Lo sconosciuto

Lo sconosciuto

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Lo sconosciuto, pur essendo meno noto al pubblico rispetto a Freaks e Dracula, è uno dei capolavori di Tod Browning che mette maggiormente in luce la poetica espressiva del regista, con il mélo che si mescola all’horror senza soluzione di continuità.

Tra le mie braccia

Alonzo è un circense privo di entrambe le braccia che ama segretamente la bella Nanon, sua partner nello spettacolo, a sua volta corteggiata da Malabar, l’uomo forzuto. Nanon ha una repulsione per le mani degli uomini perciò rifugge da Malabar e piuttosto asseconda le attenzioni di Alonzo. Alonzo che in effetti ha un’abilità fenomenale con i piedi, in realtà, ben celate sotto uno stretto corpetto, ha entrambe le braccia. Solo il suo fido Cojo, un nano, sa il suo segreto… [sinossi]

Nel 1928, durante un’intervista in cui si dilunga su Lo sconosciuto e The Road to Mandalay, Tod Browning spiega: “Quando penso a un film da girare con Chaney, non parto mai dalla storia, ma sempre dal personaggio…”. Non si afferma nulla di esagerato nel dire che Alonzo, il circense (apparentemente) senza braccia di The Unknown – questo il titolo originale de Lo sconosciuto –, sia un ruolo per cui quasi tutti i divi di Hollywood farebbero carte false: per Lon Chaney, alla quinta collaborazione con Browning (in tutto saranno nove, fino al prematuro decesso del geniale interprete), si tratta della parte della vita, ancor più rispetto a quelle ottenute in The Unholy Tree, The Blackbird e London After Midnight. All’epoca della sua uscita nelle sale statunitensi Lo sconosciuto venne trattato con sufficienza dalla critica, di solito piuttosto propensa ad approvare le regie di Browning, maestro nel saper mescolare intrattenimento e personalità, in anni in cui era ancora ben lontano il concetto di “autore”. In qualche modo si può rintracciare tra le pieghe de Lo sconosciuto quel senso di disagio che segnerà negli anni Trenta il rapporto tra il regista e il mondo del cinema, fatto o analizzato.
Se il nome di Browning è da sempre associato a Freaks (rivisto di recente anche in sala in Italia, grazie alla Cineteca di Bologna che ha distribuito la versione restaurata in digitale) e al massimo al Dracula con protagonista Bela Lugosi, non bisogna dimenticare né la prolificità dietro la macchina da presa né, ancor più, il ruolo di primo piano svolto a Hollywood, dove era considerato un regista affidabile, in grado di assicurare un buon riscontro al botteghino contenendo i costi del set.
Fautore di un cinema del mistero e dell’orrore che pone al centro della propria ricerca sempre l’uomo e le proprie endemiche debolezze, Browning è un nome in gran parte dimenticato dalle giovani generazioni cinefile, che lo hanno inserito a torto in un’ideale lista dei bad boy della Mecca del Cinema, fra gli eversori anti-sistemici. Ma pur concedendosi sempre sane libertà dalla prassi, Browning riuscì a muoversi all’interno della macchina industriale, almeno fino a quando gli studios glielo concessero. Vale a dire fino a quando Irving Thalberg visse, e poté garantire per lui. Ma questa è un’altra storia…

