She Is Me, I Am Her

She Is Me, I Am Her

di

Concepito da principio come cortometraggio, e divenuto successivamente un film a episodi She Is Me, I Am Her permette a Mayu Nakamura di utilizzare la pandemia per parlare della difficoltà di instaurare relazioni autentiche. Pur mostrando delicatezza il film resta un poker di bozzetti dall’ispirazione incostante il cui pregio principale è quello di lavorare con gli spazi angusti o monadici che il Covid per lungo tempo ha imposto.

Quattro pezzi facili

Un poker di episodi racconta la solitudine e la voglia di comunicare con gli altri nel Giappone della pandemia… [sinossi]

Concepito nel 2020 come cortometraggio, She Is Me, I Am Her della regista nipponica Mayu Nakamura è diventato nell’anno successivo un film composto da quattro episodi incentrati sull’isolamento delle persone durante la pandemia, ma anche sulla necessità di sentirsi in connessione con gli altri. Nakamura ha dunque girato uno spaccato di vita quotidiana nella prima estate epidemica per poi aggiungerne altri tre, dando unitarietà soprattutto grazie alle interpretazioni della versatile Nahana (che in questa venticinquesima edizione del Far East è in scena anche in You’ve Got a Friend di Ryūichi Hiroki), capace di incarnare quattro donne differenti per età, condizione sociale o lavoro. Nel cast è anche presente Fusako Urabe che ha un ruolo importante ne Il gioco del destino e della fantasia di Ryūsuke Hamaguchi, un altro film a episodi (Urabe è una delle due protagoniste della terza storia narrata dal regista premio Oscar). Oltre alla costante presenza sullo schermo di Nahana, She Is Me, I Am Her dal punto di vista registico sceglie di circoscrivere in maniera nettissima gli spazi in cui si sviluppano i quattro racconti, rendendo inquadrature fisse e semplici campi/controcampi significanti chiari della costrizione e della solitudine delle persone durante e anche dopo il lockdown. Il risultato è un lavoro ovviamente low budget, girato in quattro location, che sembra suggerire quanto l’epidemia abbia portato alla luce dinamiche già presenti in una società – e non solo quella giapponese – in cui i rapporti tra le persone tendono alla rarefazione e le fragilità non sono accettate a cuor leggero.

Nel primo episodio, Among the Four of Us (“Tra noi quattro”), due donne e un uomo di circa quarant’anni si danno appuntamento telefonico per passare una delle tante serate di confinamento pandemico assieme: i tre facevano parte dello stesso gruppo teatrale all’università, ma hanno preso strade diverse e non si sentono più tanto spesso. Il lockdown è dunque occasione per “ritrovarsi” e confidarsi. L’inquadratura inizialmente si colloca a distanza e alle spalle di tutti e tre per poi avvicinarsi progressivamente e ritrarre i volti dei personaggi man mano che la conversazione procede, fino ad arrivare ai primi piani (ma sempre mantenendo un senso di frammentazione spaziale visto che le tre persone si trovano in tre luoghi differenti). Il dialogo verte in fretta su una quarta persona, Sayoko, che ha significato molto nelle loro vite anche se loro non ne hanno mai parlato. Sayoko, si scoprirà, è morta, e questo dettaglio rende Among the Four of Us piuttosto intrigante poiché la vicinanza degli ex compagni di studi al telefono è sospinta da un’assenza, dalla morte, dall’arrivo di un evento – metaforicamente la pandemia stessa – senza il quale i tre non si sarebbero messi a nudo. L’isolamento come condizione di possibile rinnovamento, contatto e intimità è al centro anche del secondo episodio, Someone to Watch Over Me (“Qualcuno che veglia su di me”), in cui una giovane donna (sempre Nahana, nel precedente una casalinga un po’ frustrata) stringe un legame con il runner che le porta cibo a domicilio: girato per lo più sulla soglia di casa, l’episodio vira quando il ragazzo entra nell’appartamentino della cliente invaghita ma non mantiene la precisione registica intravista nella prima storia. Più interessante il terzo movimento del film, Ms. Ghost (“Signora Fantasma”), che inscena un vero e proprio rispecchiamento tra due donne: una giovane vede ogni giorno una barbona su una panchina e, iniziando a parlarle, scoprirà che si tratta di una signora originaria di Hiroshima andata a Tokyo per diventare attrice. Anche la ragazza (ancora una volta Nahana) è andata nella metropoli da Tottori con il desiderio di calcare il palco nel segno del grande teatro, ma è finita per fare la sex worker: nella disperazione della vagabonda, la giovane rivedrà letteralmente se stessa e forse è proprio questa identificazione a dare il titolo all’intero film (“Lei è me, io sono lei”) teso a rimarcare più il bisogno di solidarizzare con gli altri che non a ragionare sulla “stagione pandemica”. La cosa è evidente nell’ultimo brano, Deceive Me Sweetly (“Ingannami dolcemente”), in cui una vera e propria truffa ai danni di una donna cieca si trasforma nell’occasione per tendere una mano e dare anche a chi, apparentemente, non meriterebbe molto.

