Una campagna senza precedenti

Una campagna senza precedenti

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Nato per celebrare la piena riuscita del primo Piano Quinquennale di un’Unione Sovietica in fase di collettivizzazione e modernizzazione agricola e industriale, dimenticato per oltre ottant’anni e ritrovato solo di recente, giunge sullo schermo delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone Una campagna senza precedenti, regia in solitaria di Mikhail Kaufman già fratello e operatore di Dziga Vertov.

L’uomo con la macchina agricola

Nei dintorni di Odessa, il primo Piano Quinquennale stava portando alla collettivizzazione dei campi e alla rivoluzione agricola con i macchinari forniti dallo Stato. La macchina da presa e lo sguardo avanguardista di Mikhail Kaufman viaggiano nella modernizzazione della NEP, fra le prime industrie sovietiche e le campagne al lavoro senza più padroni, fra l’alfabetizzazione e l’assistenza sociale. [sinossi]

Di sicuro fra i fratelli Kaufman, dal maggiore Denis passato alla storia come Dziga Vertov e fra i principali teorici dell’Avanguardia Sovietica al più giovane Boris che sarà direttore della fotografia (non solo) per Jean Vigo, passando per il mediano Mikhail che fu collaboratore e operatore di fiducia di Dziga per tutti gli anni Venti e poi regista in solitaria, quella del cine-occhio era una teoria ben più che condivisa. La macchina da presa, in mano ai tre fratelli Kaufman, diventa una sorta di prolungamento ed evoluzione dell’occhio umano, l’unico modo per scorgere la realtà rendendo visibile l’invisibile, l’unico modo per cogliere “la vita colta sul fatto” senza limiti né distanze, restituendo sullo schermo emozioni e meraviglia per la quotidianità e rifiutando ogni tipo di finzione perché inadatta, secondo loro, a propugnare gli ideali Comunisti. Erano altre, semmai, le disparità di vedute che portarono alla rottura di Mikhail con Dziga poco dopo aver diretto insieme L’uomo con la macchina da presa.
Erano diversi gli interessi sui soggetti da filmare – la macchina per Vertov, l’uomo per Mikhail –, erano differenti gli stili di ripresa, e soprattutto era diversa la concezione del montaggio e della funzione del cinema, vero campo di ricerca di Vertov pronto a sfruttare la realtà per ragionare sul mezzo e invece, all’opposto, semplice mezzo da sfruttare per mostrare la realtà secondo Mikhail.
Anche dopo la scelta di Mikhail di seguire Dziga a Kiev per continuare a lavorare insieme dopo il licenziamento subito dal Sovkino di Mosca per il “troppo formalismo” di Vertov, i rapporti fra loro erano destinati a deteriorarsi, da un lato per la forza accentratrice del fratello maggiore pronto a prendersi per diversi anni tutti i meriti per la realizzazione dei film lasciando Mikhail nell’ombra, dall’altro per una maggiore volontà di autonomia da parte di un fratello minore che nel frattempo, già nel ’27 e nel ’29, aveva realizzato i primi lavori da solo, dall’altro ancora per il fastidio di Vertov di fronte alla decisione di Mikhail di inserire nelle sue regie parti girate per Dziga e poi scartate.

