Godzilla Minus One

Godzilla Minus One

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Per il settantennale del più famoso sauro atomizzato del cinema la Tōhō ha deciso di produrre il trentesimo film live-action a lui dedicato, a distanza di sette anni dal precedente Shin Godzilla: ecco dunque Godzilla Minus One, affidato alle cure di Takashi Yamazaki. Un kaijū-dramma che affronta i temi del senso di colpa, della distruzione nucleare, della fine del mito del sacrificio, e che in un paio d’ore rivendica la paternità di un mostro che è molto di più del mero distruttore di mondi visto da Hollywood.

Io sono Godzilla, distruttore di mondi

Dopo la seconda guerra mondiale, il Giappone si ritrova ancora più in difficoltà quando il kaiju Godzilla attacca il paese. [sinossi]

E adesso quando finirà la guerra?, si chiedeva un Francesco De Gregori poco più che ventenne all’epoca di Ultimo discorso registrato; un interrogativo che attraversa in svariate occasioni la mente di Kōichi Shikishima, il protagonista umano di ゴジラ-1.0, vale a dire Godzilla Minus One, il film con cui Takashi Yamazaki ha potuto confrontarsi direttamente con il mostro mitologico per eccellenza dell’immaginario cinematografico giapponese, lui che già vi si era approssimato all’epoca di Always: Sunset on Third Street 2, sequel del suo film di maggior successo che in Italia venne proiettato all’interno dell’edizione 2008 del Far East Film Festival di Udine. In quell’occasione il bestione preistorico potenziato dai test atomici statunitensi faceva capolino in una breve sequenza, ma già mostrava la sua furia distruttrice attaccando la Torre di Tokyo. Per la trentesima volta in settant’anni la Tōhō porta sul grande schermo Godzilla in versione live-action (si devono infatti contare anche tre prodotti d’animazione diretti tra il 2017 e il 2018 da Kōbun Shizuno e Hiroyuki Seshita: Godzilla – Il pianeta dei mostri, Godzilla – Minaccia sulla città, e Godzilla mangiapianeti), e sembra quasi voler rivendicare non tanto la primogenitura della gigantesca minaccia a sangue freddo ma semmai la sua aderenza alla cultura nipponica. Cultura saccheggiata in modo solo episodicamente accurato dal cosiddetto “Monsterverse” della Legendary Pictures, e che pare oramai aver smarrito anche gli ultimi rimasugli di epico rispetto del personaggio che aleggiavano un decennio or sono in Godzilla di Gareth Edwards. I successivi Godzilla II – King of the Monsters di Michael Dougherty e Godzilla vs. Kong di Adam Wingard hanno mostrato una deriva preoccupante, con il bestione – e il primate suo nemico-amico – ridotto a mero fenomeno da baraccone in CGI, e la strada intrapresa dal prossimo Godzilla e Kong – Il nuovo impero non sembra voler deragliare da tali binari. Ecco dunque che il film di Yamazaki tra i suoi non indifferenti meriti ha anche quello di tornare a “quote più normali” ma soprattutto di riallacciarsi alla storia del personaggio, riaffermando la visione politica che fu di Ishirō Honda.