Tornando a Lo sconosciuto, è difficile trovare un paragone all’interno del cinema muto; da molti considerato come una prova generale per Freaks, sia per l’ambientazione circense che per il tema della deformità, Lo sconosciuto si muove in realtà in una direzione simbolica che nel film del 1932 verrà inevitabilmente meno, vista l’evidenza materiale del “mostruoso”, inteso in senso sia fisico che morale.
Morboso e malsano melodramma sull’ossessione e il desiderio, Lo sconosciuto sfrutta le armi spettacolari – l’orrore, il thriller, il crime-movie – per imbastire una lettura psicanalitica spietata dei personaggi, con una lettura e una resa per immagini di grande modernità, in grado di travalicare il tempo e lo spazio. Prima di essere il racconto di Alonzo, del suo amore possessivo per la bella Nanon (una Joan Crawford ventitreenne, in uno dei suoi primi ruoli di un certo rilievo insieme al precedente The Circle di Frank Borzage) e della sua sete di vendetta verso l’ostacolo umano che si frappone tra lui e la ragazza, Lo sconosciuto è una cruda riflessione sul contatto, sulla relazione interpersonale, sulla materia che rivendica la propria importanza.
Se Nanon non fugge di fronte ad Alonzo, come invece fa con qualsiasi altro essere umano, è solo perché quest’ultimo non ha braccia. Non la può toccare. Non può mettere a repentaglio la sua integrità. Non sa, ovviamente, che l’uomo finge la propria condizione di monco solo per poter compiere indisturbato atti criminali. Di fronte a lei – e agli altri circensi – è fragile, inoffensivo. L’esatto opposto di quella montagna umana che incendia davvero l’animo della ragazza, ma che rilascia forza, possenza, dominio.

Fin da questo dettaglio Lo sconosciuto abbandona il semplice recinto del genere per farsi scandaglio dell’intimo desiderio sessuale e dell’impossibilità di appagarlo. Malabar è impotente, perché Nanon non si fa toccare e guarda le mani del maschio con paura e disprezzo. Ma anche Alonzo è impotente, e lo è doppiamente: se mostrasse a Nanon le sue mani, in realtà nascoste sotto la maglia, lei inorridirebbe e lo schiverebbe a sua volta. Non mostrandogliele non può però realmente toccarla, nella sua condizione di monco. Il gesto di lanciarle contro i coltelli, sul palco del circo, utilizzando le dita dei piedi, diventa dunque una sublimazione dell’atto sessuale. Lì, sul palco, Nanon accetta anche di essere spogliata e di ritrovarsi in reggiseno. Perché non c’è contatto. Non esiste interazione umana. Solo spettacolarizzazione di un atto intimo, e sua metafora.
Nascondere le mani diventa dunque per Alonzo anche celare la propria virilità, il proprio lato strettamente animale, perfino mostruoso. E mostruoso lo è davvero, visto che su una mano si ritrova due pollici. Là dove toglie, Alonzo, in realtà è altrettanto deforme. L’amore lo renderà ulteriormente deforme, nel momento in cui l’uomo accetterà di farsi davvero tagliare gli arti superiori pur di ottenere l’accesso all’intimità di Nanon. Un accesso nuovamente proibito, dato che la ragazza ha invece superato le sue turbe senza dover accedere al campo fisico, ma restando nella sfera mentale, psicologica.

Di fronte a un tale subbuglio psicologico, Browning compie una scelta opposta in fase di realizzazione: Lo sconosciuto è un film composto, rigoroso, essenziale e del tutto privo di orpelli. Non aggiunge nulla, attraverso il vincolo del meraviglioso, a una costruzione narrativa e a uno studio dei personaggi che basta e avanza per scioccare un pubblico che non è affatto preparato a una tale esposizione plateale di efferatezze, brame, desideri celati e inconfessabili (il nano Cojo è un servitore fedele di Alonzo, ma le sue attenzioni nei confronti dell’amico travalicano i confini dell’ammirazione per entrare a loro volta in quelli dell’amore, dell’ossessione). Un pubblico che forse non sarà mai preparato a tutto questo; perché in un’epoca pre-code Hays, nessuno ha avuto il coraggio di osare così tanto a Hollywood. E non c’è film che assomigli a Lo sconosciuto, così turpe e disperato allo stesso tempo, dolce e furioso, cinico e appassionato. Sarebbe davvero ora di riscoprire una volta per tutte il nome di Tod Browning, per consegnargli i meriti che con troppa leggerezza sono stati spesso minimizzati e sottostimati. Un lustro prima di Freaks esisteva già un suo fratello, in qualche modo speculare eppure così prossimo a quelle esigenze, e a quel coraggio, che in pochi nell’industria hanno dimostrato di possedere.

Info
Una breve sequenza de Lo sconosciuto.
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