A Hard Day’s Night

A Hard Day’s Night

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Ritorna al cinema, anche se solo per tre giorni, A Hard Day’s Night, il primo film con protagonisti i Fab 4 restaurato in digitale dalla Criterion. A colpire ancora oggi, al di là delle performance dei Beatles, sono la splendida fotografia in bianco e nero di Gilbert Taylor e il montaggio di John Jympson. Un anno dopo arriverà Help!, sempre diretto da Lester, e il nonsense prenderà una volta di più il sopravvento.

I want to go but I hate to leave you

Sfuggiti a Liverpool a un’orda di fan, i Beatles viaggiano in treno verso Londra dove devono intervenire in uno show televisivo. Ad accompagnarli il loro manager, il suo assistente e l’impenitente nonno di Paul. A Londra, in appena poche ore, i quattro musicisti riescono a combinarne di cotte e di crude… [sinossi]
Reporter: Are you a mod or a rocker?
Ringo: Um, no. I’m a mocker.

Liverpool: John, George, Paul e Ringo corrono per strada a perdifiato, ridendo, mentre alle loro spalle un’orda delirante di fan li insegue, inciampando, spintonandosi, urlando a squarciagola.
Non poteva che iniziare così, cinquant’anni fa, l’avventura cinematografica dei Beatles, già lanciati nell’immaginario collettivo occidentale – e non solo – dal clamoroso successo di vendite dei primi due LP, Please Please Me e With the Beatles e da singoli ammazzaclassifiche come Love Me Do e Twist and Shout. L’occasione per godere nuovamente di A Hard Day’s Night, il film che servì da lancio pubblicitario per il terzo album dei “Fab Four”, è data dalla Nexo Digital, che ha acquistato per l’Italia i diritti di distribuzione della versione restaurata dalla Criterion: nonostante le perplessità che continuano a generare i restauri in digitale di opere pensate e realizzate per e con la pellicola, bisogna ammettere che il lavoro della Criterion, come sempre, è stato eccellente, tanto da preservare in tutto e per tutto la grana dell’epoca. Se proprio si sente la necessità di perseverare nel riversamento in 4k di gemme del passato, questa è senza dubbio alcuno la strada da percorrere.

Per tre giorni, tra il 9 e l’11 giugno, il pubblico italiano potrà dunque familiarizzare con i Beatles, fenomeno di massa rimasto a suo modo unico e irripetibile, in grado non solo di scavare un solco profondo nella società dell’epoca ma anche di ispirare i musicisti più disparati in giro per il mondo, dai fautori delle canzonette usa-e-getta a sperimentatori di ogni formazione ed estrazione culturale. Il mistero dei quattro baronetti inglesi, in grado di trasformare il quattro quarti in un’esperienza collettiva e di traghettare l’adolescenza inglese dai palazzi bombardati di Londra – ben visibili in un paio di inquadrature di A Hard Day’s Night, a rimarcare la volontà della band di non rappresentare un universo alieno alla realtà – alle prurigini rivoltose del sessantotto, “scavalcando a sinistra” gli stessi Beatles, rischiosamente in bilico, a cavallo delle proteste di operai e universitari, tra il movimento e la placidità borghese, rimane ancora oggi in gran parte insoluto. Eppure la visione di A Hard Day’s Night permette di cogliere alcuni segnali tutt’altro che trascurabili, e che sintetizzano il senso stesso dell’esistenza dei “mocker” (per rubare un’espressione di Ringo Starr) di Liverpool: i Beatles di A Hard Day’s Night sono bonari teppisti in giacca e cravatta, pericolosi per l’ordine pubblico ma in grado di far sorridere anche la più beota canaglia reazionaria, adorati dalle ragazzine quanto dalle signore.
Sono rivoluzionari in fieri, e si fanno beffe della madre patria con un eterno sorriso sulle labbra (a John Lennon è lasciato il compito di impegnarsi nelle battute più sarcastiche nei confronti della monarchia e delle forze armate, e non è certo un caso); eppure, a volte loro malgrado, sono creature aliene in un universo che li ammira ma non ha forse le armi a disposizione per comprenderli fino in fondo.

Come i fratelli Marx, anche i Beatles hanno un rapporto traumatico con il mondo che li circonda, e distruggono l’ordine “naturale” della società perché rappresentano loro stessi, in realtà, il vero ordine: il resto è prassi dell’idiozia, reiterazione di uno schema borghese che ha ben più buchi della tessitura surreale del quartetto. In questo senso A Hard Day’s Night presenta un fuoco di fila di calembour linguistici, gag slapstick in cui il tutto assume il ghigno deformante del sulfureo (la sequenza in cui Ringo decide di comportarsi da galantuomo con la signora della società bene che si sta incamminando su un terrapieno fangoso è davvero illuminante), stralunate incursioni nel nonsense: è come se l’immagine cinematografica racchiudesse in sé già le svolte deliranti e psichedeliche che da lì a pochissimo invaderanno anche i solchi dei giradischi in brani quali I am the Walrus, Yellow Submarine, Being for the Benefit of Mr Kite!, Piggies, Glass Onion.
Per di più A Hard Day’s Night, pensato come veicolo commerciale per riempire ulteriormente le tasche della Parlophone (l’etichetta creata da Carl Lindstrom a Berlino sul finire del XIX secolo e acquistata in seguito dalla Columbia), si presenta agli occhi dello spettatore in una mise estetica che rimanda in maniera diretta alle eversioni del Free Cinema: macchina a mano, zoom esasperati, montaggio mai lineare, accelerazioni, freeze frame, tutti dettagli che permettono una volta di più di comprendere la concezione della creazione artistica dei Beatles. Della regia, non a caso, si occupa Richard Lester, all’epoca all’opera terza (dopo It’s Trad, Dad! e The Mouse on the Moon) e destinato a segnare in profondità il cinema della Swinging London con Non tutti ce l’hanno, Dolci vizi al foro, Come ho vinto la guerra – con protagonista John Lennon –, Petulia e Mutazioni.

Ma a colpire ancora oggi, al di là delle performance dei Beatles (con George Harrison che si mostra timido e impacciato di fronte alla camera ben più dei suoi compagni d’avventura), sono la splendida fotografia in bianco e nero di Gilbert Taylor e il montaggio di John Jympson: il primo lavorerà anche per Stanley Kubrick (Il dottor Stranamore), Alfred Hitchcock (Frenzy), Roman Polanski (Cul-de-sac, Repulsion, Macbeth), George Lucas (Star Wars), John Badham (Dracula) e per il Flash Gordon di Mike Hodges; il secondo invece taglierà e unirà i fotogrammi di Frenzy, La più grande attrice di tutti i tempi di Richard Fleischer, La piccola bottega degli orrori di Frank Oz e Un pesce di nome Wanda di Charles Crichton.
E i Beatles? Un anno dopo arriverà Help!, sempre diretto da Lester, e il nonsense prenderà una volta di più il sopravvento. La logica della non-logica che, per un istante miracoloso, soppiantò l’illogica logica di un presente mostruoso.

Info
Il trailer di A Hard Day’s Night.
Il trailer originale di A Hard Day’s Night.
Il video ufficiale di A Hard Day’s Night.
Volumi che citano A Hard Day’s Night.
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