The Midnight After

The Midnight After

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Il genio anarcoide di Fruit Chan con The Midnight After si mette al servizio di una storia a metà tra horror e fantascienza, dimostrando una volta di più la sua salvifica follia.

Planet Earth is Blue, and there’s nothing I can do

Una notte come ogni altra per le strade di Hong Kong: nel mezzo del caos di macchine, spacciatori e mercati, un gruppo di passeggeri prende posto su un minibus che copre la tratta da Mongkok a Tai Po. L’eterogeneo gruppo di persone comprende tra gli altri un cocainomane, una coppia appassionata di calcio, una donna che si ritiene una sciamana, un mago dell’informatica e un ragazzo e una ragazza che cercano di ricongiungersi ai rispettivi fidanzati. Tutto sembra procedere come sempre, ma quando il minibus riemerge da un tunnel una devastante verità si apre davanti agli occhi dei passeggeri: Hong Kong è diventata una città fantasma… [sinossi]

Con troppa stolida facilità il mondo del cinema (anche quello dei festival) si è dimenticato di Fruit Chan, tra le figure più rilevanti del cinema honkonghese a cavallo dell’handover, il cruciale momento di passaggio della città-stato dal protettorato britannico alla Mainland China, non più maoista ma decisa comunque a proseguire sulla strada della linea programmatica “un paese, due sistemi”, indicata nel 1979 da Deng Xiaoping, all’epoca presidente della Conferenza politica consultiva del popolo cinese. Durante il mandato di Marco Müller come direttore del Festival di Locarno, Fruit Chan ricevette i primi riconoscimenti internazionali, con Made in Hong Kong, cui seguirono The Longest Summer, Little Cheung, Durian Durian, Hollywood Hong Kong e Public Toilet: paradigmi di un cinema mai allineato, orgogliosamente indipendente, convinto in maniera pervicace a non farsi assoggettare dal ritorno di Hong Kong alla “madre patria” cinese. Dopo questo exploit internazionale, e anche a causa della rarefazione artistica di un regista che sembrava animato fino a quel momento da una notevole iperattività, il nome di Fruit Chan è stato progressivamente dimenticato dalla maggior parte degli addetti ai lavori: fa eccezione, neanche a dirlo, Marco Müller, che negli ultimi anni ha dapprima selezionato a Venezia Chengdu, I Love You (girato a quattro mani da Chan e dal rocker Cui Jian), e ha quindi trovato spazio durante l’ultimo festival di Roma al dittico a episodi Tales from the Dark, nel quale il regista hongkonghese ha diretto il segmento Jing Zhe.

Basandosi su ciò che si è appena affermato, non deve essere arduo cogliere l’emozione e l’attesa con cui una (esigua) parte degli accreditati di Berlino ha accolto The Midnight After, ritorno al lungometraggio “in solitaria” di Fruit Chan a cinque anni di distanza da non indimenticabile Don’t Look Up, remake dell’omonimo film diretto nel 1996 da Hideo Nakata. Come il suo immediato predecessore, anche The Midnight After si muove in direzione dell’horror, ma lo fa seguendo percorsi assai più personali e compiuti.
Nella storia di un gruppo di passeggeri di un minibus guidato da un autista piuttosto sui generis (interpretato dall’immancabile Lam Suet, vera e propria anima del cinema hongkonghese degli ultimi venti anni), non si nasconde solo la volontà di ragionare sull’orrore e sulla fantascienza, entrambi per di più riletti attraverso la lente deformante dell’ironia e della cultura pop, ma si avverte anche con forza il desiderio di lanciarsi una volta di più in un’elegia amorosa nei confronti di Hong Kong, peana senza fine che è forse il vero tratto distintivo dell’opera di Fruit Chan. Anche in The Midnight After questo amore è sempre contrastato dalla messa in scena di Chan, che non si lascia mai tentare dal demone dell’agiografia, ma è impossibile non cogliere lo sguardo adorante del regista mentre riprende Mongkok, i suoi vicoli, il suo caos imperante ma al contempo pulsante.

In questo bailamme si articola una storia al limite del delirante, tra universitari che si sgretolano diventando pietra, misteriosi virus, catastrofi nucleari, improvvise telefonate nella notte, esecuzioni all’interno di caffetterie e chi più ne ha più ne metta. Il genio eversivo, anarcoide ed eretico di Fruit Chan non ha perso nulla della propria forza espressiva, anche se in questa occasione sembra pendere in direzione di una commedia sulfurea e crudele. Si ride di gusto, durante The Midnight After, grazie anche ad alcune soluzioni inaspettate (si veda l’irruzione a sorpresa di Space Oddity di David Bowie, indispensabile per iniziare a gettare luce sul mistero che avvolge i passeggeri del minibus), tipiche del cinema difforme e spiazzante di Fruit Chan. Un regista ancora in grado, a distanza di diciassette anni dall’handover, a tenere alta la bandiera del cinema hongkonghese, senza lasciarsi sedurre in alcun modo dalle sirene della Cina. A dargli una mano un cast che vede darsi battaglia (attoriale) sullo schermo, oltre al già citato Lam Suet, giganti come Simon Yam e Kara Hui, ed esponenti della nuova generazione quali Janice Man e Wong You Nam. Divertente, a suo modo inquietante, avventuroso e perfino in grado di commuovere, The Midnight After mostra il volto più popolare e divertito di Fruit Chan, maestro del cinema di Hong Kong che è tornato a reclamare il proprio ruolo. Finalmente.

Info
La scheda IMDB di The Midnight After.
Il trailer originale di The Midnight After.
The Midnight After sul sito del Far East.
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