Taxi Monamour
di Ciro De Caro
Con Taxi Monamour, in concorso alle Giornate degli Autori a Venezia e subito in sala, Ciro De Caro prosegue nella sua indagine dell’universo femminile con il racconto struggente e dolcissimo dell’amicizia tra due figure solitarie, schive, sperdute. Eccellenti le interpretazioni, a partire da Rosa Palasciano (ancora una volta co-sceneggiatrice) e Yeva Sai.
Nous nous aimions Le temps d’une Chanson
La borghese Anna vive in una sorta di alienazione distonica e affronta una malattia senza dirlo neppure alla propria famiglia; Nadia è una schiva ragazza ucraina che ha trovato lavoro in Italia, ma vuole tornare nel proprio Paese nonostante la guerra. Una sera le due si incontrano per caso: da quel momento Anna non desidera che stabilire un contatto empatico con la riservata Nadia. [sinossi]
Dopo Giulia, presentato nel 2021 nell’ambito delle Notti Veneziane, Ciro De Caro approda al Concorso delle Giornate degli Autori con Taxi Monamour,lavoro dalla rara capacità di scavare con lievità e grazia sotto pelle, nel corso dei suoi 110′, e lasciare infine quasi annichiliti per la potenza emotiva rilasciata. Scritto come il precedente film assieme a Rosa Palasciano, nuovamente co-sceneggiatrice e interprete, Taxi Monamour sembra concepito sotto la stella del minimalismo indipendente del primo Cassavates o, per restare nel contemporaneo, nel solco di alcuni autori del cinema rumeno ossia esperienze e testimonianze di maestria nel creare intensità folgoranti, fortissime, sfrondando il più possibile, mettendo al centro i caratteri e gli ambienti, cesellando scrittura e regia con perfezionismo inesausto per arrivare all’essenziale e con ciò far deflagrare una piccola/grande esplosione che, in questo caso, arriva senza che lo spettatore neppure se ne avveda, come se il film avesse scavato un’arteria tutta sua nel corpo di chi guarda. Compiendo un passo in avanti rispetto al già pregevole Giulia, De Caro ha realizzato un’opera a prima vista impalpabile, aerea, “fatta di niente” e che invece, al contrario, è talmente precisa nelle proprie direttrici narrative e stilistiche da evidenziare quanto avere le idee chiare sia il presupposto probabilmente fondamentale per un vero regista: si usa molto la steady e la camera a mano che avvolgono gli attori (tutti eccellenti); i tagli interni nevrotici fanno da contrappunto alla continuità della ripresa generando un’incrinatura percettiva; un grande spazio è dato al fuoricampo (magnifico quello all’aeroporto, dove Anna e il fidanzato si salutano mentre la camera resta in auto) ossia un elemento di sottrazione e smaterializzazione. Lo sguardo è del resto uno dei “protagonisti” del film che si apre con quella che parrebbe una visita oculistica.
Anna (Palasciano) sta parlando con una dottoressa e capiamo subito che la trentenne non sta benissimo. Oltre che di salute, la giovane donna non si sente davvero a proprio agio neppure con la madre borghese e il fratello maggiore giornalista televisivo, pur amandoli, mentre ha una relazione privilegiata con il fratello minore (Valerio Di Benedetto), che infatti è un po’ lo “sfigato” del clan (deprivato del padre), ed è in generale piuttosto inafferrabile anche con il compagno che deve assentarsi per lavoro. Nonostante un brutto incidente con l’auto, che ha distrutto, e nonostante le sia scaduta la patente, Anna prenderà la macchina del fidanzato per “corteggiare” una giovane ucraina (Yeva Sai) incontrata una notte a una fermata dell’autobus: la ragazza (che Anna battezza “Cristi”, ma che si chiama Nadia) non è particolarmente socievole, un po’ per indole un po’ perché ha deciso di lasciare l’Italia e tornare nel proprio Paese dunque non ha molta voglia di attaccare bottone, ma lentamente entrerà in relazione con Anna, creatura sfasata, sempre fuori posto, mossa da un sentimento irrazionale quanto autentico non dissimile a quel che spinge Nadia a compiere una scelta che pochi farebbero. L’incontro tra due persone che navigano controcorrente, sospinte da forze che nessuno comprende fino in fondo, è il centro narrativo manifesto di Taxi Monamour che costruisce una progressione emozionale in primo luogo grazie alla dedizione registica rivolta alle due straordinarie interpreti, che danzano l’una con l’altra dapprima con gli occhi e con scabri gesti per poi arrivare a un legame di poche parole quanto palpabile. Anna nella prima parte del film guarda Cristi/Nadia, che poi diventa “occhio” rivolto ad Anna nella seconda ed entrambe pervengono a uno sguardo comune nel reciproco riflettersi e riconoscersi. Ugualmente, e in questo senso il lavoro di De Caro riporta alla mente il cinema rumeno, sono ritratti mirabilmente tutti i “paesaggi” sociali che le protagoniste attraversano, quello borghese dell’una e quello della famiglia ucraina (gli zii con cui Nadia abita) dell’altra o l’appartamento dove giace a letto una signora anziana a cui Nadia presta assistenza: ogni personaggio ha ruolo, identità, dignità e, oltre alla messa in scena, ancora una volta questo esito sembra ascrivibile sia all’abilità di De Caro di lavorare con il cast (anche quando gli attori non sono professionisti) che alla calibratissima scrittura, in grado di definire alla perfezione esseri umani e ambienti con pochissime pennellate.
