Laughter in Hell

Laughter in Hell

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Riemerso dall’oblio solo di recente, Laughter in Hell è un film anomalo e coraggioso per il modo in cui nel 1933 – in epoca pre-codice Hays e in piena segregazione razziale – metteva in scena la solidarietà tra carcerati bianchi e afroamericani. Al Cinema Ritrovato 2016.

I dannati della terra

Barney Slaney è un macchinista che uccide la moglie infedele dopo averla sorpresa con l’amante, uno dei due fratelli che tormentano Barney sin dall’infanzia. Condannato ai lavori forzati, dove assiste a un brutale linciaggio a sfondo razziale, riesce a evadere per poi trovarsi a vagare in un brullo paesaggio lunare. Per un attimo la redenzione sembra possibile quando incontra un’altra anima in fuga. [sinossi]

Tra le sezioni più seguite di questa trentesima edizione del Cinema Ritrovato va annoverata senz’altro quella dedicata al produttore della Universal Carl Laemmle Jr, che tra il ’28 e il 36 fu fautore della grande stagione dei mostri, da Dracula a Frankenstein, da La mummia a L’uomo invisibile. Ma, con ottimo spirito di scoperta, la manifestazione bolognese ha preferito concentrarsi sui titoli meno noti prodotti da Laemmle in quegli anni; e tra questi, Laughter in Hell appare senz’altro come il più sorprendente e insieme il più misconosciuto.
Diretto da Edward L. Cahn – che, forse anche in seguito a questo suo film estremamente coraggioso, fu poi emarginato dalla major – Laughter in Hell ‘canta’ gli Stati Uniti del Sud, quelli post-guerra civile, poveri e gretti, profondamente religiosi, rurali e razzisti, eppure – ma solo negli strati più bassi della popolazione – forti di un’innata solidarietà tra bianchi e neri. Lo si intuisce subito nello splendido incipit, in cui al giovane Barney viene annunciata la morte della madre. Il ragazzo arriva disperato davanti a casa e, oltre a familiari e amici, vi trova anche decine di afroamericani che partecipano al lutto con un’orazione funebre tipicamente blues.

In questa fase iniziale del film, Edward L. Cahn sembra non aver avuto sempre il polso della situazione, sia registica che di scrittura. Si tratta però di difetti che alla lunga si debbono perdonare, non solo per la grande forza politica e descrittiva che il film va assumendo, ma anche per alcuni sbalorditive invenzioni visive. Già le panoramiche a schiaffo che, in un’unica inquadratura riprendono i vari concittadini che chiamano il nome di Barney, sembrano notevoli; e lo stesso ci sembra di poter dire anche di alcuni passaggi di traballante pseudo-macchina a mano; ma Cahn addirittura si supera nel momento in cui assistiamo a un paio di zoom, che servono a restituire la concitazione di un doppio omicidio. Se pensiamo che lo zoom entrerà nell’uso comune solo trent’anni dopo, ci si domanda come sia riuscito questo dimenticato regista a inventarsi una cosa del genere.

La vera bellezza di Laughter in Hell sta però piuttosto nella descrizione che fa dell’America più pura, non quella WASP si intende, quanto quella di Mark Twain e di Woody Guthrie, l’America solidale e primigenia che può sbagliare ma che si conquista sempre un’altra opportunità. Ecco che così il nostro protagonista, condannato ai lavori forzati per aver ucciso la moglie e l’amante, si trova a confrontarsi con un feroce capo-carceriere (che è una specie di antenato di Lee Van Cleef) e si salva grazie alla solidarietà di tutti gli altri forzati, compresi anche i neri. La scena più forte di tutto il film in tal senso è quella in cui i condannati sono costretti ad assistere all’impiccagione di quattro afroamericani e la crudeltà dei carcerieri scatena la protesta collettiva (e, verrebbe quasi da dire, collettivista).
Ma Laughter in Hell non finisce qua. E, anzi, più il film va avanti, più le qualità di Cahn emergono con maggior nettezza. L’ultima parte infatti – tutta incentrata in un territorio desolato, con la popolazione colpita dalla febbre gialla e il nostro protagonista in fuga – si trasforma quasi in fantascienza low budget, anticipando in maniera sorprendente quella linea del cinema americano che poi porterà a Romero e a Carpenter, da La notte dei morti viventi a La cosa, da La città verrà distrutta all’alba a Fantasmi da Marte. Vi si ritrova qui infatti, oltre a quella stessa dimensione di desolazione (e anche in Laughter in Hell, come in Zombie, i morti vengono nascosti in casa), anche lo stesso disperato spirito di sopravvivenza, il desiderio inesausto di poter – e dover – sempre ricominciare e il sospetto verso ogni forma di istituzione.

È dunque una vera fortuna che di recente sia stato possibile recuperare il film dall’oblio cui era stato condannato. Peccato però che i segni della censura siano ancora ben visibili: il monologo dell’amico afroamericano del protagonista viene interrotto bruscamente e il finale appare decisamente tronco. Chissà allora che uno di questi giorni negli archivi della Universal non vengano ritrovati anche i pezzi mancanti. Speriamo.

Info
La scheda di Laughter in Hell sul sito della Cineteca di Bologna.

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