Luca Comerio, il reportage e la macchina da presa
Presentata alle Giornate del Cinema Muto la seconda parte della retrospettiva curata da Sergio M. Germani su Luca Comerio, pioniere milanese del documentario. Un’occasione per riscoprire un grande regista e riflettere ancora una volta sull’importanza della celluloide come memoria storica.
La Storia è fatta di tante piccole e grandi storie. È fatta di potenti e di eventi che la cambiano, è fatta di strategie politiche, economiche e militari, è fatta di battaglie, incontri, trattati, strette di mano e pietre posate. Ma è fatta anche di uomini e donne, padri e figli, contadini e soldati, operai e feste di paese. La Storia è fatta di gente comune che ogni giorno, come l’ingranaggio di un orologio, la porta avanti; la Storia è una partita a scacchi, dove ogni pedone, al pari del re, fa quotidianamente la propria mossa. La Storia è concatenazione, è quel luogo in quel momento, è il Popolo ed è chi lo governa, sono i corsi e ricorsi secondo i quali tutto torna e tornerà con lievissime differenze, perché la Storia è un’ondata, e a un’onda ne segue sempre un’altra.
La Storia è chi la racconta, la Storia è chi la conserva: è archivio, è necessaria memoria, ma è anche una nebbia in cui non è sempre semplice riuscire a vedere ciò che sta dall’altra parte. Quantomeno fino ai tempi recenti, poco più di un secolo, in cui i progressi tecnologici hanno consentito, prima con l’invenzione del dagherrotipo e poi del cinematografo Lumière, di raccontare queste storie che compongono la Storia per immagini, di fissarla in una memoria fisica e (quasi) immutabile, affidando allo scorrere della celluloide – o, ancora più poeticamente, visti i tempi, alla nobiltà dei cristalli d’argento che impressionano il supporto in nitrato – il compito di tramandare quegli istanti, quei volti, quelle sofferenze e quelle gioie per quello che erano: la realtà, finalmente riproducibile.
Luca Fortunato Comerio, assoluto pioniere del documentario, o forse sarebbe meglio dire del reportage, nasce a Milano nel 1878. Da sempre appassionato di pittura, impara ben presto i rudimenti della fotografia, fino a quando, con i moti di Milano del 1898, scopre la propria intima necessità di raccontare la realtà, a costo di mettere a rischio la propria vita in mezzo alla violenza dei sollevamenti popolari e della dura repressione. Con i proventi della vittoria di un concorso fotografico del 1907, si reca a Parigi e acquista, secondo leggenda direttamente dai fratelli Lumière, la prima macchina da presa. Armato dei mezzi pesanti e poco sensibili che la tecnologia del tempo forniva, Luca Comerio si è trovato per lungo tempo al posto giusto al momento giusto, riuscendo a raccogliere e tramandare l’Italia dai primi del Novecento fino al primo dopoguerra. Dal suo archivio, Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi hanno tratto nel 1986 il loro Dal Polo all’Equatore, a ulteriore testimonianza di come la memoria non possa che stimolare altra memoria, altre riflessioni, altre realtà, altro cinema.
Su iniziativa di Sergio M. Grmek Germani, prosegue alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone la retrospettiva triennale atta a riscoprire l’opera di Luca Comerio, la sua importanza storica e le sue indubbie capacità registiche, sfoggiate sia nella maestria tecnica per cui riusciva, con i mezzi del tempo, a filmare in quasi qualsiasi condizione di luce e di spazio, sia in uno sguardo che, nel procedere della filmografia, si è fatto progressivamente sempre più umano, sempre più rispettoso, sempre più assetato di giustizia nei confronti degli eventi e degli uomini, come per tramandare un segno del loro passaggio, come per portarli avanti nella memoria, come per regalare loro, nei 16 fotogrammi al secondo ancora oggi srotolati dai proiettori a Pordenone, un vagito di vita eterna.
Quello di Comerio è un cinema d’amore e di morte, di sofferenza anche dura e di estremo realismo, di pietà e compassione, di sperimentazioni tecniche e di profondissima umanità; è l’occhio del pioniere che, anche nelle “recite a soggetto”, mantiene sempre quella stretta aderenza al vero e alla dura realtà sociale. La prima parte della retrospettiva, proiettata lo scorso anno, consisteva in una raccolta di filmati della Prima Guerra Mondiale, sorprendenti per il loro estremo realismo nel mostrare la fatica, le sofferenze e le paure dei soldati.