She Is Me, I Am Her è un film di pennellate tenui sottolineate dal pianoforte poetico di Kinderszenen di Schumann, non a caso una raccolta di pezzi brevi e tecnicamente semplici. Il lavoro di Mayu Nakamura, già autrice di un documentario girato a Fukushima (Alone in Fukushima, 2015) possiede una logica interna capace di traghettare lo spettatore da una storia all’altra senza perdere unitarietà sebbene solo il primo e il terzo episodio risultino davvero ben scritti e sebbene non ci sia una coesione tale da rendere ineluttabile l’espansione del cortometraggio iniziale. Usando la pandemia per parlare della difficoltà di instaurare relazioni autentiche, il film resta un poker di bozzetti dall’ispirazione incostante il cui pregio principale è quello di lavorare con gli spazi angusti o monadici che il Covid per lungo tempo ci ha imposto. Ma la regista ha un rigore decisamente altalentante anche in questo.

Info
She Is Me, I Am Her sul sito del Far East.

  • she-is-me-i-am-her-2022-01.jpg
  • she-is-me-i-am-her-2022-02.jpg

Articoli correlati

Array
  • Festival

    Far East 2023 – Presentazione

    Con il Far East 2023, in programma dal 21 al 29 aprile, il festival udinese festeggia le venticinque edizioni, e lo fa confermando la propria struttura, e preparandosi dunque di nuovo ad aprire le porte del Teatro Nuovo e del Visionario al cinema popolare dell'estremo oriente e del sud-est asiatico.
  • in sala

    le mura di bergamo recensioneLe mura di Bergamo

    di Presentato fuori concorso al Bergamo Film Meeting 2023, dopo l'anteprima berlinese in Encounters, Le mura di Bergamo è un documentario di Stefano Savona che torna a quei drammatici momenti del 2020 che videro nella città orobica l'apice del martirio della pandemia.
  • Far East 2022

    rabid recensioneRabid

    di Anche Erik Matti fotografa gli effetti della pandemia con il film a episodi Rabid, presentato al Far East. Non ne usciremo migliori, anzi. Quattro episodi carichi di elementi disgustosi, dove il regista filippino sfodera il suo sarcasmo nella satira della borghesia filippina, del sistema sanitario e del mondo dei social media.
  • Berlinale 2022

    coma recensioneComa

    di Al decimo lungometraggio in ventiquattro anni di attività Bertrand Bonello affronta in Coma uno dei suoi temi ricorrenti, vale a dire il rapporto conflittuale del corpo adolescente con il mondo che lo circonda, immergendolo nel pieno della crisi pandemica che ha condotto al confinamento.
  • In sala

    state a casa recensioneState a casa

    di Roan Johnson torna alla regia a cinque anni di distanza da Piuma con State a casa, che tenta di creare una miscela esplosiva legando insieme dialoghi a raffica, la commedia nera à la Piccoli omicidi tra amici, e la riflessione amara de L'odio, sfruttando come ambientazione il lockdown.
  • Nyon 2021

    io resto recensioneIo resto

    di Io resto di Michele Aiello è probabilmente il primo documentario, escludendo la gran quantità di servizi televisivi, che punta le videocamere all'interno di un ospedale nella prima, drammatica, emergenza covid. Approccio alla Wiseman per un film necessario.