Lumina

Selezionato per il Matera Film Festival, dopo l’anteprima della scorsa estate a Rotterdam e alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, Lumina, seconda regia per Samuele Sestieri (ma prima in solitaria), è un’opera completamente aliena all’interno del panorama cinematografico nazionale, al confine tra genere e autorialità pura, portabandiera di quella contaminazione che è ormai cifra espressiva della contemporaneità audiovisiva.

Schiavi delle immagini, liberi dalle immagini

Una donna misteriosa si risveglia su una spiaggia deserta. Vaga tra ruderi e macerie, percependo la memoria degli oggetti. Come una fonte di energia, è in grado di riattivare dispositivi tecnologici spenti da tempo. In una città fantasma la donna accede all’archivio digitale dello smartphone appartenuto a Leonardo. Apprende così il linguaggio delle immagini e dei suoni e, attraverso i video della relazione fra il ragazzo e la sua fidanzata, conosce l’amore. [sinossi]

Cosa rimarrà alla posterità della nostra epoca, quella del sovraconsumo d’immagini digitali(zzate), della connessione perenne, della superficie di schermi e concetti? Senza l’ausilio dell’energia elettrica, probabilmente nulla: ciarpame tecnologico, involucri di plastica e cadmio, puro design senza sostanza. Riprendendo il concetto lynchiano/twinpeaksiano della corrente elettrica come unico vero motore del mondo, potere ancestrale prodotto e imbrigliato dalla scienza e dalla tecnica ma mai fino in fondo, Samuele Sestieri, alla seconda regia dopo il successo “di nicchia” del precedente I racconti dell’orso (diretto insieme a Olmo Amato), realizza con Lumina una favola ancestrale, continuamente in bilico tra il fantastico e una prassi cinematografica teorica, memore della storia e dell’evoluzione della Settima Arte. Sestieri viene dalla critica cinematografica, come il suo cosceneggiatore Pietro Masciullo, e la sua abilità più spiccata è quella di riuscire a unificare totale consapevolezza e pura innocenza del gesto filmico, un occhio autoriale, nonostante la giovane età, che ha attraversato interamente il Novecento audiovisivo per riemergere nel nuovo secolo, purificato e pronto a comporre nuove immagini e significati. All’interno di uno smartphone abbandonato si può trovare testimonianza della vita e dell’amore, della felicità e del dolore, basta appunto riaccenderlo tramite una scintilla, e quale migliore raffigurazione antropomorfizzata di quella scintilla che un essere misterioso sorto dalle acque, una donna/ninfa immemore persa in un mondo in rovina?

Protagonista assoluta è dunque “l’aliena” interpretata da Carlotta Velda Mei, perennemente in scena se escludiamo gli “a parte” che emergono via via dal cellulare abbandonato e ritrovato, senza memoria ma completamente affidata alle proprie percezioni sensoriali e alle emozioni, vagante tra rovine e vestigia del “secolo breve”, televisori a tubo catodico e giradischi, muri sbreccati e capanne in disuso, e poi anche nella vita del XXI tramite i brevi filmati attivati dal suo tocco, semplici brani di vite qualsiasi, drammaturgia del quotidiano, così lontano e così vicino. La camera di Sestieri s’incolla alla sua protagonista e ne scruta ogni reazione, ogni sguardo, ogni pudica esposizione, una simbiosi tra autore e soggetto solo in parte spiegabile dal fatto di essere una coppia consolidata anche nella vita privata. In un film che vuole unificare amore e immagine, questo dato esce dal mero gossip per stagliarsi come fondamentale chiave di lettura: la liberazione dalla freddezza delle immagini è necessaria per arrivare all’amore incarnato, ma il percorso di maturazione e consapevolezza non può che passare attraverso la fruizione e la padronanza delle/sulle stesse. La rappresentazione non basta (più), ma tornare ad abbeverarsi da quella fonte rimarrà sempre imprescindibile, per un artista come per un critico cinematografico o un cinefilo. Un monito, insomma, e un auspicio: lasciamoci guidare dalle interiorità altrui rappresentate, ma senza vivere una vita “de relato”, totalmente abbandonata sulla retina e nei centri logici del nostro cervello. Una visione romantica, o semplicistica? Forse, ma la connessione instaurata con l’opera si è rivelata tale che l’impressione è davvero quella di parlare con la bocca degli autori, e ci si perdonerà la forzatura se tale si rivelerà.

Cosa è, dunque, Lumina, al di là dei suoi significati più o meno nascosti? Un fantasy? Può essere, perché assistiamo a prodigi, attraversiamo un mondo altro insieme alla protagonista, entriamo con lei in un tunnel misterioso sulle inquietanti note della (bellissima) colonna sonora di Virginia Quaranta, ascoltiamo provenire da un altrove indefinito la struggente Mr. Lonely, capolavoro del 1962 di Bobby Vinton (e il 33 giri da cui proviene, Roses Are Red and Other Songs for the Young and Sentimental, pare una sintesi efficace dell’intero progetto Lumina). È forse fantascienza? Può essere anche questo, se intendiamo il tutto come un lontano futuro in cui un essere misterioso plana su una spiaggia e impara pian piano a conoscersi/conoscerci, maturando il desiderio di dare corpo alle voci e calore agli abbracci. È un film onirico? Senza dubbio, ed è forse la “soluzione” che a noi piace di più, un labirinto dimensionale dove l’oggetto mostrato è quello sognato e non per forza il sognatore, dove la compresenza di luoghi, epoche e sensazioni all’interno della stessa inquadratura riprende il montaggio interno impossibile dell’attività cerebrale di ciascuno di noi, in quella fase di vita/non vita che inizia appena si chiudono le palpebre e la coscienza ci abbandona. Si torna ancora a Lynch, anche in chiusura, da dove tutto è partito: Lumina andrebbe mostrato al maestro di Missoula, figlio unico di un cinema apparentemente senza eredi. Talmente senza eredi che gli si può perdonare ogni difetto, le lungaggini, un filo d’irresolutezza, una punta di autocompiacimento. Chi scrive l’ha visto prima in una sala cinematografica e quindi sul Pc di casa, e l’invito è quello di esperirlo, se potrete, su grande schermo. La cura del sound design, la “color correction” curata e pittorica del sodale Olmo Amato, la progressione emotiva che necessita pazienza e attenzione, l’immersività che solo una sala buia e un buon impianto audio possono regalare: ci piacerebbe che Lumina accompagnasse la ripartenza, dopo la tempesta Covid-19, delle sale e del cinema italiano in generale.

Info
Lumina, il trailer.

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