Il giorno prima

Il giorno prima

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Monito contro la minaccia nucleare lanciato alla metà degli anni Ottanta, Il giorno prima di Giuliano Montaldo è un ambizioso apologo fantasociologico, animato da un cast d’attori impressionante per varietà internazionale. Ben Gazzara, Burt Lancaster, Erland Josephson, Ingrid Thulin, e chi più ne ha più ne metta, per una coproduzione cosmopolita (con partecipazione della Rai) in cui l’intento di cinema didattico è più forte di qualsiasi preoccupazione stilistica. Disponibile su RaiPlay.

La fine del topo

Quindici persone di varia nazionalità accettano di sottoporsi dietro lauta ricompensa a un esperimento di convivenza in un rifugio antiatomico. I prescelti dovranno isolarsi per venti giorni in un rifugio tecnologicamente avanzato senza poter uscire né interrompere la loro permanenza, pena la perdita del cospicuo gruzzolo concordato. L’esperimento è coordinato dal dottor Monroe, scienziato americano al quale è stato conferito l’incarico dalla signora Havemeyer, produttrice tedesca di rifugi antiatomici. I primi giorni passano tra i conviventi forzati in una lieta convivialità e conoscenza reciproca. Gli ospiti vengono poi colti da un’angoscia montante quando il televisore a disposizione nel rifugio dà la notizia che fuori è stato davvero lanciato per errore un missile nucleare diretto verso le principali città europee… [sinossi]

Metà degli anni Ottanta. Per il cinema italiano è tempo, come sempre, più di sempre, di coproduzioni prestigiose. Ed è tempo anche di un massiccio coinvolgimento della Rai nelle medesime realizzazioni cinematografiche. Il nome della rosa (Jean-Jacques Annaud, 1986), Mosca addio (Mauro Bolognini, 1987), sono soltanto due esempi di una ricorrente modalità produttiva, con maggiori o minori ambizioni, talvolta nobilitata dall’ascendenza letteraria, altrove (e forse ancor più frequentemente) dalla diretta adesione a questioni socio-politiche di caratura internazionale. Altrettanto mutevole è la ricchezza dell’impianto produttivo. Se per Il nome della rosa possiamo parlare a ragion veduta di kolossal europeo, per Mosca addio si avverte una discreta dicotomia fra le ambizioni internazionali di cast e storia e le evidenti ristrettezze dell’orizzonte espressivo. È anche un po’ il caso di Il giorno prima (1987), progetto che ripropose Giuliano Montaldo alla regia cinematografica a ben otto anni da Il giocattolo (1979). Negli anni intercorsi si colloca il megaprogetto televisivo di Marco Polo (1982-83), una delle miniserie di maggior successo per la Rai del tempo, intenta a dare nuova forma di kolossal internazionale a fastose narrazioni per il piccolo schermo – tra gli altri, ricordiamo La certosa di Parma (Mauro Bolognini, 1982), Cristoforo Colombo (Alberto Lattuada, 1985), I promessi sposi (Salvatore Nocita, 1989). Proprio in questo stretto dialogo tra autori cinematografici e televisione di stato (che a poco a poco coinvolgerà anche l’universo Fininvest) può rintracciarsi probabilmente la cifra più specifica di un film come Il giorno prima. Alcuni dati extrafilmici spingono già verso questo tipo di lettura. A soggetto e sceneggiatura troviamo infatti accreditato nientemenoché Piero Angela, il più popolare tra i divulgatori scientifici in tv lungo gli anni Ottanta e oltre. È innanzitutto Angela a proporci, in questo caso, una riflessione sulle terrificanti derive della minaccia nucleare, tema di grande e diffusa sensibilità negli anni Ottanta e tornato purtroppo di stretta attualità in questi ultimi mesi di guerra russo-ucraina. Anni di reviviscenza della Guerra Fredda, rinfocolata dagli isterici mandati presidenziali di Ronald Reagan, ma anche anni agitati da movimenti globali di denuclearizzazione che preludono alla fine (o sospensione) dell’epoca delle superpotenze contrapposte al di là e al di qua dell’Atlantico. D’altra parte, gli anni Ottanta si delineano pure per un decennio di esaltata tecnologia, da un lato responsabile del rapido sviluppo degli armamenti, dall’altro garante di strumenti di difesa dalla medesima minaccia nucleare. È cronaca quotidiana, in quegli anni, la messa a punto di rifugi antiatomici che possano preservare la sopravvivenza dell’essere umano in caso di un attacco. Ed è proprio intorno a questo dibattito che si sviluppa l’idea di Il giorno prima, lesto prodotto cinematografico progettato per lanciare un grido d’allarme sulle cupissime nubi del futuro che all’epoca sembravano una concreta possibilità nascosta dietro l’angolo.

