Restos do vento

Restos do vento

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Restos do vento è il nuovo film del regista portoghese Tiago Guedes, che mostra tutti i limiti già avvertibili nel precedente A herdade: una tensione mélo artificiosa, spinta verso il parossismo, e una messa in scena anche elegante ma priva di una reale forza visiva. Un dramma televisivo che trova spazio su uno schermo troppo grande per lui. Tra le séances spéciales al Festival di Cannes.

Mystification River

Una tradizione pagana in un villaggio nelle campagne del Portogallo lascia tracce dolorose in un gruppo di giovani adolescenti. 25 anni dopo, quando si incontrano di nuovo, il passato riaffiora e la tragedia inizia. [sinossi]

Qual è il limite di tempo tollerabile per mettere in pratica una vendetta? Esiste la possibilità concreta del “perdono” per chi ha subito una forte umiliazione? Parte da questi quesiti Restos do vento, il nuovo film del cinquantenne cineasta Tiago Guedes, presentato tra le séances spéciales al Festival di Cannes. È davvero sorprendente come nell’arco di un pugno di anni Guedes, nome pressoché sconosciuto alle platee internazionali, sia riuscito a entrare in sintonia con il consesso festivaliero europeo: una promozione che molto deve alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, visto che fu lì che A herdade venne presentato addirittura in concorso, forse in ossequio al grande produttore Paulo Branco, vero e proprio eroe visto che a lui si devono film tra gli altri di Manoel de Oliveira, João César Monteiro, Raoul Ruiz, Alain Tanner, Wim Wenders, Barbet Schroeder, Pedro Costa, Sharunas Bartas, Andrzej Zulawski, Werner Schroeter, Chantal Akerman, André Téchiné, Jerzy Skolimowski, David Cronenberg. Chissà, magari il nome di Branco dietro i film di Guedes spinge all’indulgenza i comitati di selezione. Viene altresì difficile spiegare come dapprima A herdade abbia trovato spazio nella corsa verso il Leone d’Oro, e ora si dia visibilità – pur relativa, visto che le sezioni fuori competizione sono più protette dalla fagocitosi mediatica – a un’opera come Restos do vento, che sembra riprodurre buona parte dei limiti e degli evidenti difetti del suo predecessore.

Guedes torna a ragionare sul tempo, segmentando in due parti il suo dramma: l’incipit vede i protagonisti adolescenti, per poi ritrovarli venticinque anni più tardi, in un procedimento narrativo che pare quasi à la Stephen King. Anche qui, come ad esempio in It, c’è un momento traumatico che “deve” rivivere due decenni più tardi, quasi si trattasse di una maledizione. Durante una bizzarra festa pagana, tradizionale rito ancestrale di un paesino battuto dal vento – e non a caso dove sono state installate delle pale eoliche, unico appiglio per garantire a quel luogo una pur minima oncia di contemporaneità – in cui dei maschi abbigliati con maschere vistose puniscono le ragazze che a loro detta sono state toccate dal vento, e dunque esposte al “peccato”, uno dei giovani mascherati ha osato difendere una coetanea dalla brutalità dei suoi compagni, e per questo suo gesto di insubordinazione è stato picchiato selvaggiamente, al punto da perdere parte della sua lucidità intellettuale (non che gli altri abbondino sotto questo aspetto peculiare). Venticinque anni più tardi colui che svolse il ruolo di salvatore è l’unico a essere rimasto solo, senza famiglia (addirittura la ragazza ha sposato uno di coloro che volevano picchiarla, e che è diventato poliziotto), circondato solo da cani randagi che tutto il paese guarda con sospetto e disprezzo. Ma il passato può sempre tornare a galla, e basta un soffio di vento per spezzare l’equilibrio instabile su cui tutti hanno costruito la loro vita.

Guedes è un regista che non bada certo a sottigliezze, né ha alcun interesse a costruire una narrazione che cerchi di indagare in profondità le psicologie dei suoi protagonisti: tutto è tagliato con l’accetta, semplificato oltre i limiti dell’immaginabile. La tensione mélo che ovviamente si muove sotterranea è esasperata, spinta verso le estreme conseguenze ma senza la capacità e forse la voglia di gestire i contorni più trash della vicenda: Guedes cerca l’eleganza, ma non sembra possedere uno sguardo raffinato, e così la forza visiva si depotenzia fino a non superare le dimensioni del dramma televisivo, soap sterile e prevedibile. Restos do vento vorrebbe probabilmente essere una versione arthouse di Mystic River, ma la spietata dolcezza umanista di Eastwood è merce rara, e nell’inseguirla Guedes dimentica per strada un reale affetto verso i propri personaggi, lasciati in balia degli eventi. L’impressione è che lo schermo cinematografico sia davvero troppo grande per un film dalle ambizioni magari adeguate ma privo di profondità, scritto senza inventiva e diretto in modo anonimo, cui non riescono ad andare in soccorso neanche le pur accorate interpretazioni dei protagonisti. A distanza di tre anni dalla visione di A herdade il quesito continua a essere lo stesso: cosa vedono i grandi festival in questo regista? Viene quasi la curiosità di recuperare i lavori precedenti di Guedes (ad esempio l’interessante Entre os dedos, di cui è coregista), per scoprire l’arcano, ben più imperscrutabile dei riti ancestrali dei paesini.

Info
Restos do vento sul sito di Cannes.

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