Intervista a Ryūsuke Hamaguchi

Intervista a Ryūsuke Hamaguchi

Dopo i primi due film, che hanno girato vari festival, dopo una serie di documentari sulla regione del Tohoku sconvolta da terremoto e maremoto, Ryūsuke Hamaguchi, classe 1978, approda a Locarno con il suo terzo lungometraggio. Si tratta di Happy Hour, opera fiume sulla condizione femminile in Giappone, che ha ottenuto un buon successo nel palmarès. Si è infatti aggiudicato il Pardo per la migliore interpretazione femminile, in ex aequo alle quattro attrici protagoniste, e una menzione per la sceneggiatura. Abbiamo incontrato Ryūsuke Hamaguchi a Locarno.

In Happy Hour è centrale la vita urbana con le nevrosi che si porta dietro, il caos di una grande città come Kobe. L’inizio del film è ambientato su una collina, dove si trovano le quattro protagoniste per un picnic, impedito dalla pioggia. Sembra un momento di serenità. Ci saranno poi altre fughe. Hai voluto creare un’opposizione città/natura?

Ryūsuke Hamaguchi: Non ho pensato a questo contrasto specifico, ma ho pensato che sarebbe stata una bellissima situazione quella in cui tutte e quattro le donne partono per un viaggio: è per questo che lasciano la città per la natura. Lasciano la loro vita solita perché devono concentrarsi sulla loro amicizia dimenticando le loro preoccupazioni.

Mi ha molto impressionato la scena del processo, perché di processo si tratta, in cui è imputata Jun che ha chiesto il divorzio. È una situazione di umiliazione per la donna che, ancora oggi in Giappone, si trova in posizione di relativa inferiorità rispetto all’uomo?

Ryūsuke Hamaguchi: Non credo che sia una scena dove la donna è una posizione di debolezza, ma in Giappone, devi dimostrare che il tuo coniuge ha torto per poter divorziare, altrimenti non si può. Più in generale, possiamo dire che questa donna è in una posizione di debolezza. La ragione è che nella società gli uomini sono quelli che hanno il ruolo di uscire di casa e fare i soldi. È un ruolo che gli uomini sono convinti di avere, e questo porta al fatto che loro credano che vada bene dimenticarsi della famiglia per dedicarsi al lavoro. Credo che questa scena del processo rappresenti questa indifferenza del marito.

Una donna anziana parla del suo matrimonio che era stato combinato. Questo mi richiama in mente le storie del cinema di Ozu. Vuoi descrivere la società moderna come Ozu descriveva quella del suo tempo?

Ryūsuke Hamaguchi: Certamente c’è una parte di me che lo vuole. Ma a dir la verità sono molto sorpreso perché da quando sono arrivato qui tutti mi dicono che il mio film rappresenta la società giapponese, ma per me questo film parla della vita di quattro donne. Ho scoperto qui che la nostra vita quotidiana in Giappone è diversa da quella occidentale, prima non lo sapevo. Credo che Ozu non filmasse la società giapponese ma solo la vita quotidiana. Se pensi che il mio lavoro sia simile a quello di Ozu ne sono onorato.

C’è qualche motivo per cui hai scelto la città di Kobe come location del film? Sembra una metropoli tentacolare.

Ryūsuke Hamaguchi: Di solito faccio i miei film a Tokyo. Dopo lo tsunami ho girato diverse parti del Giappone, inclusa Fukushima per fare un documentario sulle persone presenti al momento della catastrofe. Quando ero là qualcosa mi ha colpito. A quel punto ho visto che non dovevo necessariamente fare film a Tokyo ma potevo farlo ovunque in Giappone. Dopo il mio lavoro nel Tohoku sono tornato a Tokyo e avevo questa forte motivazione a filmare fuori Tokyo. Sono andato nella zona di Kobe che è la seconda regione per dimensioni del Giappone.

Quindi mi confermi che si può parlare di un cinema post-Fukushima, come per la letteratura?

Ryūsuke Hamaguchi: Prima del disastro non sapevo che la nostra vita sarebbe cambiata, ma dopo ho realizzato che nel futuro non avrei più avuto la vita di prima. Però la società giapponese intera vorrà avere la stessa vita che aveva prima. Credo che non sia possibile e credo che questo film rispecchi questo.

Come lavori con il tuo cast di attori e attrici? Quella scena del training mi fa pensare a certi metodi di lavoro teatrali. Hai un approccio del genere?

Ryūsuke Hamaguchi: Se ti sembra teatrale forse è perché ci sono molti discorsi. Ma è il mio gusto personale, non amo i film in cui gli attori recitano realisticamente come se non stessero recitando. Il film è un film, gli attori recitano e devi accettarlo.

Comunque è molto suggestivo questo momento del training. Sembra un invito all’ascolto reciproco, ad annullare le barriere, a stabilire un’empatia forte con chi ci circonda. Direi che è un’opposizione ai rapporti umani del film, quasi sempre freddi, distaccati, con barriere che si frappongono anche in famiglia. È una sensazione corretta?

Ryūsuke Hamaguchi: Sì, perché, a parte questa scena, non ce ne sono altre in cui le persone si toccano. E volevo fare qualcosa in cui le emozioni fossero esposte ma non volevo che fosse una scena in cui la gente si tocca esplicitamente. Nei film di Ozu, Tardo autunno, Viaggio a Tokyo, nelle scene più forti emotivamente non accade che le persone si tocchino, ma semplicemente sono scene di conversazione ordinaria, e sono il climax emotivo del film. Naturalmente toccare le persone era uno dei temi del film, ma non necessariamente fisicamente, più che altro emotivamente.

Info
Il palmarès della 68esima edizione del Festival di Locarno.

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