi conosciamo e amiamo il cinema iraniano che vediamo nei festival, ovvero quello di autori come Kiarostami, Farhadi, Naderi. Ma qual è il cinema popolare iraniano? O forse questo cinema è anche popolare?
Nima Javidi: Quello che vedete voi non è tanto lontano dal cinema che da noi è popolare, perché quando esce un film di Farhadi in Iran arriva primo o secondo al box office e le sale sono piene. Io sono molto contento che il cinema che è più in contatto con il pubblico iraniano è proprio quello che viene presentato all’estero. Non era così qualche anno fa, quando a rappresentare il nostro cinema all’estero erano film che non venivano visti né erano sentiti dal popolo iraniano.