Another End

Another End

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A distanza di nove anni dall’esordio L’attesa il quarantatreenne calatino Piero Messina torna alla regia con Another End, ambizioso racconto sull’elaborazione del lutto, sulla memoria, e anche sul cinema come “locatore” al pubblico dell’eternità, o comunque di una sua illusione molto credibile. Presentato in concorso alla Berlinale 2024.

Anatomia di un’elaborazione

Sal ha perso la compagna Zoe in un incidente d’auto. La sofferenza è tale che l’uomo arriva a tentare il suicidio, e a quel punto la sorella Ebe lo spinge a cercare una soluzione in «Another End», una tecnologia d’avanguardia in grado di caricare la personalità e i ricordi di una persona scomparsa nel corpo di un volontario, per una serie di incontri pensati per preparare l’addio che non si è potuto avere in caso di morte improvvisa. Dopo aver ritrovato la sua Zoe, però, Sal non riesce a staccarsi da lei e inizia a pregare la sorella, che lavora per l’azienda proprietaria del programma «Another End», di dargli più tempo. [sinossi]

Je t’aime, je t’aime, straordinario ragionamento sul tempo, la memoria, la reiterazione del gesto e la delusione amorosa che Alain Resnais diresse nel 1968, ricevette in dote dalla distribuzione italiana il sottotitolo Anatomia di un suicidio perché proprio dalla volontà del protagonista – un grandissimo Claude Rich – di darsi la morte scaturiva l’intera vicenda che flirtava in modo molto cosciente con il concetto di “fantascienza”. Anche Another End, che dopo la presentazione in concorso alla Berlinale trova spazio nelle sale, è un oggetto fantascientifico che ha tra le prime sequenze una in cui il personaggio principale, Sal, che ha le sembianze di Gael García Bernal (e sul concetto di impressione si tornerà poco più avanti), tenta a sua volta di mettere fine alla propria esistenza ingurgitando un numero eccessivo di pillole prima di essere salvato dalla sorella Ebe. Sal vive quotidianamente il trauma della perdita dell’amatissima compagna Zoe, perita in un incidente stradale. L’uomo trascorre le sue giornate rivivendo le immagini della povera Zoe, perché in questo futuro così dichiaratamente rétro – si vedano i treni della metropolitana, ad esempio, che sembrano quelli dei primi anni Novanta – ci si può lasciare andare al flusso della memoria altrui, abbandonandosi tra le braccia del passato ed escludendo il presente dalla propria vita. C’è dunque anche un lieve rimando a Strange Days che si fa largo tra le pieghe del film con cui Piero Messina torna alla regia per la sua seconda sortita cinematografica a ben nove anni di distanza dall’esordio, quel L’attesa che prese parte alla competizione della Mostra di Venezia contribuendo a lanciare a livello internazionale il nome di Lou de Laâge, tornata in auge l’anno scorso come protagonista di Coup de chance di Woody Allen. Se l’ambizione internazionale di Messina, già strisciante ai tempi dell’opera prima – che aveva come protagonista Juliette Binoche –, si vivifica durante la visione di Another End, che può contare sulla presenza in scena di Renate Reinsve, Bérénice Bejo, e Olivia Williams oltre al già citato García Bernal, anche la questione tematica sembra ruotare sempre attorno al medesimo centro, vale a dire una riflessione sulla perdita, sull’elaborazione del lutto, sulla memoria come ancora per tornare a vivere, o a ri-vivere.

Già, perché nel futuro narrato in questa seconda incursione nel lungometraggio Messina racconta di un progetto scientifico, che lavora sull’intelligenza artificiale, che permette di riavere con sé gli affetti perduti, grazie all’istallazione della personalità e dei pensieri di coloro che furono all’interno del corpo di alcuni volontari che fungono di fatto da “locatari”. Dunque i morti vengono ospitati per un lasso di tempo determinato nel corpo di qualcun altro, per permettere a coloro che sono ancora in vita di dir loro addio con maggior agio, superando o provando a superare il trauma della scomparsa. È Ebe, che lavora per l’azienda – dal poco fantasioso nome di Aeterna – che ha elaborato questo sistema innovativo, a convincere il fratello Sal ad accettare in casa una locataria che pur avendo sembianze fisiche differenti (da qui il riferimento posto dianzi all’impressione) possa fornirgli l’opportunità di “lasciar andare” quella Zoe che sta diventando anche più di un’ossessione. Quasi si trattasse di un Eternal Sunshine of the Spotless Mind funereo Another End cerca dunque di riallacciare i fili della memoria del suo protagonista, con Messina impegnato in una frammentazione del racconto che dovrebbe restituire – in parte senza dubbio riuscendoci in modo efficace – la dispersione psicologica ed emotiva di Sal. Di suggestioni il quarantatreenne regista calatino ne porta in scena molte, in numero almeno pari alla tonitruante ambizione di un racconto che partendo dal concetto di doppelgänger (questo, anche in senso strettamente ectoplasmatico, è il ruolo della brava e bella Reinsve, già apprezzata ne La persona peggiore del mondo di Joachim Trier e che qui conferma il suo talento espressivo) dovrebbe elevarsi con ogni probabilità a riflessione sui massimi sistemi della vita ma anche sul cinema stesso, e sulla sua promessa di eternità da vivere con gli occhi spalancati.

Se tali premesse suonano affascinanti, e non si può negare la capacità di Messina di mettere in scena, e dunque di costruire l’immaginario per quanto esso sia come si è già accennato figlio o quantomeno parente stretto di altre speculazioni che partendo da ipotesi fantascientifiche hanno poi trovato il loro terreno fertile nella ricerca umanista, e nella messa al centro del discorso del sentimento, a ingarbugliare in modo poco efficace il discorso è una trama fin troppo arzigogolata, che da un certo punto in poi decide addirittura di muoversi nel campo del coup de théâtre, del colpo di scena di cui nessuno a dir la verità sente realmente il bisogno. Così, senza possedere la maestria del regista statunitense, si entra progressivamente in un terreno prossimo alle divagazioni di M. Night Shyamalan, e così facendo Another End smarrisce anche quel senso di sottrazione e di ricerca dell’intimo che sembrava voler perseguire all’inizio. Gli ambienti vuoti e anodini, volutamente freddi, che dovrebbero suggerire lo sperdimento di Sal, diventano l’habitat di un rovesciamento continuo delle prospettive, dei punti di vista, e delle verità che lo spettatore dava per assodate, in un rutilare però artificioso, in cui si perde di vista la tragica carnalità dell’umano a favore di una confezione inappuntabile quanto deprivata della sua naturale forza, almeno in parte. L’impressione è che Messina sia ancora alla ricerca di una propria dimensione autoriale, pur mostrando una certa nettezza nei campi d’indagine nei quali ama muoversi. Per ora sopperisce con la tecnica, e con l’aiuto di attori e attrici in stato di grazia, ma questa – un po’ come i redivivi del film – rischia di rimanere un’illusione di breve durata.

Info
Another End sul sito della Berlinale.

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