Technoboss

Technoboss

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In concorso al 72esimo Locarno Film Festival e poi a Doclisboa 2019, Technoboss è il nuovo film di João Nicolau, un’altra operetta strampalata, colorata e musicale del regista incentrata per la prima volta su una figura matura e non su un adolescente. Stavolta però non riesce a mantenere quell’equilibrio perfetto di surrealismo e realismo che ha sempre caratterizzato il suo cinema.

Papparappapparappà

Luís Rovisco, sessantenne divorziato, attende di ritirarsi presto dal suo lavoro di direttore commerciale della società SegurVale – Integrated Systems of Access Control. I suoi anni di esperienza gli permettono di evitare le trappole della tecnologia, dei colleghi e di un capo misterioso. Neanche la morte dell’adorato gatto Napoleão, il costante dolore al ginocchio o una bega familiare lo sopraffanno: non c’è nulla che non possa essere messo a posto con una canzone. Ma, davanti alla receptionist Lucinda, la musica cambia. [sinossi]
Aserejé, ja deje tejebe tude jebere
Sebiunouba majabi an de bugui an de buididipí
Aserejé, ja deje tejebe tude jebere
Sebiunouba majabi an de bugui an de buididipí
Aserejé, ja deje tejebe tude jebere
Sebiunouba majabi an de bugui an de buididipí
Las Ketchup, Aserejé

Possiamo dire senza alcun dubbio che il cinema di João Nicolau reinventi i canoni della sospensione dell’incredulità: un cinema strampalato, surreale, con tanti momenti cantati anche se con una costruzione diversa rispetto al musical nelle sue varie declinazioni. L’aspetto grottesco dei suoi film è in realtà il grottesco della società, commerciale, capitalistica, in cui viviamo. Cosa che il regista enuncia da subito nel suo nuovo film, Technoboss, presentato nella competizione internazionale del 72esimo Locarno Film Festival, mostrando l’ambiente di lavoro del protagonista, in uno di quegli agglomerati di capannoni e uffici, non luoghi che circondano le nostre città, in cui però spicca una stravagante fontana a forma di grande doccia.

Tutto il costrutto del regista non gli impedisce di raccontare delle persone vere, in crisi, in un momento di trasformazione della propria vita, con empatia. I suoi protagonisti sono di solito adolescenti, ma, per la prima volta, Technoboss è incentrato su uomo di mezza età, Luís Rovisco, tipico uomo medio, non particolarmente cinegenico, anche per quell’accenno di labbro leporino. Uomo che passa la vita in macchina per raggiungere i clienti, e in albergo. Si occupa di un settore che è diventato cruciale, quello dei sistemi di sicurezza, i sensori collegati a un sistema centralizzato, tutto da decrittare, che ha reso la nostra vita un continuo inserire password e pin imparati a memoria. Sistemi perfettamente congegnati prossimi all’impazzimento, e nel caso sono guai, come del resto buona parte delle persone che incontriamo ogni giorno. Un uomo qualunque, un everyman, diebbe Umberto Eco, un uomo solo, divorziato, con ben poche speranze di trovare un’altra compagna fino all’incontro con l’addetta alla reception dell’Almadrava Hotel, in cui deve soggioranare per lunghi periodi nei suoi viaggi di lavoro. Si consola con i suoi gatti, uno dei quali però lascia questo mondo. Luís Rovisco è interpretato non da un attore professionista ma da Miguel Lobo Antunes, un importante operatore culturale, direttore di importanti istituzioni, molto noto in Portogallo.

L’energia cinetica che si portano dietro i personaggi di João Nicolau parte da quelle situazioni comuni in cui ci mettiamo a cantare, urlare, gesticolare in modo irrazionale sapendo di non essere visti, in ascensore, sotto la doccia. Scatti di liberazione delle energie represse. Così Luís canta, all’inizio, in macchina, a cappella, senza musica extradiegetica da musical, come invece succederà successivamente, come quando con il collega canta il titolo del film, Technoboss, come se fosse la sigla di un cartone animato, o un telefilm, anni Ottanta. Ma il campionario prevede anche la canzone diegetica, nell’impazzimento totale del tutto. Fino ad arrivare al motivo centrale che è ancora, dopo la Lambada del precedente film del regista, John From, ancora un grande successo in lingua spagnola, Asereje delle Las Las Ketchup, anche per il ritornello strampalato e apparentemente senza senso (in realtà una goffa allitterazione di un brano in lingua inglese), puro ritmo musicale che scatena energia danzante, proprio come il cinema di João Nicolau. La degenerazione del realismo del film passa anche per i trompe-l’œil palesemente dipinti che fanno da sfondo ai quei viaggi in macchina che il protagonista fa da sempre, o attraverso l’incorporazione nel suo fisico di messaggi vocali, segreterie telefoniche che ormai gli arrivano senza più l’ausilio di alcun mezzo tecnologico.

Si diceva che il cinema di João Nicolau prevede una sospensione dell’incredulità tutta sua, come se implicitamente stipulasse un contratto con lo spettatore per l’accettazione di quello che sta vedendo. Un’accumulazione che passa per trapani dal significato sessuale, per gruppi metal portati in autostop. Qui però, e per la prima volta, il regista non riesce a tenere insieme tutta la carne al fuoco che mette e a un certo punto il contratto con lo spettatore si scinde. Il calcolo dei tempi di assimilazione è per una volta sbagliato. Diamo comunque atto a João Nicolau di essere uno dei pochi cineasti a girare ancora il pellicola, utilizzando anche per questo film il formato Super 16 mm, una ribellione a quel mondo digitale oggetto della sua satira. Anche Technoboss è montato da Alessandro Comodin, che prosegue così la collaborazione con il regista portoghese, che si esplica nei montaggi reciproci dei film, peraltro completamente diversi tra loro.

Info
Technoboss sul sito di Locarno.
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