Holiday

Edoardo Gabbriellini torna alla regia a un decennio di distanza da Padroni di casa, e con Holiday firma la sua terza opera, che conferma la volontà di muoversi in territori liminari rispetto alla canonicità produttiva nazionale, indagando l’animo umano e le sue stratificazioni. Alla Festa del Cinema di Roma e in sala.

Good Day Today

Veronica, dopo un lungo processo e due anni di prigione per l’omicidio della madre e del suo amante, viene riconosciuta innocente. Ha solo vent’anni e tutta la vita davanti, ma è difficile guardare al futuro quando gli occhi di tutti sono ancora rivolti a quel tragico evento. Attraverso i ricordi suoi e della migliore amica Giada, riavvolgeremo il nastro di una storia che più avanza, più si fa ambigua. [sinossi]

Good Day Today canta David Lynch sui titoli di coda di Holiday, mentre il pubblico in sala già si alza e quello che il film deciderà di vederlo sul piccolo schermo – disperdendo inevitabilmente l’atmosfera creata da Edoardo Gabbriellini – svogliatamente cambia canale; Send Me an Angel, Save Me chiede la voce del genio statunitense, in una implorazione deformata in tal modo dalla post-produzione digitale da apparire straniante, se non direttamente minacciosa. Chissà, forse Gabbriellini, giunto alla sua terza regia in un ventennio (B.B. e il cormorano, l’esordio firmato a ventotto anni, è del 2003), ha inserito nel film uno dei brani più rappresentativi del secondo album musicale di Lynch, Crazy Clown Time, solo per un’affinità di gusto personale, ma viene naturale pensare che tale scelta abbia invece una duplice motivazione, sia legata al senso narrativo di Holiday che a quello meramente produttivo. Se infatti il film si snoda attraverso la ricostruzione di una memoria, e la ricerca di una assoluzione già ottenuta dalla legge – ma forse non dalla società –, Gabbriellini si muove con la sua videocamera negli anfratti oscuri delle case, delle famiglie, delle amicizie. In un certo qual modo Veronica è una Laura Palmer che non è stata trovata cadavere ma accanto a due cadaveri, e nella turistica Varazze, sulla Riviera delle Palme, sicuramente si aggira un BOB che non è anima disincarnata ma spirito dei tempi, di una degenerazione collettiva figlia (anche) di una tecnologia che finge la vicinanza in modo più concreto, nascondendo sotto il tappeto i detriti di una distanza siderale. Per quanto sia anche un’acuta riflessione, nonché densa di coraggio, sulla cosiddetta “Generazione Z”, e sul suo approccio all’esistenza, Holiday è di nuovo uno sguardo su un mondo marginale, che il cinema italiano ha scelto scientemente di abbandonare al suo destino preferendo centri e periferie di Roma, Milano, Napoli.

Dopo lo scalcinato villaggio vacanze che ancora odora di colonia fascista che rappresentava l’epicentro del già citato B.B. e il cormorano, e il paesello sull’Appennino tosco-emiliano dove andavano a trovarsi i due piastrellisti romani Elio Germano e Valerio Mastandrea in Padroni di casa, ecco la costa ligure, l’ultimo lembo marittimo d’Italia, la lunga striscia stretta tra montagna e mare, terrazzata forse non solo geologicamente ma anche sotto il profilo psicologico di chi l’abita. Anche qui, come nei film precedenti – ma l’esordio era una commedia agrodolce che rimandava all’universo di Paolo Virzì, per cui Gabbriellini fu splendido interprete dapprima in Ovosodo e quindi nel successivo Baci e abbracci – il regista cerca di raccontare le ansie di chi vorrebbe trovare un proprio posto nel mondo, ma non sa come confrontarsi col suo microcosmo, che ovatta e schiaccia alla stesso tempo. Fosse per Veronica, contrariamente all’Adriana interpretata da Francesca Rabbi in Padroni di casa che vedeva in Germano la via di fuga per evadere dal paese, lei e il padre non si sposterebbero dalla cittadina, riaprirebbero l’albergo che gestivano e riprenderebbero la vita di prima: ma la ragazza ventenne dopo due anni è potuta tornare a casa perché dichiarata innocente a fronte dell’accusa di aver ucciso brutalmente sua madre e il di lei amante proprio nella sauna dell’albergo. Innocente fino a prova contraria, recita la legge, e le prove non si sono mai trovate. Eppure, nonostante tutto, Veronica rimarrebbe a Varazze, con la sua amica Giada, tornando a flirtare con qualche turista straniero e magari arrivando a perdere quella verginità che ancora le grava addosso.

Gabbriellini, che traccia un ritratto atroce della sua generazione nel mettere in scena uomini e donne di mezza età squallidi, riprovevoli (la madre di Veronica, in uno dei flashback, le sussurra all’orecchio “mi fai vomitare”; il padre della ragazza, in un vocale alla moglie che Veronica ascolta, utilizza termini altrettanto spregiativi per la compagna) e privi di un reale senso, si approssima alla generazione che sta uscendo adesso dall’adolescenza da un lato attratto, affascinato, e dall’altro quasi spaventato della natura aliena del corpo in definizione. Utilizzando gli stratagemmi del noir, o del thriller “a ritroso” (i flashback dovrebbero aiutare lo spettatore a comprendere come andarono veramente le cose) Holiday si interroga sul significato di termini quali colpevole o innocente, e su come tale dualità possa essere letta e introiettata da un’adolescenza che si è mossa attorniata da tecnologie che aiutano a vedere, ma che forse non è mai stata interrogata davvero sul concetto di guardare. Così il corpo nudo non è più un tabù, e forse neanche il corpo martoriato, su cui con glaciale precisione si apre il film, sui dettagli di due cadaveri immersi nell’acqua, in una contrapposizione/sovrapposizione ideale con le immagini ricavate dalle telecamere di sorveglianza, altrettanto asettiche. C’è ancora spazio per l’umano? Gabbriellini se lo chiedeva anche un decennio fa, e torna a porsi l’interrogativo, senza necessariamente dover trovare una risposta. Lo spazio, anche quello più abituale, si fa sfocato, indefinito, così come la figura umana che lo attraversa. È un peccato che questa opera terza sia stata portata al cinema per soli tre giorni, per poi sfruttarla probabilmente su altri canali di programmazione, quelli casalinghi. Se invece di portare le scolaresche a guardare le fantasiose ricostruzioni storiche sciorinate da Claudio Bisio nel suo recente esordio si donasse alle classi superiori la visione di Holiday si potrebbe forse intavolare una discussione sullo sguardo, la morale, il senso di colpa personale e collettivo. E sul cinema. Ma forse è pretendere troppo da una società che preferisce non porsi dilemmi sul contemporaneo.

Info
Holiday, il trailer.

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