El mensaje

El mensaje

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I margini del mondo, la necessità popolare dell’illusione, il bisogno di magia e reincanto. El mensaje di Iván Fund percorre l’Argentina rurale sulle orme di un trio di protagonisti che regalano speranze agli ultimi del mondo. Forse truffatori, forse no. Di fronte alla poesia il giudizio è sospeso. In concorso alla Berlinale 2025.

Always on My Mind

La piccola Anika è dotata della capacità di comunicare con gli animali e di interpretarne i messaggi, facoltà tramandata nella sua famiglia per linea femminile. Accompagnata da Myriam e Roger, due adulti che si occupano della gestione finanziaria dell’attività, la bambina percorre con loro l’isolamento della campagna argentina dando conforto (ben remunerato) ad ansiosi proprietari di animali. [sinossi]

Più volte El mensaje (il titolo internazionale è The Message), diretto da Iván Fund, venezuelano di formazione cinematografica argentina, suscita la risata nel pubblico. Pure chi scrive ha riso molto, e di gusto. L’atteggiamento di chi vede, sottoscritto compreso, non è dei più simpatici. Si ride della credulità popolare, dei mezzucci architettati per tirare a campare sfruttando l’ingenuità della buona gente. In realtà El mensaje conserva un nucleo di sincera poesia che si dà il cambio con la risata. Fund non spinge letteralmente mai sul grottesco, lascia che i personaggi suscitino la risata come portato eventuale e spontaneo di una messa in scena in realtà priva di qualsiasi accentuazione ironica. Oggetto della credulità è stavolta la capacità di interpretare misteriosi messaggi inviati dagli animali. È Anika, bambina protagonista del film, a possedere tale potere, tramandato nella sua famiglia per linea femminile. Sua madre, degente in un istituto psichiatrico, non può occuparsi di lei. Sono Myriam e Roger ad aver preso in mano il destino della bambina. Anika si mette in comunicazione con gli animali su richiesta di ansiosi clienti. Myriam trasmette il messaggio. Roger s’incarica del versante finanziario dell’attività, decide la tariffa del servizio e riscuote. Nell’uso del bianco e nero, nella fisionomia di un poetico road movie, El mensaje ha qualcosa di wendersiano. È anche un road movie dei margini sociali, talmente periferici rispetto alla dimensione borghese che il film è pressoché privo di personaggi secondari o comparse. Per circa 90 minuti Iván Fund mostra quasi esclusivamente il trio di protagonisti, seguiti nel loro peregrinare per le sconfinate campagne argentine in una schiacciante desolazione geo-antropologica. È un film di solitudini, El mensaje. Roger è di pochissime parole; Myriam è invece di efficace comunicativa, pronta a promuovere l’attività anche al microfono di un intervistatore dei mass-media. Talvolta viene da pensare ai due adulti come esseri spregevoli, pronti a sfruttare economicamente una bambina e al contempo a svuotare le tasche dei creduloni a portata di mano. Ma l’Argentina narrata mostra un’umanità così vulnerata da indurre a sospendere qualsiasi giudizio. Già nel meraviglioso incipit un signore, in ansia per la propria tartaruga, porge l’animale al finestrino del furgone del trio. La porterebbe anche dal veterinario, dice, ma intanto vuol sentire un parere di Anika. Intorno il paesaggio è vuoto, in buona parte privo di abitazioni e di popolazione. È affascinante e desolante insieme. L’assenza di brutali interventi antropici conserva agli ambienti naturali la magia lirica dell’incontaminato, ma evoca anche orizzonti di avvilente isolamento.

Iván Fund sposa una costruzione narrativa tutta orizzontale, fieramente priva di qualsiasi vero conflitto o sviluppo tradizionalmente drammatico. El mensaje si articola in sostanza sulla riproposizione di un’unica situazione narrativa, appena variata da un’occorrenza all’altra. Varia la specie animale, ma tanto Anika sa parlare con tutti loro. E nell’orizzonte di lirica solitudine finiscono per assumere un loro preciso ruolo pure gli animaletti inquadrati di volta in volta. Fund li eleva spesso a protagonisti delle inquadrature, chiamandoli a giganteggiare nel frame ben oltre le loro reali dimensioni. Pure loro sono soli, spesso abbandonati nel paesaggio. La solitudine si fa condizione intimamente esistenziale, tanto che la comunicazione inter-specie si tramuta in una comprensibile speranza, una possibilità di sollievo per siffatte anime ferite. La necessità dell’illusione spinge verso il fantastico. Intanto, Anika cresce, perde qualche dente, benché scopra che la fatina dei denti non esiste. El mensaje è anche il pedinamento di Anika Bootz, una straordinaria attrice bambina. Fund finisce per riproporre una forma pura di cinema dell’infanzia come raramente capita di vedere negli ultimi anni, riducendo a zero qualsiasi compiacimento o indugio sdolcinato. Viene in mente il neorealismo italiano, riletto però alla luce della felliniana illusione popolare (La strada, 1954; Il bidone, 1955; in parte anche Le notti di Cabiria, 1957), necessaria forma di speranza per un’umanità marginale e vulnerata. Alla fine non si nega a nessuno, truffatori o truffati, uno sguardo tenero e colmo di grazia. Wenders, Fellini: e per l’assoluta marginalità dei protagonisti viene pure da pensare ad Aki Kaurismaki e Jim Jarmusch. I riferimenti, come si vede, sembrano essere alti e numerosi. Qui li richiamiamo come puri e semplici orizzonti espressivi, per definire quale sia l’universo espressivo al quale Fund aderisce. Quello di un cinema intimo e lirico ricondotto ai suoi minimi elementi costitutivi, dedicato a un’idea di marginalità sociale che, in una generale omologazione in senso razionalistico, si delinea anche per commovente residuato culturale. Alle credenze popolari si dà sempre meno retta. Continuano a crederci, per l’appunto, i ceti popolari. Anzi, oltre il popolo. Gli ultimi del mondo. Quelli a cui resta assai poco per tirare un sospiro di sollievo al termine della giornata. Quelli che vanno in ansia per i propri animali, oggetti di un affetto consolatorio che alleggerisce un po’ l’animo. Forse è una truffa. Di sicuro è un unguento per le ferite dello spirito. È una buona azione? Una cattiva azione? Il giudizio è roba da ricchi. La poesia è per i poveri. E intanto i Pet Shop Boys continuano a cantare.

Info
El mensaje sul sito della Berlinale.

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