Gli attendenti

Gli attendenti

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Commedia del disimpegno, Gli attendenti di Giorgio Bianchi giungeva fuori tempo massimo a perpetuare un’idea di intrattenimento leggero e astratto, mosso appena da tenui legami con l’Italia del tempo. In dvd per CG Entertainment.

Un condominio è abitato esclusivamente da comandanti dell’esercito, alcuni in pensione, altri sposati con prole, altri ancora scapoli impenitenti. All’arrivo dei nuovi soldati di leva in caserma, alcuni di loro vengono assegnati alle case dei comandanti in qualità di attendenti. Il caos portato dai giovani creerà più di un problema agli attempati militari… [sinossi]

Piccole schermaglie amorose, giochi di ruolo tra superiori e soldati di leva, goliardia, il respiro narrativo del breve sketch/scenetta che dal varietà è passato nel giovane modello televisivo, e dalla sua traduzione in cinema ritorna alla televisione in un flusso scambievole e circolare. Tra i numerosi (davvero tanti, troppi) personaggi di Gli attendenti (1961) di Giorgio Bianchi, saltano agli occhi soprattutto i duetti tra Gino Cervi e Andreina Pagnani, già compagni di teatro e in seguito accolti da grande successo per la collana di sceneggiati televisivi “Le inchieste del commissario Maigret” (quattro serie tra il 1964 e il 1972), dove la Pagnani affiancava Cervi nei panni della moglie acuta e intuitiva.
In Gli attendenti i battibecchi tra i due sono di gran lunga la cosa migliore del film, dove risaltano soprattutto le doti brillanti dell’attrice, qui chiamata a incarnare la madre invadente e possessiva di un soldatino al servizio di un militare. Rivisto a posteriori Gli attendenti rivela con forza ancora maggiore la sua natura fortemente formularica: uno stuolo di volti noti convocati in un contenitore di commedia dall’andamento episodico, e tenuti insieme da un elementare spunto narrativo che stavolta, più che in altre occasioni, rivela tutta la sua natura pretestuosa. Volti noti che appartengono a una sfera di spettacolo ormai intensamente multimediale: tra apparizioni televisive, esperienze teatrali e nel varietà, e partecipazioni cinematografiche, i vari Renato Rascel, Vittorio De Sica, Gino Cervi, Lelio Luttazzi, Dorian Gray, Luigi Pavese e chi più ne ha più ne metta portano il loro talento nelle forme sempre più diversificate dell’intrattenimento, affidandosi a un meccanismo ricettivo di immediata riconoscibilità. Così, questo cinema puramente di consumo finisce anche per nutrirsi di se stesso, riproponendo anche attori dal nome meno noto ma codificati dalla loro notorietà sotto un preciso aspetto fisico o sociale – è il caso di Marcello Paolini, qui chiamato a incarnare di nuovo il soldato goffo e ingenuo dopo aver già vestito gli stessi panni in Arrangiatevi! (1959, Mauro Bolognini).

In qualche modo, Gli attendenti attesta una versione “ultimativa” del neorealismo rosa, dove i tratti sociali sono ormai del tutto slegati dal loro effettivo peso realistico, assunti in un contesto di puro e semplice meccanismo autosufficiente d’intrattenimento, che con la realtà di riferimento conserva rapporti assai tenui e allentati. Agli albori degli anni Sessanta l’Italia ha ormai fatto passi avanti, e ai “poveri ma belli” adesso si sostituiscono contesti sociali più variegati, da signore benestanti con cocchi di mamma al seguito all’evidenza di una propugnata solidità nazionale che si compiace di innocui umorismi sul mondo militare e su comandanti tutti d’un pezzo. Come traccia del reale non resta che un gioco garbato e manierato sui dialettalismi: Gli attendenti ne registra un’ampia gamma, richiamati però null’altro che a suscitare un sorrisetto di immediato riconoscimento all’interno di un intrattenimento strapaesano. In sostanza, messe da parte le relazioni con la Storia, Gli attendenti non fa altro che rinnovare le maschere della Commedia dell’Arte, aggiornate all’attualità coeva e soprattutto depurate della loro carica aggressiva ed eversiva, ricondotte in un alveo quieto e sereno da pantofole in salotto, dove fa capolino un’Italia timidamente moderna negli ambienti, negli interni delle case, nelle dinamiche psicologiche messe in scena.
Resta una sola nota dissonante, anche piuttosto scoordinata rispetto al resto: il soldato pacifista incarnato da Renato Rascel, che rasenta temi-tabù in quell’Italia come l’obiezione di coscienza sulla scorta di una riqualificazione della poesia e della cultura a contrasto con la brutalità della guerra, tracciando il profilo di un professore malinconico in fuga dalla violenza. Tuttavia, se pure Rascel conduce tale figura in un territorio alieno al resto del film, anch’essa è trattata un po’ alla stregua di una maschera, un’ulteriore variante rapidamente sociologica dell’Italia del tempo, che accanto al comandante-Pantalone (Vittorio De Sica) registra anche la presenza di un soldato-Pierrot. È un cinema che, nato sullo sfruttamento di volti noti nella loro arte divenuta multimediale, si nutre pure di se stesso, non soltanto riproponendo personaggi in vesti già ripercorse (il caso di Paolini), ma anche duplicando figure famose in un’ottica di sfruttamento massivo.

