Lo spartito della vita

Lo spartito della vita

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Fortemente intriso di elementi autobiografici, Sterben, che significa morire (in Italia si intitola Lo spartito della vita), è una riflessione del regista tedesco Matthias Glasner sulla vita e sulla possibilità di comprenderla attraverso l’arte, una autoanalisi sui rimpianti e sensi di colpa dopo la morte dei genitori, un ritratto di vite sregolate ma anche una messa in scena della sofferenza che si cela dietro un’opera d’arte. E tutto ciò guardando a Bergman. Presentato come evento speciale in apertura del Trieste Film Festival 2025.

Un battesimo e tre funerali

Il film segue le vicende dei membri della famiglia Lunies, i cui rapporti si sono incrinati da molto tempo. Lissy è silenziosamente felice del lento deperimento del marito Gerd, afflitto da demenza, in una casa di riposo. Ma la sua nuova libertà è di breve durata: diabete, cancro e insufficienza renale fanno sì che anche a lei non rimanga molto tempo. Il figlio Tom, un direttore d’orchestra sulla quarantina, sta lavorando a una composizione intitolata Sterben, e allo stesso tempo è stato nominato padre surrogato della figlia della sua ex fidanzata. Ellen, la sorella di Tom, inizia una relazione con Sebastian, sposato, con il quale condivide la passione per l’alcol. [sinossi]

È Natale. Tom, ancora vestito da Babbo Natale, reduce da una festa con bambini, sta guardando Fanny e Alexander in televisione, proprio nella scena della lanterna magica azionata da Alexander, come noto la trasposizione dello stesso Bergman. È la versione lunga, televisiva, quella che lui preferisce, come si capisce dalla telefonata con il collega, il quale sa benissimo che Tom è intento in quella visione che si presume, quindi, una sua abitudine natalizia. Al capolavoro di Bergman, come ideale mentore, si affida il regista tedesco Matthias Glasner per una sofferta opera autobiografica, Sterben (l’edizione italiana porta il titolo meno deprimente Lo spartito della vita, visto che il significato di quello originale è “morire”), presentato come evento speciale in apertura del 36° Trieste Film Festival, dopo essere staro in concorso alla Berlinale. Suggestioni da Fanny e Alexander tornano nel film, come la presenza di bambini spesso impegnati in cori, ma anche come semplice istanza a prendersi tempi lunghi – Sterben dura tre ore ed è suddiviso in cinque capitoli – per raccontare la vita e le storie famigliari. A una bambina è affidato anche l’incipit del film, ripresa da un telefonino, nel tipico formato verticale, che guarda in camera e ammonisce gli spettatori a vivere seguendo la propria natura. A uno sguardo infantile, proiettato al futuro, è affidato un messaggio del film che pure non esita a parlare delle condizioni terminali della vita, di anziani incontinenti e presi da demenza senile e malattie incurabili. E ancora torna il Bergman, per esempio, di Sussurri e grida. Sull’impronta del Maestro svedese Glasner ragiona sulla vita e sul cinema, e sull’arte, sulla possibilità delle seconde di comprendere e dare un senso alla prima. Il filmmaker, che è anche musicista, concepisce come proprio alter ego il personaggio di Tom che è un direttore d’orchestra. Una metafora del lavoro del regista cinematografico che deve organizzare, dirigere i lavori dei tanti professionisti coinvolti, dagli attori a tutto il personale tecnico. Succede che la violoncellista non sia in armonia con tutta l’ensemble e venga schiaffeggiata dal compositore Bernard, non perché la sua performance sia scadente ma perché avrebbe dovuto finire in dissolvenza (ancora un’analogia con il linguaggio cinematografico) piuttosto che semplicemente ridurre gradualmente il suono. Tom e Bernard sono alle prese con la loro nuova composizione che si intitola proprio Sterben. Il film torna spesso sulla genesi di quell’opera, prova dopo prova (ancora aleggia Bergman). Può capitare che una di queste risulti tecnicamente perfetta, ma il compositore ancora non ne sia soddisfatto. La sua ambizione, come quella di Tom, è di superare quella sottile linea che divide l’arte dal kitsch, laddove questo concetto, indicato proprio con un termine di origine tedesca, può essere quello per le masse o quello per chi si atteggia a intellettuale. Così Lo spartito della vita, il film, ha il respiro di una composizione sinfonica in atti, e ambisce a trattare i temi della vita e della morte, senza rinunciare a una buona dose d’umorismo. Questo è affidato per esempio alle situazioni buffe e grottesche della sorella di Tom, Ellen – per esempio i momenti degli interventi dentistici –, che pure riguardano una vita anarchica e spericolata, oppure alle condizioni senili dei coniugi Lunies, come quando sono in macchina alla guida di lei ipovedente.

Con l’incipit di una bambina, come si è detto, inizia Lo spartito della vita, con il primo capitolo dedicato ai genitori anziani e alla loro condizione di disagiata senilità. Ci sarà poi la scena di un parto, mostrata nella sua crudezza, con tanto di testolina del bambino che spunta fuori, quella del figlio della ex di Tom che lui aiuta a nascere e di cui diventerà il padre surrogato. Ci sono una nascita e tre morti nel film, quelle dei genitori anziani ma anche quella di Bernard che si suicida. Tre funerali, due dei quali peraltro in cimiteri dei boschi. Da subito Glasner non lesina in aspetti sgradevoli e crudi, aspetti della vita che di solito il cinema evita di esibire. L’anziana Lissy è a terra sporca dei suoi escrementi, mentre il marito va in giro per il vicinato nudo dalla cintola in giù. Vedremo Ellen dal volto orribilmente gonfio per un’irritazione. Lei stessa si paragona a “the elephant man”. E soprattutto vedremo la donna, al concerto del fratello, vomitare addosso alla spettatrice seduta davanti, generando scompiglio e determinando l’interruzione del concerto. Similmente sono sgradevoli le storie raccontate che, come si è detto, sono autobiografiche, prese dalla vita personale e famigliare del regista, come dichiarato dalla scritta finale. Storie di anaffettività tra genitori e figli, e di situazioni sentimentali caotiche e disordinate, paternità surrogate, relazioni tormentate, alcolismo. La vita non si può controllare come è evidente quando Tom non riesce ad arrivare al funerale del padre, da cui peraltro si era allontanato in vita, perché si scarica la batteria della sua auto elettrica. Si tratta dello scarto stesso tra vita e arte, nello sforzo della seconda di comprendere e abbracciare la prima, dei tentativi fallimentari, con relativa impotenza, di governare la prima come la seconda, di perseguire la composizione musicale perfetta come la felicità.

Info
Lo spartito della vita sul sito del TFF.

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    mercy recensioneMercy

    di Con Mercy il cineasta tedesco Matthias Glasner esporta il kammerspiel di matrice germanica in terra norvegese, al di là del Circolo Polare Artico. Ne viene fuori un dramma affascinante, duro, in grado di lavorare con qualità sulla suggestiva atmosfera. In concorso alla Berlinale.