Bagnoli Jungle

Bagnoli Jungle

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È un’umanità frenetica e nichilista, tenera e carnale quella raccontata in Bagnoli Jungle da Antonio Capuano che, vincitore nel 1991 con Vito e gli altri, torna fuori concorso alla Settimana della Critica per il trentennale della sezione.

La giungla d’asfalto

Tre capitoli. Tre generazioni. Giggino sempre in corsa, poeta nei ristoranti, ladruncolo di strada. 50 anni. Suo padre Antonio, pensionato dell’Italsider, nostalgico della fabbrica e di quel che rappresentò. Conoscitore e divulgatore delle gesta di Maradona. 80 anni e anche più. Infine Marco, garzone di salumeria, alla rincorsa di un futuro ma senza sapere come si fa. 18 anni. Intorno a loro la giungla di un popoloso quartiere, Bagnoli, in una grande città, Napoli. Dove un senso si è perduto e un altro non è stato ancora trovato… [sinossi]

Al pari delle piramidi o dei templi greci e romani, in un futuro remoto i posteri sapranno farsi un’idea di chi siamo oggi dai ruderi delle nostre abitazioni, degli stadi, degli auditorium, dei nostri luoghi di lavoro. Di certo parleranno di noi le nostre fabbriche, il cui lascito non sarà solo di tipo architettonico, ma anche antropologico, sociale e, inevitabilmente, ambientale. È un vero e proprio scavo di archeologia umana e industriale quello messo in scena da Antonio Capuano in Bagnoli Jungle, affresco vitale e nichilista, tenero e carnale tracciato dall’autore partenopeo sullo sfondo dei resti delle acciaierie di Bagnoli.
Una volta percorsa la neo gotica verticalità dell’ex stabilimento industriale, e finché sono a disposizione gli esemplari umani, per l’archeologo contemporaneo Capuano è decisamente preferibile concentrarsi su questi ultimi, affinché da una narrazione al tempo stesso realistica e magica, figlia di una nobile tradizione orale, emergano, accanto ai ruderi della fabbrica, anche le ultime vestigia della classe operaia.

Vincitore della Settimana della Critica nel 1991 con Vito e gli altri, Capuano vi torna ora fuori concorso per celebrare con Bagnoli Jungle il trentennale della sezione. Tra gli esponenti più eccentrici e originali di quella “New Wave” partenopea anni ’90 (oltre a Capuano esordirono in quegli anni anche Pappi Corsicato, Stefano Incerti, Antonietta De Lillo e Mario Martone) di cui oggi si sono dissipate le audaci sperimentazioni e l’afflato comunitario, l’autore di La guerra di Mario e L’amore buio si dedica questa volta a tre personaggi di altrettante differenti generazioni, le cui vite sono necessariamente influenzate dal luogo che abitano: il quartiere napoletano di Bagnoli.
Giggino (Luigi Attrice) è affetto da un vitalismo scomposto e nichilista, vaga per le strade scassinando le auto e rubando quello che c’è, per poi rivendere la refurtiva alle suore. Vive ancora con il padre, Antonio (Antonio Casagrande), aedo contemporaneo dell’acciaieria (dove è stato operaio) e delle vicende del “Pibe” Diego Armando Maradona, con le quali incanta, a pagamento, anche i più duri tra i boss locali. Nonostante il lavoro all’Ilva gli abbia garantito un certo benessere, Antonio si sente solo e cerca conforto erotico nella sua collaboratrice domestica Olena (Olena Kravtsova). Il Pibe è importante, ma i suoi feticci non hanno futuro in una teca. Molto meglio passarli alle giovani generazioni. E così, Antonio regala la sua preziosa maglietta di Maradona al giovane Marco (Marco Grieco, il bambino, oggi cresciuto, di La guerra di Mario), garzone del salumiere di quartiere. Il suo percorso urbano e il nascere dell’amore per Sara (Saranaomi Giannattasio) sembrano rivitalizzare tutto, non solo i vecchi cimeli, ma anche quei ruderi post-industriali, la spazzatura in strada, le urgenze abitative della gente.

Perché quella attraversata da Capuano al fianco dei suoi protagonisti è, tra realtà e immaginazione e con un’alta dose di sfacciata ironia, una Napoli dove ci si riunisce per far fronte a problemi basilari come la casa o la spesa, si prendono libri in prestito nella biblioteca di quartiere, si danza un balletto classico sull’asfalto, si recitano a braccio versi in rima in duplice tenzone stile hip hop. La cultura e la vita quotidiana non sono scindibili, si compenetrano, e la poesia stessa nasce da un polpo catturato ed eviscerato, dal basso ventre, dai desideri primordiali. Laddove le istituzioni e i loro sogni di industrializzazione hanno fallito, è dall’organico e dalla cultura che può partire una reale bonifica.
E a Bagnoli, il viaggiatore straniero di un ipotetico Grand Tour contemporaneo, troverà ad accoglierlo i ruderi arrugginiti di un’industrializzazione che non ha lasciato molto benessere ma, se ha avvelenato l’aria e il terreno, non ha potuto fare altrettanto – almeno non completamente – con chi quei luoghi li abita.

Info
Bagnoli Jungle sul sito della SIC.
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