Fin da subito Gli attendenti lascia infatti l’impressione di un film costruito su linee ben note alla commedia disimpegnata di quegli anni, realizzata probabilmente con minori fondi e con ulteriore rapidità. Ciò trova conferma dal tentativo di inscrivere nel personaggio interpretato da Stelvio Rosi parole, comportamenti e gestualità ricavate dal Nando Meliconi perfezionato da Alberto Sordi per Un americano a Roma (1954, Steno). Stessa sbruffoneria, stesso linguaggio impastato di anglismi, addirittura lo stesso intercalare (quel compiaciuto e mellifluo “è vero” in chiusura di frase), e ancor più significativamente la sua tranche narrativa ripercorre gli stessi passi sordiani. Militare di leva assegnato come attendente di un superiore, il soldato di Stelvio Rosi ha un passato come ballerino americano di varietà, e allo pseudonimo sordiano di Santi Bailor sostituisce un più diretto Tony Astaire.
Tale duplicazione in forma “ribassata” si profila in forma gigantesca quando, nel teatrino dove Dorian Gray fa le sue prove, si lascia uno spazio del tutto inatteso (e ingiustificato dalla trama) all’esibizione di un sosia di Totò, che vestito con frac e bombetta si produce nel noto “ballo della marionetta”. Con le dovute proporzioni, per un attimo pare di assistere al medesimo meccanismo di sfruttamento comico “basso” che vent’anni dopo porterà Mireno Scali, sosia di Roberto Benigni, alla partecipazione in vari film comici realizzati in tutta fretta.

In sostanza, Gli attendenti dice tra le righe “I veri Alberto Sordi e Totò non li abbiamo potuti avere, perciò accontentatevi delle loro copie”. Del resto, a fronte di un cartellone amplissimo di attori Gli attendenti mostra la stessa dinamica anche nei confronti dei suoi nomi più noti. Tributato del primo posto nei titoli di testa, Vittorio De Sica riduce la sua presenza a poche apparizioni. Occupa intere sequenze solo nell’incipit e nel finale, mentre per il resto si limita a salutare in giardino, intento alle sue piante, registrando il viavai degli altri personaggi fuori e dentro dal condominio – in un caso è addirittura ridotto a “presenza in assenza”, ossia confinando la sua partecipazione all’inquadratura soltanto alla voce fuori campo che interviene in chiusura di frame. Renato Rascel è più presente ma alla lunga il suo rapporto col figlio zuccone di Luigi Pavese risulta stancante e ripetitivo, diluito in una strana dilatazione dei tempi narrativi.
È un po’ la cifra dell’intero film, una sostanziale staticità narrativa che trova qualche variazione solo nell’ordine della ripetitività. I ritmi sono laschi, le figure appena abbozzate o ridotte a caratterizzazioni astratte tali da non permettere né una commedia sociale e di caratteri, né forme di comico puro. Gli attendenti appare quindi un film fuori tempo massimo. Alle porte bussano gli anni Sessanta, le zampate e le amarezze consapevoli di Dino Risi, Antonio Pietrangeli, Mario Monicelli. I sorrisi garbati di un’Italia gonfia di ottimismo potevano solo reiterarsi stancamente e meccanicamente, chiudendosi anche in una dimensione a suo modo autoreferenziale: varietà che sfiora la realtà e ritorna al varietà, nutrendosi di un immaginario cinematografico dal quale scegliere le pagine migliori. Ma in tanto ottimismo, fondato non secondariamente su una rigorosa scala sociale, risuona già in lontananza il clacson di Bruno Cortona. Richiamo all’entusiasmo, richiamo alla realtà.

Extra: schede informative su Giorgio Bianchi, Vittorio De Sica e Renato Rascel.
Info
La scheda di Gli attendenti sul sito di CG Entertainment.
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