Raiva

Western con fuorilegge, tragedia familiare, noir. Raiva di Sérgio Tréfaut è una potente metafora della lotta di classe. In anteprima al PerSo 2018.

La lotta continua

Alentejo, 1950. Nei campi deserti del Portogallo meridionale, sferzati dal vento e dalla fame, la violenza finisce per esplodere: diversi omicidi a sangue freddo avvengono durante una sola notte. Perché? Cosa ha causato questi crimini? Adattamento del romanzo Seara de vento di Manuel da Fonseca, un classico della letteratura portoghese del ventesimo secolo, Raiva è una storia noir di abusi e rivolte. [sinossi]

La lotta per i propri diritti contro padroni usurpatori è una necessità umana che supera le leggi morali così come le coordinate temporali e geografiche. È questo il concetto alla base di Raiva (Rabbia) nuovo film del regista portoghese (ma nato a San Paolo, Brasile) Sérgio Tréfaut, presentato in anteprima nazionale al PerSo – Perugia Social Film Festival 2018. Già vincitore della passata edizione della kermesse perugina con Treblinka, lavoro dedicato alle memorie dei sopravvissuti al campo di sterminio nazista, Tréfaut, che ha una lunga esperienza documentaristica alle spalle e ha diretto per diversi anni il prestigioso festival Doclisboa, si cimenta questa volta con una storia di contadini deprivati della propria terra e dunque del lavoro, affamati dai ricchi latifondisti locali, il cui potere è protetto dalle forze dell’ordine, ben intenzionate a mantenere lo status quo.

Ambientato nel sud del Portogallo del 1950, il film ha un incipit folgorante, che vede il protagonista Palma (l’attore esordiente Hugo Bentes) imbracciare il fucile e assestare due colpi nello stomaco al perfido proprietario terriero Elias Sobral e al di lui pavido figlio, per poi asserragliarsi in casa e affrontare, sostenuto dall’anziana suocera, l’arrivo dell’esercito. Mescolando una messinscena tipicamente western con i toni di un realismo magico, quasi onirico (cui sembra alludere quello sguardo verso il cielo stellato di Palma durante la fuga nei campi), Raiva ripercorre dunque à rebours gli ultimi giorni della vita del suo protagonista, immergendoci nella miseria che grava sulla sussistenza della sua famiglia, composta dalla moglie (Leonor Silveira, volto iconico del cinema di Manoel De Oliveira), dalla di lei anziana madre, dalla figlia ventenne e dal problematico figlio, affetto da un ritardo mentale che pare scaturire dall’indigenza, da una terra arida, perennemente battuta dal vento, infine sottratta al lavoro dell’uomo dai prepotenti latifondisti. Per sopravvivere e prendersi cura del proprio nucleo familiare, a Palma non resta che dedicarsi al contrabbando, trasportando a piedi, nottetempo, delle merci oltre il confine con la Spagna (dove ad attenderlo, in un breve cameo, troviamo l’attore Sergi Lopez). Brigante disilluso, ultimo eroe di una comunità sgretolata dal potere, ove regna la delazione in cambio della protezione da parte del signore locale, Palma è un fuorilegge senza speranza, cui fa da contraltare il personaggio della giovane figlia, in prima linea nelle proteste contadine, in quanto ancora animata da un residuo di speranza in un futuro migliore.

Tutt’altro che accessori, i personaggi femminili tratteggiati da Tréfaut sono degli spiriti indomiti e combattivi, retaggio di una cultura matriarcale che trae linfa vitale dalla terra (la nonna), dalla maternità (la moglie), dalla lotta per il lavoro e i diritti (la figlia). Tratto dal romanzo Seara de vento di Manuel da Fonseca, resoconto di un tragico evento occorso negli anni ‘30, Raiva, sostenuto dalla splendida fotografia in bianco e nero firmata da Acácio de Almeida, Raiva mescola toni western e noir, fa un uso plastico e quasi tridimensionale di ciascun elemento in scena, incastonando i volti e i corpi dei personaggi nel brullo paesaggio, lasciando montare la sua tragedia umana in interni disadorni e polverosi, concedendosi squarci avventurosi che riecheggiano il grande cinema del passato: dal western fordiano a La terra trema di Visconti, fino a Salvatore Giuliano di Francesco Rosi.
Ma non è un film “in costume” Raiva, bensì una potente metafora su ogni genere di rivalsa (anche armata) contro lo sfruttamento. A confermarlo è poi l’uso sorprendente delle musiche, del tutto assenti se si eccettua la presenza reiterata del canto popolare dei minatori delle Asturie, usato già come strumento di lotta politica in altri luoghi e tempi, inclusa la dittatura cilena.

E se in questa fortunata stagione del cinema portoghese contemporaneo – che ha visto film come A fabbrica de nada di Pedro Pinho e Verão Danado di Pedro Cabeleira raccogliere consensi nei maggiori festival internazionali – non abbiamo trovato Raiva in qualche prestigiosa vetrina festivaliera, la risposta, fornita dallo stesso Tréfaut in occasione della presentazione del film a Perugia non può che essere confortante, e ribelle. Pare infatti che un selezionatore della Quinzaine cannense abbia esortato il regista a fornire il suo film di un collegamento con il presente, con quella crisi economica che da tempo si abbatte sul Portogallo e su buona parte dell’Europa. Ma non era questo l’obiettivo di Tréfaut, né la vera natura del suo progetto. Ed è stato senz’altro meglio così. Raiva è frutto di un’urgenza creativa reale, il fulgido prodotto di un fare cinema che non ha alcuna intenzione di piegarsi alle regole commerciali e festivaliere. C’è sempre qualcosa per cui vale la pena lottare.

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La scheda di Raiva sul sito del PerSo Film Festival.
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