The Pink Cloud

The Pink Cloud

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A volte, la fantascienza anticipa scenari destinati poi a diventare reali, anche al di là delle effettive intenzioni. The Pink Cloud della cineasta brasiliana Iuli Gerbase, al suo esordio nel lungometraggio di finzione, scritto nel 2017 e girato due anni dopo, parla di lockdown, interazioni tramite schermi e crisi del rapporto di coppia in cattività, drammatizzando soltanto la mortalità del male. Presentato al Trieste Science+Fiction Festival 2021.

Brasile e nuvole

Una misteriosa e letale nube rosa appare nel cielo, costringendo tutti a casa. Due giovani amanti occasionali dovranno cercare di reinventarsi come coppia mentre passano gli anni del lockdown. La regista brasiliana Iuli Gerbase ha scritto la sua opera d’esordio nel 2017, quando il lockdown era argomento da fantascienza … [sinossi]

A Rio de Janeiro è una mattina come tante altre quando, d’improvviso, delle nuvole rosa compaiono nel cielo, e le persone cominciano a cadere in terra come mosche. Sono soffici nubi color pastello a vedersi, ma appestano talmente l’atmosfera da far perire chiunque si trovi all’aria aperta in dieci secondi netti. Immediatamente le autorità ordinano di tapparsi in casa, mentre vengono approntati dei tubi di plastica collegati ad ogni finestra, un po’ sull’esempio della posta pneumatica, per far arrivare in ogni dove cibo e ogni sorta di oggettistica. La descrizione sociopolitica di questa devastante situazione, praticamente, si ferma qui. A Iuli Gerbase, con il suo esordio alla regia di lungometraggio The Pink Cloud, non interessa il fuori ma il dentro: due personaggi, Yago (Eduardo Mendonça) e Giovana (Renata de Lélis), semisconosciuti, si ritrovano quasi per caso all’interno di un appartamento nel momento della proclamazione della quarantena, e si trovano costretti a trovare un modo per sopravvivere alla convivenza coatta. Che sarà lunghissima, interminabile, quasi una vita intera.

Gerbase gira in un appartamento reale e non ricostruito, pedina i suoi personaggi contribuendo all’opprimente atmosfera, e analizza tutte le varie fasi psicologiche collegate ad una situazione del genere: l’iniziale accettazione, la costituzione della coppia di fatto, la progettazione di un figlio, gli screzi, gli allontanamenti, i tradimenti (naturalmente virtuali), la ricerca di vie di fuga della mente. Una narrazione costruita a blocchi che apre delle finestre solo attraverso schermi: Yago parla con il padre, sempre più anziano e demente, Giovana con la giovane sorella e con un’amica rimasta chiusa da sola, che combatte (fin troppo brillantemente, è da dire) una devastante depressione. Gli squarci provenienti dall’ambiente esterno sono rari, e confinati ad una seduzione a distanza o ad un vicino che trova una (non) soluzione per uscire dall’impasse. Il micromondo dell’appartamento, dislocato su due piani, ci mette davanti comunque ad una situazione di estremo privilegio, medio/altoborghese, che permette ai due protagonisti di non incontrarsi per mesi, forse anni, abitando ognuno un livello. L’analisi, quindi, coinvolge questo specifico segmento socioeconomico, che immaginiamo sia quello da cui proviene la cineasta; se a Gerbase andasse, questo potrebbe essere il primo capitolo di una ricognizione della società brasiliana ad ampio raggio, con nuovi episodi ambientati in altre case, ma non crediamo sia nelle intenzioni, né forse nelle capacità, della giovane regista. Dovesse arrivarle questo testo sotto gli occhi, noi ci limitiamo a suggerire e a consigliare.

I paragoni con la situazione pandemica realmente vissuta dal pianeta (e, specie in Brasile, ancora in pieno corso) sono inevitabili ma sterili: il film è scritto e pensato prima, e la drammatizzazione cinematografica tende naturalmente ad aumentare la mortalità del misterioso morbo così come la durata della quarantena, qui senza sbocco. Interessante come la penna di Gerbase, anche sceneggiatrice, tratteggi l’inversione di ruoli, tratto distintivo della contemporaneità, come dato acquisito: Yago si adatta presto alla situazione, considera il nido familiare come ideale scaturigine di un percorso di vita, vive male l’improvviso allontanamento; Giovana, invece, non accetta mai davvero la reclusione, sempre rivolta all’esterno con la testa e con la speranza, tanto da rifugiarsi in un altrove virtuale, tramite apposito caschetto VR, quando la misura diventa colma. Per il loro figlio, invece, l’appartamento è il mondo, non ha mai vissuto altro e non può desiderare altro: ogni spettatore è libero di adattare questa situazione e la metafora che ne scaturisce come meglio crede.

La nuvola è, dunque, il collasso ambientale del pianeta? L’ultraliberismo montante? Bolsonaro? La nuvola è tutto e nulla, a detta della stessa autrice. Il compito della buona fantascienza è anche quello di esplorare il futuro prossimo e ipotizzare le conseguenze, e in questo caso particolare si ravvisano sprazzi di preveggenza. The Pink Cloud è un’esperienza godibile, e un filo inquietante, per un pubblico amante del mumblecore o della rom-com. Si astengano, invece, i fan delle motivazioni, degli scenari, delle sceneggiature ferree che delineano perfettamente abitudini e conseguenze del mondo che tratteggiano: qui non troveranno nulla di tutto questo, e la cosa potrebbe anche causare irritazione.

Info
La scheda di The Pink Cloud sul sito del Trieste S+F 2021

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