Fra queste, le sezioni che aprono e chiudono Una campagna senza precedenti, riscoperto dopo oltre ottant’anni di oblio e presentato (purtroppo in un DCP che non rende giustizia alla volumetria di un film di spazi che pretenderebbe il flicker e la fisicità della pellicola) alle trentaseiesime Giornate del Cinema Muto di Pordenone, erano già state dettagliatamente descritte da Mikhail Kaufman nelle note di regia de L’undicesimo (1928), ma non incluse da Vertov nel montaggio finale. E non è certo da escludere che anche altre parti del film, presentato per la prima volta solo nel ’31 dopo aver filmato l’uscita dalla fabbrica del primo mezzo agricolo di produzione sovietica dopo anni di crescita e modernizzazione in sella però a marche americane, fossero già pronte in precedenza.
Per portare a termine Una campagna senza precedenti, vero e proprio passaggio in rassegna delle evoluzioni e degli effetti positivi della collettivizzazione sul proletariato, Mikhail Kaufman ebbe bisogno di circa tre anni di lavorazione e di oltre 14000 metri di pellicola impressionata, dai quali, sfruttando le spinte da Mosca perché fossero prodotti film di propaganda pronti a esaltare la collettivizzazione delle campagne, l’eliminazione dell’alfabetismo e l’industrializzazione del Paese, condensò in 70 minuti un’immersione non solo nelle novità che la modernizzazione portava in termini di macchine e di aumento esponenziale della produzione, ma anche nella viva gioia degli uomini e delle donne, non più servi della gleba per i kulaki ma finalmente liberi e cooperanti nelle terre collettivizzate.
È un film di lotta, Una campagna senza precedenti, è un film di fedeltà agli ideali bolscevichi, ma soprattutto è un film di uomini e di donne, di volti e di situazioni, di sorrisi e di quaderni sui quali si imparava a leggere e a scrivere. Il cine-occhio diventa così in un certo senso cine-uomo, o forse cine-cuore, con la capacità di Mikhail Kaufman di restituire le personalità e le emozioni degli uomini che inquadra nel loro sudore e nel loro riposo, con la loro resistenza ai tentativi di sabotaggio da parte dei kulaki e con i sottotitoli che si fanno sillabati insieme alla loro lotta all’analfabetismo, insieme al crescere della cultura del popolo, insieme all’evolversi del proletariato sotto la protezione dello Stato, Grande Madre rivoluzionaria che tutti abbraccia con giustizia ed equità.

Già, giustizia ed equità. Oggi sappiamo che non tutto, nell’imbarbarimento stalinista, andò esattamente come auspicato da Marx e portato avanti fino alla morte da Lenin. Sappiamo che i kulaki che Una campagna senza precedenti mostra alla stregua di latifondisti sfruttatori e sobillatori (e probabilmente, con i loro privilegi da “contadini di serie A” annullati dalla collettivizzazione, lo erano pure, ma di certo non meritavano le inumane modalità con cui Stalin li avrebbe perseguitati, torturati e sterminati solo pochi mesi dopo il film di Kaufman) vennero ufficialmente dichiarati nemici dello Stato e purgati fra il ’32 e il ’33, prima affamandoli con una carestia pilotata che portò a diversi casi di cannibalismo, e poi deportandone i superstiti nei gulag. Ma questa è un’altra storia, successiva alla magnifica realizzazione dell’utopia di cui parla questo lavoro di Kaufman, e leggibile solo a posteriori nel finale in cui gli appezzamenti dei kulaki ribelli allo Stato smettono di dare frutti.
Una campagna senza precedenti porta invece sullo schermo, con la lirica di chi crede profondamente in un ideale, il proletariato unito e cooperante, nelle fabbriche siderurgiche come nell’industrializzazione agricola, fra lingue di fuoco che sembrano serpenti, treni che sfrecciano e macchinari per la coltivazione e lo stoccaggio. Come ricordato da uno dei cartelli, Lenin parlava di “Agricoltura collettiva per liberarsi da una vita di schiavitù”, e proprio questo vuole raccontare il film di Kaufman, la fattoria che diventa villaggio, la lotta di classe che porta finalmente all’equilibrio sociale, gli impianti di irrigazione e le trebbiatrici che aumentano la produzione, le donne che lavorano esattamente alla pari con gli uomini, il grano che viene trasportato ai centri proletari.
La campagna senza precedenti del titolo sono distese di angurie mature, di meli carichi di frutti, di api che forniscono il loro miele, di rigogliosi grappoli uva nei cui acini i contadini trovano qualche istante di ristoro, resi possibili dal lavoro collettivo e dalle macchine, elencate e mostrate una per una, che lo Stato offriva ai campi disposti a liberarsi del giogo della schiavitù della gleba. Fino a quando i pulcini bucano le uova, e il miracolo della vita diventa ulteriore crescita degli allevamenti gestiti da uomini e donne acculturati, in grado di leggere e scrivere, in grado di far di conto, in grado di credere e condividere gli ideali di libertà e fratellanza. I lavoratori vengono presentati come soldati in prima linea nel portare avanti la Rivoluzione e il Comunismo, come fondamentali ingranaggi della campagna per l’industrializzazione e per il socialismo, ma soprattutto come Popolo unito, fatto di uomini e di donne disposti a diventare una forza sola, la forza del proletariato.