In attesa della terza e ultima parte, che verrà proiettata alle Giornate 2017 e sarà principalmente incentrata sui filmati della guerra italo-turca, è stato presentato quest’anno il secondo programma, il più variegato, un piccolo flashback rispetto alla Grande Guerra, con filmati che vanno dal 1908 al maggio del 1915, solo un paio di mesi prima dello scoppio del conflitto.
Provenienti da tutte le Cineteche con opere di Comerio in archivio – dalla Nazionale di Roma all’Italiana di Milano, passando per Bologna, per la Cineteca del Friuli e per la Cinémathèque Française, fino al cinegiornale Luce sulla sua morte e alle recentissime e preziose scoperte, anche a opera di privati, come ad esempio l’Associazione culturale Hommelette – i filmati, quasi tutti in 35mm, che compongono questo programma vanno dal cinema a soggetto della comica L’avventura galante di un provinciale (1908) e del soldato imbranato Cocciutelli in guerra (1912) al cineverità de L’arrivo di Guglielmo II a Venezia (1908), pronto a documentare da una gondola – con tanto di splendidamente moderno, “vero” e inevitabile beccheggio della macchina da presa – l’incontro fra i reali di Germania e il Re d’Italia, oppure al fondamentale reportage Il terremoto di Messina, risalente ovviamente al 1909, basato non tanto sulla distruzione della città, quanto sulla forza d’animo e sull’encomiabile fatica dei cittadini nel rimuovere le macerie e ripartire – fino all’inaugurazione, con tanto di decorazioni floreali, del primo tram della “nuova” Messina.
Quello che ancora sorprende, al di là dell’indiscutibile importanza storica dei documenti, è l’impostazione registica di Comerio, la sua cura per l’immagine, la sua ricerca costante di profondità di campo e di un’estetica che sappia sfondare la quarta parete, fra treni in corsa che giungono in obliquo ricordando gli albori dell’immagine in movimento alla stazione di La Ciotat e l’Idroplano Forlanini (1911), pronto a volare a oltre 80km/h sulla superficie dell’acqua. Una capacità estetica e umana già ampiamente dimostrata nel programma dello scorso anno, del resto, fra la marcia serpentiforme dei soldati e i campi lunghi a mostrarne, con struggimento, il cammino verso la probabilissima morte.
Dalle sfilate, colorate direttamente sull’emulsione, del Carnevale di Milano nel 1908, le immagini di Comerio passano alla catena di montaggio delle Officine della FIAT (1911), fra la costruzione delle auto, il loro collaudo nel piazzale della fabbrica e la corsa spensierata degli operai a fine turno dai cancelli al ritorno alla vita, per passare alla Grande Cerimonia per la posa della prima pietra dello zuccherificio a Casalmaggiore (1910), alla zenitale dal pallone aerostatico delle Gare di pallone all’Arena di Milano (1912), ai Solenni funerali dell’aviatore Chavez (1910). Fino alle sperimentazioni tecniche più ardite, con L’eclisse parziale di sole del 7 aprile 1912 prima mostrata – avvertendo lo spettatore di aver velocizzato il fenomeno mediante riprese a lunghi intervalli – attraverso il telescopio dell’Osservatorio di Milano, per poi chiudere mostrando l’invenzione futuristica che ha permesso quel tipo di ripresa, con le bobine incassate sul telescopio grazie a un gioco di specchi e un cronometro a ritmare i giri di manovella.
I film di Luca Comerio sono pillole di Storia, fatta come sempre delle piccole e grandi storie che si annidano fra le sue pieghe. È uno sguardo, è un giro di manovella, è un costante viaggiare, è la presenza fisica in quel luogo e in quel momento, pronta a diventare, su supporto fisico, memoria da consultare ancora, oltre un secolo dopo, e per sempre. Riscoprire l’opera di Comerio è fondamentale, perché l’opera di Comerio sono i nostri avi, l’opera di Comerio siamo noi, l’opera di Comerio saranno i nostri figli. Quello che eravamo, quello che siamo, quello che saremo.