Senza nessuna pietà

Senza nessuna pietà

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Per il suo esordio nel lungometraggio, Senza nessuna pietà, Michele Alhaique sceglie di cimentarsi con un polar ambientato tra la periferia e litorale romano, ma è troppo infatuato dei suoi attori per dedicarsi davvero alle dinamiche di genere. In Orizzonti a Venezia 2014.

L’incredibile Mimmo

Mimmo (Pierfrancesco Favino) vorrebbe fare solo il muratore, perché preferisce costruire palazzi che esercitare violenza sugli altri. Ma Mimmo vive in un mondo feroce dove bisogna rispettare le regole se si vuol sopravvivere. Tutto cambia quando nella sua vita irrompe Tania (Greta Scarano), una ragazza bellissima. Tutto sembra andare per il verso giusto, ma non si può sperare in una nuova vita senza fare i conti con la vecchia… [sinossi]

Croce e delizia di convegni così come di chiacchiere salottiere sulla produzione nostrana, il cinema di genere, da intendersi come “di tutti i generi esclusa la commedia”, è da lungo tempo evocato, come in una seduta spiritica, quale grande e glorioso estinto in grado di guidarci fuori dal guado. Ma non basta aggrapparsi al proverbiale “se ci sei batti un colpo” e accontantarsi del fatto che ogni tanto faccia capolino qualche thriller, action o horror italico, affinché il cinema di genere resusciti. Anche perché le sceneggiature non si fanno con il pendolino, né si può sperare che, in assenza di un’industria strutturata, spetti al singolo regista o al suo protagonista, fare da medium-sensitivo e intercettare il gusto del pubblico. Insomma la questione è assai più complessa di quanto non appaia e di tutte le sue declinazioni – specie della citata problematica della scrittura – soffre Senza nessuna pietà di Michele Alhaique, opera prima del talentuoso interprete di Cavalli e Qualche nuvola, presentata a Venezia 2014 nella sezione Orizzonti.

Protagonista è un imbolsito e mastodontico Pierfrancesco Favino nel ruolo di un manovale che arrotonda facendo dello strozzinaggio per conto del potente zio (Ninetto Davoli) con l’aiuto del fido assistente noto come Il Roscio (Claudio Gioè). Quando il cugino (Adriano Giannini) rimanda al giorno successivo l’appuntamento con la graziosa prostituta Tanya (Greta Scarano), tocca a Mimmo scarrozzare la ragazza per 24 ore e, naturalmente, stringere con lei un forte legame. Fin qui tutto bene, il set up dei personaggi funziona, il milieu di borgata e gli interpreti sembrano fare il loro lavoro. I problemi nascono, però, nel momento in cui si arriva al turning point: ecco allora che il nostro Mimmo, quando deve consegnare la ragazza al laido cugino non riesce a resistere, la rabbia esplode, i muscoli pompano, viene quasi da pensare che gli si stia per strappare la camicia come avveniva a Lou Ferrigno in L’incredibile Hulk, ma invece lui imbraccia uno skateboard (che casualmente si trova lì in salotto) e con esso percuote la testa del congiunto.

A questo punto dovrebbe partire una fuga on the road, con i due novelli Bonnie e Clyde de’ borgata intenti a sfuggire ai malvagi a tutta birra e magari a infrangere una serie di leggi nel nome della loro bruciante passione. Invece no, la strana coppia (non si capisce bene infatti su cosa si basi la loro reciproca simpatia) va a Ostia, in casa della donna delle pulizie di Mimmo.

Qui, in una sorta di idilliaco gineceo caraibico formato dalle coinquiline della donna, si arresta l’Odissea del nostro incauto criminale per caso, che non riprenderà più il largo. Poco interessato alle dinamiche action del suo film, Alhaique inscena poi una sparatoria nella semi oscurità di un pianerottolo, caotica e pasticciata, tanto quel che importa è il fatto che Mimmo ne esca con un buco nella pancia. Indi si torna a Ostia, così Tanya può farsi un bagno, ma la resa dei conti è in agguato e allora Mimmo torna in città e affronta lo zio malavitoso parlandogli di quanto fosse onesto invece suo padre, ma del genitore noi non avevamo mai sentito parlare e dunque la sfida infernale si trasforma da necessaria (in qualche modo bisogna pur chiudere i conti), in gratuita. 

Ecco forse è proprio la gratuità il problema principale di Senza nessuna pietà, un progetto sulla carta interessante, un tentativo di polar alla francese più che auspicabile, che però con uno script così poco accorto si trasforma in un’occasione sprecata, dove il neoregista, tutto preso dallo strumento che ha a disposizione e dai suoi interpreti, si concede ampie digressioni, preferisce dedicarsi a inquadrare i capelli e la nuca della sua attrice, la stazza e l’espressione da bambinone del suo attore, e abbandona tutte le regole, di ritmo, scrittura, messinscena del genere da lui prescelto. Ma forse era tutta una scusa.

Info
La scheda di Senza nessuna pietà sul sito della Biennale.
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