Quando si parla di cinema teorico dell’Avanguardia Sovietica, si tende in genere a sottolineare la capitale importanza del montaggio in quanto linguaggio cinematografico che sovverte qualsiasi altra arte e forma di messa in scena giocando sui contrasti e sugli accostamenti.
Nel caso dei fratelli Kaufman e del loro cine-occhio, in contrapposizione al quale (ma in realtà sarà, più che un vero e proprio contrapporsi, un completamento delle loro teorie che dalla realtà passa alla finzione) Pudovkin teorizzerà poco dopo lo specifico filmico dal quale Ejzestejn a sua volta elaborerà il montaggio delle attrazioni e il cinepugno come shock per lo spettatore, il discorso è in realtà un po’ differente, e nasce ancora più a monte, sin dal momento delle riprese, da una moltiplicazione dei punti di vista. Certo, anche il montaggio, se non altro come portatore di ritmo e calderone nel quale perdersi e stupirsi, ha sempre avuto anche per loro importanza essenziale, specialmente quando Dziga Vertov, ne L’uomo con la macchina da presa, lavorò sugli effetti e sulla manipolazione del cinema fra doppie esposizioni e dissolvenze, sulle immagini nelle immagini, sulle specularità e moltiplicazioni, ma la vera forza e unicità del cinema targato Kaufman – che sia quello di Dziga Vertov, che sia quello di Mikhail o anche che sia quello fotografato più o meno negli stessi anni da Boris (le inquadrature “a salire” sulle ciminiere che Mikhail Kaufman usa come cifra stilistica si possono trovare pressoché identiche, pur con diverso senso, anche in A propos de Nice girato l’anno precedente dal fratello minore sotto la regia di Jean Vigo) – sta proprio nei fotogrammi di partenza, nell’immagine in quanto spettacolo della realtà.
Quello teorizzato e messo in pratica dai fratelli Kaufman è un cinema di scelte inedite, radicali e spesso pericolose su dove piazzare la macchina da presa, di panoramiche laterali o verso l’alto di straordinaria fluidità in tempi in cui di certo i treppiedi non avevano le teste frizionate, di immagini che scorrono veloci a suggerire il costante movimento del cinema e della Rivoluzione, del Popolo al lavoro e degli ideali mai domi per i quali combattere giorno dopo giorno, insieme, collettivamente.

Per realizzare Una campagna senza precedenti, Michail Kaufman ha girato immagini forse mai così audaci, spingendo la manovella della sua macchina da presa sulle ruote ferrate di un treno come al centro dei binari, sui mezzi agricoli come negli altoforni, sugli scivoli per il carbone come nei campi al sole, sotto le torri di fumo della modernità come fra i cingoli delle trebbiatrici, correndo a schiaffo da un aspetto all’altro della stessa realtà, soffermandosi sui dettagli dell’acqua come sui campi lunghi delle sterminate coltivazioni, passando dal grano alle stalle, fino a quando non saranno le stesse cineprese a mostrarsi, con gli operatori alla manovella, quando il primo trattore integralmente sovietico verrà inaugurato fra gli applausi di chi ha lavorato per rendere possibile l’industrializzazione.
Eppure, nel condiviso gusto per la macchina e il moderno, ciò che distacca Mikhail Kaufman dal fratello Dziga Vertov è proprio il suo costante incedere e concentrarsi sull’uomo, sugli istanti di vita, sulla piena e soddisfatta condivisione di un ideale e del modo di vivere che questo ideale richiede. Fino alla chiusura su Lenin, l’uomo che ha reso possibile l’utopia, l’uomo che ha guidato la Rivoluzione, l’uomo che ha liberato il Popolo e il proletariato. L’uomo che, a sette anni dalla scomparsa, stava iniziando a mancare in Unione Sovietica. E che ancora oggi, sempre di più e in tutto il mondo, manca come non mai.

Info
La scheda di Una campagna senza precedenti sulle Giornate del Cinema Muto.

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