Rifuggendo i clangori meramente effettistici dello sguardo hollywoodiano Godzilla Minus One si configura come un kaijū-dramma, un film che osserva il mostruoso materializzato per cercare di indagare l’oscura mostruosità insita nelle umane genti, e la necessità di un riscatto collettivo. Regista abile nel maneggiare l’aggettivo languido, Yamazaki (alla ventesima regia in ventitré anni di professione) sa come non disperdere l’intima necessità umanista del racconto senza però rinunciare in alcun modo alla spettacolarità dell’insieme, e lo dimostra fin dalle primissime battute, quando il kamikaze Kōichi denuncia un’avaria al suo velivolo e richiede assistenza dopo un atterraggio: l’aeroplano è però in perfette condizioni, e il giovane uomo ha scelto di non sacrificarsi, di non morire inutilmente solo per assecondare le ugge dispotiche del militarismo nazionalista. Tale decisione diverrà però un macigno difficile da trasportare allorquando per la prima volta farà la sua apparizione Godzilla, distruggendo tutto e tutti eccezion fatta per Kōichi e per Tachibana, il meccanico che l’ha accusato di tradimento e codardia per non essersi immolato per la causa. E il senso di colpa, legato alla sensazione di impotenza di fronte all’agire atomico del mondo, verrà vivificato dalla scoperta che i suoi genitori sono morti sotto le bombe che gli statunitensi hanno lanciato su Tokyo. Non esiste tregua, non esiste requie per il povero Kōichi (notevole l’interpretazione del trentenne Ryūnosuke Kamiki, che i più avvertiti ricorderanno in scena in diversi film di Takashi Miike: The Great Yokai War e il suo sequel The Great Yokai War: Guardians, As the Gods Will, e JoJo’s Bizarre Adventure: Diamond Is Unbreakable). Ecco dunque che Godzilla torna a essere non un semplice spauracchio ma lo specchio oscuro di una nazione, ciò che si articola nei recessi del talamo prima ancora che nell’agone puro e semplice.

Kōichi non deve affrontare un mostro, ma una belva ancor più sanguinaria, altrettanto menefreghista, del tutto disinteressata al benessere comune: lo Stato giapponese (non che il resto del mondo sia molto meglio, visto come l’esercito statunitense e il suo governo si lavano rapidamente le mani da ogni responsabilità, abbandonando il Giappone al suo destino). Yamazaki riprende dunque il lato politico della messa in scena di Godzilla ma ne attualizza i temi, seguendo anche lo schema che Hideaki Anno aveva approntato nel 2016 per Shin Godzilla, che aveva però tratti molto più umoristici rispetto alla cupa disperazione che trasmette Godzilla Minus One. Godzilla è ovviamente pericoloso, così come la minaccia atomica, ma il problema è che il cittadino non può affidarsi nemmeno a chi lo governa. È come se sul banco degli imputati vi fosse direttamente il Jimintō, che se si esclude il triennio 2009-2012 è al potere da quasi trent’anni in maniera ininterrotta, e che ha spinto la nazione verso un nuovo cieco nazionalismo, dimostrando negli ultimi anni anche di non tutelare il bene comune – si pensi al discusso sversamento in mare delle scorie risalenti all’incidente di Fukushima. Ora che lo Stato ha annientato qualsiasi forma di collettività il popolo è solo di fronte alla minaccia del Mostro, e diventa di nuovo carne da macello. Anche per questo la scelta di Yamazaki di rinunciare al rituale sacrificio sottolineando al contrario la necessità di continuare a vivere acquista a sua volta un valore politico, come anche la svolta narrativa che vede il protagonista creare una famiglia dal nulla con altre due sopravvissute, una donna e una bambina: in una nazione in cui il vincolo di sangue svolge ancora un ruolo di primaria importanza si tratta di una prospettiva vagamente riottosa. A queste riflessioni Yamazaki aggiunge una rivisitazione tutt’altro che banale de Lo squalo di Steven Spielberg – e dunque per associazione di idee del melvilliano Moby Dick –, che segna quindi una contro-appropriazione dell’immaginario altrui. È davvero un peccato che Godzilla Minus One – il titolo ha un significato duplice, perché da un lato dichiara la sua natura di prequel rispetto al capostipite di Honda (che resta dunque il “numero uno”) e dall’altro sottolinea l’abbandono del popolo giapponese già afflitto dai terrificanti trambusti del conflitto mondiale da parte dei suoi governanti, passando dal “grado zero” addirittura ai caratteri negativi – sia stato distribuito in modo così poco capillare, e senza garantirgli il tempo per creare un passaparola attivo. Diventerà un cult-movie già nei prossimi mesi, quando sarà reperibile in versione domestica, ma è sul grande schermo che meritava di essere visto, e amato.

Info
Il trailer di Godzilla Minus One.

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