Il libro di Henry

Il libro di Henry

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Unisce due film in uno Colin Trevorrow in Il libro di Henry e il risultato non può essere soddisfacente: da un lato il dramma familiare, dall’altro il thriller. In mezzo, una mamma spaesata, interpretata da Naomi Watts, che non sa come affrontare il mondo.

Too Much Henry

Henry Carpenter è un bambino dalla mente brillante che vive in una piccola cittadina con la madre Susan e il fratello minore Peter. La sua perspicacia e il suo sguardo attento portano Henry a pensare che la sua vicina di casa, Christina, sia vittima del suo patrigno. Henry e sua madre cominciano così a investigare e a escogitare un piano per salvare la bambina. [sinossi da Wikipedia]

Stupisce vedere un film così palesemente spezzato in due come è Il libro di Henry, frutto dell’indecisione sul tono da prendere e sulla direzione da dare al racconto.
Diretto da Colin Trevorrow (già autore di Safety Not Guaranteed e di Jurassic World), infatti il film è incentrato, nella prima parte, sulla storia di un ragazzino geniale e sulla sua famiglia (la madre e un fratello più piccolo), mentre nella seconda devia senza solidi motivi verso il thriller, passando anche il testimone del protagonista che viene consegnato dal già citato genio alla madre di lui, interpretata da una Naomi Watts che ce la mette tutta per risultare credibile ma deve arrendersi di fronte alla schizofrenia della scrittura.

Il piccolo Henry pensa a tutto in casa: intrattiene il fratello più piccolo con giochi pirotecnici, fa di conto, pensa alle bollette e consiglia alla madre di smetterla di andare a fare alla barista perché lui ha provveduto a farle guadagnare un bel gruzzolo grazie a una serie di investimenti. Lei però è ottusamente convinta di dover ancora lavorare e lo fa, anche se poi in casa passa il suo tempo a giocare ai videogiochi, mentre il figliol prodigo si prodiga – come suo solito – a studiare qualcosa di astruso. Bastano dunque pochi minuti perché Henry risulti subito insopportabile con la sua prosopopea di grillo parlante e con l’aria da primo della classe che non può essere mai smentito perché comunque ha sempre ragione lui.
Qualcosa però si insinua: Henry è anche molto altruista e vorrebbe salvare la vicina di casa e sua compagna di classe che crede essere molestata dal patrigno. L’afflato del ragazzino si configura poi con ancora maggior precisione quando, al supermercato, vorrebbe intervenire per difendere una donna spintonata dal suo compagno. Ma la madre lo ferma. Henry insomma vuole salvare il mondo, grazie alla sua superiore intelligenza. Non potrà però farlo, non è Spiderman. Sarà dunque la madre a provarci, non a salvare il mondo, ma quantomeno la vicina. Ed è qui che il film perde definitivamente la bussola, innestando dinamiche da thriller e da detection che hanno la credibilità degli scontri a fumetti tra Topolino e Gambadilegno.

L’ingenuità con cui Trevorrow costruisce questa fase del film potrebbe far pensare all’Antoine Doinel di Truffaut, quello di Baci rubati, senza però quella saggezza nell’ingenuità, quella cinefilia nella riscrittura dei codici che caratterizzavano il cinema dell’autore francese, e in particolare senza il consapevole e ironico affetto con cui questi guardava a certi stereotipi del cinema americano.
Al contrario, ne Il libro di Henry non c’è cinefilia, non c’è saggezza, c’è solo la costrizione di voler portare avanti un percorso sempre più sbalestrato – anche perché la colpevolezza del patrigno non viene mai davvero dimostrata, forse per eccessivo pudore, forse per eccessiva insipienza – e con Naomi Watts che ad un certo punto decide persino di imbracciare il fucile.
Quel che resta alla fine de Il libro di Henry è piuttosto un qualcosa che potrebbe lasciare un po’ di inquietudine: l’ “eliminazione” da un lato del personaggio “troppo buono” di Henry e dall’altro di quello “troppo cattivo” del vicino di casa sta a indicare una vittoria dell’uomo comune, della medietà d’intelletto, qui incarnata proprio dalla Watts. Si vive più a lungo da ottusi. Ma ne vale la pena?

Info
Il trailer di Il libro di Henry.
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