I Giacometti

I Giacometti

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Una valle svizzera, la val Bregaglia che è in verità italiana nella parte bassa, ha generato una dinastia di grandi artisti. È il concetto alla base de I Giacometti di Susanna Fanzun, presentato alle 58° Giornate del cinema di Soletta, l’annuale rassegna del cinema svizzero, incluso nella sezione Premio del pubblico senza ricevere però il riconoscimento, andato al documentario Amine.

Una valle d’artista

L’aspra valle svizzera della Bregaglia ha dato in natali a una dinastia di artisti: i Giacometti. Alberto ha rivoluzionato il mondo dell’arte con le sue figure slanciate. Prima di lui, suo padre era stato un impressionista della prima ora. Che cosa ha reso questa valle il luogo di nascita di tanti artisti? Il film parte sulle tracce di questa famiglia straordinaria. [sinossi]

Una valle svizzera, la val Bregaglia che è in verità italiana nella parte bassa, ha generato una dinastia di grandi artisti. È il concetto alla base de I Giacometti di Susanna Fanzun, presentato alle 58° Giornate del cinema di Soletta, l’annuale rassegna del cinema svizzero, incluso nella sezione Premio del pubblico senza ricevere però il riconoscimento, andato al documentario Amine. Il lavoro della regista engadinese va alla scoperta della famiglia partendo dal più celebre, lo scultore Alberto già protagonista nel 2017 di Final Portrait dell’italo-americano Stanley Tucci, che ne ricostruiva la figura attraverso tre settimane di incontri con il giornalista americano James Lord a Parigi nel 1964 affidandolo all’interpretazione dal premio Oscar Geoffrey Rush. Fanzun usa il documentario – con interviste raccolte nel corso di anni, immagini dei magnifici scenari della valle, materiali d’archivio compreso il breve film di Michael Gill del 1965 – inserendoci brevi inserti di finzione che rappresentano in maniera non didascalica l’infanzia dei quattro figli di Giovanni Giacometti e Annetta. Le prime immagini sono quelle di un ragazzo che tocca la roccia con le mani: l’idea è che sia un giovane Alberto che prende confidenza con il suo ambiente e la montagna e ne ricava la manualità e la capacità di modellare le forme che darà vita alle inconfondibili statue. Si torna indietro al padre Giovanni, cresciuto in un piccolo borgo in quella valle stretta e lunga dalla luce dal taglio unico che scende dal passo del Maloja ai piedi di cime come il mitico pizzo Badile. Giovanni scoprì giovanissimo la sua vocazione artistica, si recò a studiare prima nella vicina Coira e a Monaco di Baviera, dove incontrò il compagno e collega Cuno Amiet di cui resterà amico per tutta la vita. Seguirono infruttuosi tentativi di affermarsi a Parigi e in Italia, per poi ritornare in Bregaglia, dove trovò Giovanni Segantini, che aveva scelto Maloja come terra d’elezione, ed ebbe finalmente la sua opportunità. Giacometti divenne allievo del pittore d’origine trentina e lo dipinse sul letto di morte in un celebre quadro. Alla fine la carriera gli diede prestigio e soddisfazioni, anche se spesso la storia dell’arte lo relega al ruolo di discepolo o di padre.

I Giacometti traccia quasi un parallelo tra il percorso paterno e quello del primogenito, dagli studi all’allontanamento dalla valle pur restandoci profondamente legato, all’approdo a Parigi, che per Alberto fu decisamente più proficuo e fortunato, tanto da sceglierla come dimora e luogo di lavoro. Centrale fu il viaggio formativo a Venezia nel 1920, nel quale il figlio accompagnò il padre ospite della Biennale d’arte. La regista non descrive tanto la carriera di Alberto, quanto di ricostruire i rapporti sempre solidi con la sorella Ottilia e con i fratelli Diego (che lo seguì in Francia, gli fu a lungo accanto e divenne poi disegnatore di mobili) e l’architetto Bruno, del quale il documentario illustra alcuni dei suoi maggiori progetti, in Bregaglia e non solo. Confinata un po’ ai suoi ruoli sociali di moglie e madre fu Annetta, che fu però figura centrale della famiglia e punto di appoggio per tutti, per primo Alberto, che la tenne sempre come riferimento. Come fa trasparire il titolo tutto ruota intorno alla famiglia, ai legami sempre stretti nei successi e nei momenti di dolore. In aggiunta ci sono le testimonianze, filmate da Fanzun nel corso degli anni, di una decina di convalligiani, parenti, vicine di casa e Nelda Negrini, che fu l’ultima giovanissima modella di Alberto a Stampa.

Fanzun ha realizzato un buon film, godibile, che offre informazioni ed emozioni, senza neanche forzare la mano attraverso le musiche, anzi usando un commento sonoro misurato solo con piano, violoncello e rumori d’ambiente. Sebbene l’impostazione sia un po’ televisiva, la regista riesce a non farsi ingabbiare troppo nel formato facendo diventare protagonista anche la Val Bregaglia e il suo ambiente severo. La parte relativa alla valle, con immagini lontane da una facile estetica da cartolina, è la migliore del film, più suggestiva ed evocativa, mentre le sequenze parigine devono condensare ciò che si conosce maggiormente e divengono un po’ didascaliche e riassuntive. I Giacometti ha il pregio di non essere una biografia ricca di spunti, bensì un vero ritratto di famiglia, mostrando e raccontando i protagonisti il più possibile insieme. Il film prova a indagare come nascono la vocazione artistica dentro un ambito familiare e il legame viscerale ai luoghi e ci riesce più in forma di suggestioni che di facili spiegazioni.

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