Il connubio tra cinema e tv di stato nasce insomma intorno a chiari intenti didattici. In qualche modo la Rai sembra voler assolvere alla propria funzione di servizio pubblico anche tramite la messa in cantiere di prodotti di fiction che contribuiscano al dibattito socio-culturale. Tale meticciato cine-televisivo si traduce in alcuni casi (ed è anche la fattispecie di Il giorno prima) in una vera e propria ibridazione stilistica. Forse per sottolineare il rischio globale insito nella minaccia atomica, Rai, Franco Cristaldi e Giuliano Montaldo convocano un cast d’attori cosmopolita di altissimo prestigio, che nel suo ricco ensemble sembra richiamare anche modelli da disaster movie anni Settanta. Vecchie glorie, maestri attoriali ancora sulla cresta dell’onda, qualche attore italiano di grande talento, giovani promesse o veri e propri caratteristi di casa nostra. Vale la pena elencarli tutti, tanto per dare la misura del potere attrattivo del cinema italiano, ancora più o meno intatto alla metà degli anni Ottanta, e per registrare pure la spregiudicatezza tutta nostrana nel compiere impensabili accostamenti (costante caratteristica nazionale almeno dagli anni Quaranta in avanti, con speciale riguardo per l’esplosione del cinema di genere nei Sessanta). Ben Gazzara, Erland Josephson, Burt Lancaster, Ingrid Thulin, Andrea Ferréol, Kate Nelligan, Kate Reid, William Berger, Flavio Bucci, Zeudi Araya, Andrea Occhipinti, Alfredo Pea… Tra di essi rintracciamo una parte dei quindici protagonisti, resisi disponibili per partecipare a un esperimento di sopravvivenza nucleare, isolati per venti giorni in un rifugio antiatomico in cambio di una lauta ricompensa. A capo del progetto sperimentale si delinea il dottor Monroe (Burt Lancaster), ben finanziato da una società tedesca produttrice di rifugi antiatomici di proprietà della ricca signora Havemeyer (Ingrid Thulin). Dietro a un simil-collaudo degli ultimi modelli di rifugio si nasconde in realtà anche un esperimento sociologico. Testare, cioè, in una sorta di mega-vitro da laboratorio, le eventuali reazioni collettive del genere umano in caso di attacco atomico e conseguente convivenza forzata nel sottosuolo. Com’è prevedibile, all’iniziale fase armoniosa, fatta di accoglienza reciproca e calore umano, segue poi l’emersione di esacerbati egoismi quando l’esperimento alza fortemente il livello della pressione psicologica. Si finisce per imbracciare i fucili, per difendere la propria già stentata sopravvivenza dall’invasione dei presunti contaminati rimasti all’esterno.

Agli occhi di chi, da ormai più di vent’anni, è abituato alle dinamiche del «Grande Fratello», Il giorno prima ha probabilmente perso tutta la sua originaria carica immaginifica. Per gli spettatori del 1987 (che invero furono assai pochi) il film di Montaldo poteva assumere infatti i tratti di un ardito apologo fantasociologico, appena un gradino sopra alla diretta e immediata credibilità. Al tempo, minaccia nucleare e rifugi antiatomici erano parole all’ordine del giorno. Più virata sul fanta- (o sul complottistico, o catastrofico) doveva risultare invece l’idea dell’esperimento condotto su un campione di esseri umani, psicologicamente schiacciati soprattutto dalla simulazione di un attacco nucleare. Al giorno d’oggi, tutto ciò è stato ampiamente riassorbito in un orizzonte di normalissima quotidianità. Da circa vent’anni i protagonisti del «Grande Fratello» e simili si lasciano mettere sottovetro in cambio di un premio in denaro.

