Festa

Franco Piavoli torna alla regia per immortalare la “sera del dì di festa”, tra Leopardi e Pascoli. Un viaggio tra il poetico e l’antropologico.

La sera del dì di festa

In un villaggio di campagna si celebra la festa di San Pietro. Il parroco raccomanda ai fedeli di confessarsi e liberarsi dall’avarizia, ma alla fine della messa invita tutti a far festa. Sul sagrato della chiesa sono i più anziani ad iniziare le danze, mentre in piazza giovani e vecchi mangiano e bevono in allegra compagnia. I giocolieri e gli artisti di strada incantano i passanti, mentre gli adolescenti volano sulle giostre luminose. Al tramonto scopriamo alcuni giovani che si baciano mentre i vecchi continuano a ballare al chiaro di luna. Nel corso della festa abbiamo notato anche figure malinconiche: un anziano sempre chiuso in casa o affacciato alla finestra. Un infermo in carrozzella. Un giovane si aggira pensieroso tra l’allegria giovanile mentre una donna solitaria guarda le coppie abbracciate. Nei paesi o nei quartieri ogni anno si rinnovano le feste tradizionali per celebrare il santo patrono. Rispecchiano il bisogno di fede, di convivialità e divertimento. Ma in alcuni fanno sentire più forte il disagio e la solitudine. [sinossi]
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Nella mia prima età, quando s’aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch’egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s’udia per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core.
Giacomo Leopardi, La sera del dì di festa, 1820

Cos’è una “festa”? Cosa rappresenta, da un punto di vista simbolico e materiale? Quali aggravi, o quali sollievi, apporta alla mente delle persone? E quale valore assume, quando si trasforma in atto collettivo? Nell’anno in cui il parigino Cinéma du Réel gli dedica una retrospettiva integrale, Franco Piavoli torna alla regia, presentando fuori concorso al Festival di Locarno Festa, un mediometraggio che segna il ritorno dietro la macchina da presa del cineasta bresciano a ottantatré anni, e a dodici di distanza dal precedente Affettuosa presenza. La Lombardia torna a essere la protagonista indiscussa del cinema di Piavoli, e con lei la gente che la abita, il popolo, la classe intellettuale. Tutti in attesa che si svolga la festa del patrono, in un piccolo paese (il film in realtà è stato girato in più location); si parte dall’affissione degli striscioni e si arriva alla conclusione della nottata, dopo i fuochi d’artificio, con l’area della sagra che si svuota gradualmente, e le persone che si allontanano alla spicciolata, tornando a casa.
Non ha bisogno di alcun orpello, Festa, e arriva diritto nel cuore dello spettatore senza stratificazioni, senza alcuna deviazione dal percorso, senza nessuna aggiunta. Non è necessario distinguere il “documentario” dalle immagini ricreate ad hoc, perché come sempre in Piavoli si tratta di categorie del tutto secondarie, prive di un reale valore. Fu Piavoli, dopotutto, a trasformare l’epica omerica di Nostos – Il ritorno in un viaggio mediterraneo à rebours nella psiche di un guerriero al termine dell’agone.

I quaranta minuti di Festa ondeggiano tra il fermo immagine pascoliano e la mesta riflessione del dì di festa di Giacomo Leopardi, mescolando la poesia alla ruvidezza anche sgrammaticata della ripresa a bassa fedeltà digitale; quei quaranta minuti strappano gli occhi del pubblico alla comodità di un cinema pianificato, e li costringono a confrontarsi con un’opera che sembra perennemente in fieri, instabile eppure vorticosa, come i seggiolini del calcinculo che prendono l’aire grazie al volteggio.
Con spirito rigoroso e sguardo di una nettezza che lascia senza fiato, Piavoli segmenta Festa attraverso i passaggi chiave di qualsiasi celebrazione patronale che si rispetti. C’è la messa nella chiesetta, le prime note di liscio sparse dalle fisarmoniche, con gli anziani che si lanciano in pista, i giocolieri che attirano la curiosità dei bambini, gli adolescenti poco sedotti dal fascino sacrale che preferiscono il frastuono dell’area delle vivande e delle giostre.

Ma a muoversi sottopelle è un’umanità solitaria, che non riesce a trovare requie, e soddisfazione, nel rituale sempre uguale a sé della festa. Nel controcampo a quell’ansia di vita che si esprime anno dopo anno in gesti e azioni ripetuti con certosina precisione, trova conforto uno dei temi più cari a Piavoli, il disagio nei confronti della vita collettiva, dell’esperienza condivisa. Come nella poesia di Leopardi, anche qui il termine festa viene utilizzato per essere smentito con dolorosa mestizia nel corso dello svolgimento; più che ciò che accade nell’epicentro dei festeggiamenti, Piavoli sembra interessato alle resistenze – a volte fisiche, a volte psicologiche – di chi rimane ai margini, assiepandosi sui bordi esterni e osservando, senza mai nessuno che li noti.
Sempre lì, a pochi passi dall’esterno, c’è spazio anche per un sentimento più carnale e meno etereo, a sua volta fuori dalla ripetitività coatta della cerimonia. In un crescendo emotivo che non concede tregua allo spettatore, Festa va incontro al suo orgasmo, e alla dispersione. È tempo di ritornare a casa, per cominciare tutto da capo, forse persino facendo finta di nulla. Aspettando che torni l’anno nuovo, e la festa del patrono. Concludendo In girum imus nocte et consumimur igni (film che al di là di ogni regola e logica in qualche modo si apparenta a questa) Guy Debord avvertiva lo spettatore, dopo aver annunciato che “la saggezza non verrà mai”, di “riprendere dall’inizio”. Anche in Festa non esiste saggezza auspicabile, ed è necessario riprendere sempre dall’inizio. Che è già fine. Già festa. E allo spettatore già similmente si stringe il core.

Info
Festa sul sito del Festival di Locarno.
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