Les Enfants d’Isadora

Les Enfants d’Isadora

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Vincitore del Pardo per la migliore regia al Locarno Film Festival, Les Enfants d’Isadora di Damien Manivel, partendo dalla grande Isadora Duncan, è un film sulla danza, su come questa si perpetui nel tempo e si trasmetta tra le persone, su come l’arte possa trasformare una tragedia in bellezza.

Cinema a passo di danza

Dopo la morte dei figli, nell’aprile 1913, la leggendaria danzatrice Isadora Duncan creò l’assolo Mother in cui, con estrema tenerezza, una madre culla il suo bambino per l’ultima volta prima di lasciarlo andare. Un secolo dopo, quattro donne scoprono questa danza straziante. [sinossi]

Damien Manivel, filmmaker con un passato di ballerino, approda con Les Enfants d’Isadora a un film espressamente sulla danza, costruito attorno alla figura della grande danzatrice Isadora Duncan e al tragico episodio della sua vita, avvenuto nell’aprile 1913, quando i suoi due figli annegarono nelle acque della Senna. La grande artista, dieci anni dopo, creò un assolo di danza proprio da quel trauma, dal titolo Mother con la musica di Aleksandr Nikolaevič Skrjabin (Etude, Op. 2, No. 1). Questo fatto racchiude in sé un enorme valore dell’arte, come catarsi, come elaborazione, e condivisione, del lutto, ma soprattutto come modo di trasformare una tragedia immane in bellezza. Damien Manivel non compie quella che sarebbe l’operazione più ovvia, e superficiale, su questo episodio, cioè una ricostruzione da film d’epoca – come fu fatto da Karel Reisz con Isadora con Vanessa Redgrave –, anche evidentemente per mancanza di fondi. Ma realizza un qualcosa di molto più alto e profondo, una riflessione sulla danza, e sull’arte, e sulla sua trasmissione nel tempo e tra le persone, sulla sua permanenza. E sull’emozione profonda che può creare, completando così la sua diffusione. Una forma d’arte, la danza, che rifugge dal concetto di riproducibilità meccanica, che si perpetua solo con la performance dal vivo, l’esecuzione. Esiste una riproducibilità tecnica rappresentata dallo spartito coreografico, riprodotto in un volume, come vediamo nel film dove il primo gesto di danza parte da una fotografia, della copertina dello stesso libro sulla grande danzatrice. Si deve passare comunque dalla potenza all’atto anche nell’interpretazione che può darne una danzatrice. Manivel, con Les Enfants d’Isadora, esprime una celebre frase di Isadora Duncan che riporta come epigrafe: «Non ho inventato la mia danza, questa esisteva da molto tempo prima di me. È rimasta come dormiente da secoli e il mio dolore l’ha rivelata». Così dopo un altro secolo, è affidato a quattro donne il compito di captare nuovamente questa energia, questa armonia.

Les Enfants d’Isadora è diviso in tre parti, senza che ci siano separazioni nette tra queste. Tutto il film è scandito da cartelli che datano le scene in precisi giorni, mentre alla fine il cadenzamento accelera, indicando le ore, non più i giorni, come il ritmo di una coreografia che si concentra. Manivel usa un meccanismo di shift dei personaggi, così come alla fine del suo precedente film Le parc. Non c’è un raccordo tra la prima e la seconda parte, tra la ragazza che prova la coreografia Mother, e l’insegnante di danza alle prese con lo stesso brano con un’allieva portatrice della Sindrome di Down. Non c’è un legame narrativo, la prima protagonista svanisce nel nulla, come magicamente, come in Le parc, o semplicemente dà la staffetta ad altri protagonisti danzatori, toccati a loro volta da quella vibrazione che parte da un gesto, che la prima ragazza riprende dalla copertina del libro che consulta in biblioteca. Quel gesto poetico di danza che si svilupperà e verrà trasmesso per tutto il film, simbolo di accudimento materno. Ci sono elementi che tornano tra la prima e la seconda parte, come se la seconda sviluppasse la cellula artistica delle prima. In entrambe le parti si lavora su un libro diverso, con gli spartiti nella prima, con tante illustrazioni quello della seconda. Si passa da un piccolo spazio di danza, di quelli tradizionali con le pareti coperte di specchi, a un teatrino per le prove, adiacente al teatro più grande dove avverrà lo spettacolo vero e proprio. Una soluzione di raccordo c’è invece tra la seconda e la terza parte: l’ultima protagonista è una donna anziana, di colore, che assiste allo spettacolo per rimanerne molto turbata, in quanto, si evince, ha perso lei stessa un figlio. Questa donna è la depositaria ultima dell’arte di Isadora Duncan, una chiusura di cerchio con la sua uguale tragedia. Mette mano, magicamente, a quel quaderno di appunti della prima ragazza, ricevendone così il testimone. Non una danzatrice o coreografa questa signora, ma comunque pervasa da quella forza di armonia e musica. E in fondo una scena della prima parte riprende un libro sull’Art Brut, sull’arte spontanea appannaggio di tutti, anche a chi ne è escluso per preconcetto come la bambina down. Vediamo questa signora nella sua finestra, tra le tante del palazzo. E alla fine chiuderà una tenda, come un sipario.

Il tocco di Manivel è delicatissimo nell’evocare la figura di Isadora Duncan con la sua vita e la sua arte. Le vite dei personaggi sono appena suggerite, sussurrate. Così si capisce che la prima danzatrice vive con una compagna da un’inquadratura dei loro quattro piedi, che spuntano dal letto, proprio nella parte del corpo centrale per la danza, piedi nudi come spesso nella danza moderna, cominciata con Isadora Duncan, che ha superato le scarpette a punta classiche. Si evince invece che l’insegnante della seconda parte è italiana da una telefonata che fa, in italiano, con qualcuno di importante per la sua vita. Manivel riprende la danzatrice della prima parte, nello spazio delle prove, con dei totali quando è allo specchio, e con dei close-up del gesto quando non lo è. Campi lunghi prevalgono anche nella seconda parte. Il tutto racchiuso in un formato 1,33:1.

Les Enfants d’Isadora funziona con un grande fuori campo, quello dello spettacolo, coronamento di lunghi lavori di insegnamento e prove, che non si vede. Ma è il film stesso ad avere il respiro, l’andamento, la grazia e la leggiadria di uno spettacolo di danza.

Info
Les Enfants d’Isadora sul sito del Festival di Locarno.

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