Per un film ideato tutto in un grigio e alienante spazio chiuso, si deve anche dire che il gioco del Kammerspiel angoscioso e claustrofobico riesce fino a un certo punto. Il passaggio dalla calorosa convivenza al terrore degli spazi chiusi è fin troppo ritardato, e il montare della guerra interna fra i protagonisti è di fatto relegato solo all’ultima mezz’ora, svolta secondo chiavi abbastanza prevedibili. La rapida definizione psicologica dei personaggi risulta poi fortemente tipizzata, giusto un paio di pennellate per ciascuno per conferire un minimo di spessore a figure umane che altrimenti rischierebbero di essere perfettamente sovrapponibili una all’altra – la madre progressista con figlio al seguito, il giornalista americano critico con il proprio Paese, l’anziana credente religiosa, un paio di signori tutti d’un pezzo, un prestigiatore, la bella moglie di un attempato che si dà un’occhiata in giro, la famiglia francese al completo, l’esotica bellezza desiderosa di fare carriera nel cinema (una Zeudi Araya praticamente autobiografica) e, più di tutti, il bello, dannato e malmostoso artista impersonato da Andrea Occhipinti. Nessuno di loro, a conti fatti, lascia veramente il segno, avviluppati in piccoli drammi quotidiani e didascalici confronti sulla situazione geopolitica del tempo. D’altra parte, Il giorno prima assume più decisamente i tratti di un racconto da cinema di genere riletto in chiave corale e collettiva, laddove la (desiderata e spesso non raggiunta) suspense è dovuta a un’inconsueta situazione di vita in cui a poco a poco i nervi saltano lasciando posto al caos e allo scontro fratricida tra esseri umani. Il segno del genere è portato del resto anche dal rapido tratteggio del dottor Monroe, rilettura del visionario uomo di scienze stavolta votato alla dimostrazione progressista di quanto guerra nucleare e rifugi antiatomici siano due facce della stessa folle medaglia. Curiosamente, Burt Lancaster e Ingrid Thulin si trovano di nuovo, dopo Cassandra Crossing (George Pan Cosmatos, 1976), a confrontarsi duramente su due opposte visioni riguardo a una situazione al limite dai riflessi catastrofici. Era stato esattamente il cinema catastrofico nella sua forma più schietta, pochi anni prima, a mettere a disposizione i propri strumenti precipui per un generalizzato spavento intorno alle conseguenze di un eventuale attacco atomico – il televisivo e proverbiale The Day After – Il giorno dopo (Nicholas Meyer, 1983), distribuito in Italia anche in sala, rozzissimo e dozzinale disaster movie che tuttavia costituì un epocale fenomeno di costume. Giuliano Montaldo e Piero Angela sembrano voler rispondere al film di Meyer fin dal titolo, richiamando l’attenzione non sulle devastanti conseguenze del giorno dopo, bensì su quanto sia nel potere dell’uomo per evitare tale olocausto prima che esso accada. Non c’è bisogno insomma di aspettare il giorno dopo per piangere l’estinzione dell’uomo. Essa s’innesca già nel momento in cui la bomba, prima dell’effettivo impatto, scatena nel singolo i suoi più brutali istinti di autoconservazione. La minaccia atomica non è soltanto una minaccia all’incolumità fisica. È anche e soprattutto una minaccia alla (naturale? culturale?) capacità dell’uomo di vivere in uno stato di mutuo soccorso con il prossimo.

Fra le ambiziose coproduzioni italiane dell’epoca Il giorno prima non è sicuramente una delle più riuscite, e anzi interviene a testimoniare una volta di più l’entrata in crisi di un modello produttivo che aveva costituito uno dei punti forti della cinematografia nazionale. Si tratta di un’operazione sostanzialmente anonima, vistosamente povera sotto il profilo espressivo, in cui l’internazionalità si traduce in un impersonale tono medio, buono per qualche passaggio televisivo in Italia e altrove. L’intento didattico, per una volta, riesce però a salvarlo parzialmente. Il messaggio è più forte del film. All’epoca (non certo per merito di Il giorno prima) si ascoltò il richiamo alla razionalità, e la minaccia atomica si attenuò per decenni. Adesso, speriamo che la ragione prevalga di nuovo sulla follia collettiva.

Info
Il giorno prima su RaiPlay.

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