Come un “uovo di tartaruga che si schiude”, metafora citata in una scena del pre-finale in spiaggia (come in Giulia anche qui si affaccia una casa al mare), Taxi Monamour fiorisce e si apre raccontando due entità che vanno “per la strada sbagliata” cercando quella giusta per loro stesse e che si comprendono come esseri umani sensibilissimi e feriti, un po’ alieni e un po’ alienati, determinati ad affrontare l’esistenza in maniera personale non ritrovandosi in ciò che è “ovvio”. Coronato da un romanticismo fatto di sole, occhi bagnati inquadrati in uno specchietto retrovisore e volti che si allontanano, il film ha inoltre l’ammirevole qualità di scandire ritmicamente il “crescendo” allargando lo sguardo e intersecando i mondi delle protagoniste, ma restando fedele alle proprie premesse tagliando infatti spesso le scene “in levare” o differendo il climax sempre un po’ più in là anche quando la prospettiva si fa più vasta. Se Dragostea Tin Dei (usata nella scena di una festa) si conferma una canzone pop eccellente per il cinema (lo sa bene Xavier Dolan, che sul brano cantato in rumeno ha costruito la sequenza più commovente di È solo la fine del mondo), a farla da padrona qui è una delle canzoni più celebrate di Serge Gainsbourg, La Javanaise, che in fondo è proprio la storia di un breve incontro, come quello di Anna e Nadia, e che offre un approdo sentimentale e catartico tra il diegetico e l’extradiegetico (altra notevole scelta). Gli abbracci spezzati di Taxi Monamour sono dolcissimi, intensi, vitali quanto mortuari perché un sentore di fragilità, indicibile attesa, scavo irriverente (eppure ritratto con estremo pudore e tenerezza) rispetto alla realtà solida che ordinariamente ci “imponiamo” di accettare imperla l’intero film, che si manifesta così come un lavoro sull’invisibile persistenza della fine (e della morte) dentro la vita. La labilità delle esistenze e degli assetti, che nessuno desidera avvertire (tanto che il disperato tentativo del fratello minore di Anna è quello di avere “prove” di un ricordo personale che la madre gli nega), diventa il profondo fulcro attorno cui ruota un’opera in grado di far emergere i sentimenti più dolorosi e la necessità, forse persino il dovere, di condividerli. Quella di De Caro è una produzione italiana – per merito di Kimerafilm di Simone Isola – del tutto laterale rispetto al cinema ad alto budget ma che, per restare invece nei confini nazionali, ricorda Antonioni, rinverdendo la non più tanto abituale ricerca dell’espressione dell’intimità e della psiche dei personaggi, senza neppure una battuta di spiegazione o una frase didascalica, e di porla in dialettica con contesti codificati che le protagoniste, senza un posto definito nel mondo, osservano con occhi scrutanti e pieni di interrogativi. Alla fine, in fondo, è proprio il loro sguardo dubitativo e difforme a illuminare quanto tutti noi ci aggrappiamo al quotidiano, rivelandone la precaria natura sotterranea. Così struggente e così dolente.
Info
Taxi Monamour sul sito delle Giornate degli Autori.
- Genere: commedia
- Titolo originale: Taxi Monamour
- Paese/Anno: Italia | 2024
- Regia: Ciro De Caro
- Sceneggiatura: Ciro De Caro, Rosa Palasciano
- Fotografia: Manuele Mandolesi
- Montaggio: Jacopo Reale
- Interpreti: Daniele Coluccini, Franco Dassisti, Gianluca Arcopinto, Halyna Havryliv, Ivan Castiglione, Laurentina Guidotti, Matteo Quinzi, Rosa Palasciano, Taras Synyshyn, Valerio Di Benedetto, Yeva Sai
- Produzione: Kimerafilm, MFF, Rai Cinema
- Distribuzione: Adler Entertainment
- Durata: 110'
- Data di uscita: 04/09/2024