Freedom

Freedom

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Presentato nel concorso lungometraggi del Trieste Film Festival 2024, Freedom del cineasta rumeno Tudor Giurgiu torna al momento primario del dicembre 1989, per raccontare un episodio realmente accaduto in una questura di Sibiu, registrando quel momento caotico di ogni rivoluzione in cui le persone passano da una parte all’altra delle forze in conflitto, tra regime e rivoluzionari.

La rivoluzione vista da una piscina

Nei giorni caotici della rivoluzione del dicembre 1989, la città di Sibiu diventa teatro di un violento assalto che degenera in un sanguinoso scontro tra soldati, poliziotti, civili e rappresentanti della polizia segreta.A seguito di un disperato tentativo di sfuggire all’assedio, diversi uomini vengono catturati dall’esercito e accusati di essere terroristi. [sinossi]

La caduta del muro di Berlino nel 1989 e le trasformazioni che ne seguirono sono ancora oggi al centro delle cinematografie dei paesi che facevano parte del Patto di Varsavia. E naturalmente quella rumena torna spesso ai sanguinosi eventi del Natale di quell’anno. Oltre al semi-documentario Between Revolutions, il Trieste Film Festival 2024 ha presentato, nel concorso lungometraggi, Freedom (Libertate in originale) di Tudor Giurgiu, che racconta un episodio realmente accaduto in quei giorni, di cui si sapeva pochissimo. Ovvero la detenzione illecita di un gruppo di 522 miliziani fedeli al regime, o almeno classificati come tali, da parte del colonnello Dragomir passato dalla parte dei rivoluzionari. Un gruppo di prigionieri ammassati nella piscina vuota della caserma dell’unità militare 01512, e trattenuti per molto. L’ultimo di loro è stato infatti rilasciato i primi di febbraio del 1990. Il film inizia con quelle stesse manifestazioni di piazza, quelle bandiere tricolori rumene con il buco nel mezzo, per occultare lo stemma della repubblica socialista. E proprio come il succitato Between Revolutions, Freedom è un film che non affronta l’epicentro quegli eventi epocali, che lascia fuori campo, per mostrarli da lontano, indirettamente, nelle periferie. Siamo infatti nella cittadina di Sibiu, in Transilvania, che pure fu teatro di una sanguinosa rivolta. Sappiamo a un certo punto da uno degli ufficiali di polizia, che Ceaușescu è stato giustiziato, dopo il suo vano tentativo di fuga in elicottero, che la rivoluzione si è compiuta.

Freedom è un film di buona fattura, senza particolari meriti stilistici, che ha comunque il pregio di catturare quel periodo di indefinitezza nella transizione, quel momento in cui, con gradualità, molte forze del regime passano dalla parte dei rivoltosi, chi perché finisce per condividerne le motivazioni, chi per semplice opportunismo. Un momento di caos estremo dove è difficile discernere da che parte stiano le persone. E le forze in quel momento in campo erano tante: esercito, polizia, polizia segreta oltre ai civili. C’è chi si dissocia dal precedente sistema, avendone fatto parte, spacciandosi come una semplice pedina che non contava nulla. I concetti di criminale e di terrorista vengono così sovvertiti, e nella spirale di violenza si può essere marchiati da scritte anonime sulla porta di casa. Si comincia con una parte del governo che si rifiuta di ordinare di reprimere nel sangue le manifestazioni per evitare un ulteriore bagno di sangue. Il ministro Milea, accusato di tradimento, che muore suicida. E l’esercito che assolve al ruolo di difendere il popolo, per non di andargli contro. I mezzi di informazione governativi fanno terrorismo psicologico, accusando i sovversivi di aver avvelenato l’acqua degli acquedotti. E poi il film mostra i cadaveri ammassati in caserma, dando conto della drammaticità di quel momento. Da un certo momento in poi Freedom diventa una sorta di Kammerspiel in piscina, concentrando la narrazione su quella condizione di prigionia, sulle dinamiche che si creano tra custodi e prigionieri. Dinamiche di tensione anche se pacifiche: il fucile che cade in piscina viene raccolto da un prigioniero e restituito pacificamente al soldato. Quella piscina vuota diventa metaforica di uno stato di assoggettamento della popolazione tutta da parte di élite militari che rimangono al potere cambiando casacca.

La libertà è arrivata, annunciata trionfalmente, e in modo pacchiano, dalle note della Lambada, grande successo internazionale di quell’anno e dai fuochi d’artificio visti in televisione. La rutilante cultura pop prende il sopravvento, quando prima si citava pure Walk Like an Egyptian, il grande successo delle Bangles. Ma il trionfo finale è affidato a un nuovo inno patriottico, composto per l’occasione, Libertate, che altro non è che il Va, pensiero riadattato in lingua rumena, suonato alla radio mentre il film mostra ironicamente la situazione di stasi di quei prigionieri nella piscina. Alla fine, Tudor Giurgiu, a oltre trent’anni da quegli eventi, riesce a renderne la complessità, a evidenziare le zone grigie senza cadere nel facile manicheismo.

Info
Freedom sul sito di Trieste 2024.

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