Che – L’argentino

Che – L’argentino

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Continuamente sospeso tra l’indie e l’omologazione dell’industria cinematografica, stavolta Soderbergh con Che – L’argentino (che sarà seguito a breve da un secondo capitolo, Che – Guerriglia) ha compiuto l’operazione più personale ed intima della propria carriera.

Com’è dura l’avventura (rivoluzionaria)

La storia della rivoluzione cubana a partire dal momento in cui Ernesto Guevara e Fidel Castro si conobbero in Messico ad una cena. Si ripercorrono tutte le tappe e le battaglie più importanti, a partire dallo sbarco a Cuba dello yacht Granma a Playa de Las Coloradas, che portarono il Che fino a Santa Clara… [sinossi]

Regista sempre al limite tra la sperimentazione autoriale e l’omologazione dell’industria cinematografica – da taluni indicato come vero e proprio esempio di pratica post(post)moderna da altri accusato molto più semplicemente di tirare un colpo al cerchio e l’altro alla botte – Steven Soderbergh continua il proprio personalissimo iter registico sfornando un dittico sulla figura del guerrigliere argentino Ernesto “Che” Guevara (oggi si direbbe terrorista? O meglio ancora si userebbe il terribile neologismo “insurgente”?).
Quasi fosse allergico ad una definizione univoca ove racchiudere il proprio universo cinematografico, Soderbergh è una delle personalità più emblematiche del cinema contemporaneo, sia per l’evidente schizofrenia tematico-stilistico-produttiva che lo porta a passare dalla serie mainstream di Ocean all’indipendenza digitale di un Bubble, che per la particolarità del proprio rapporto con il cinema, visto che in tempi di iper-specializzazione come questi, Soderbergh cura spesso personalmente tutti gli aspetti della realizzazione di un film (sceneggiatore, montatore, direttore della fotografia, produttore, oltre che regista, naturalmente…). Ovvio che tutto ciò abbia influenzato anche il rapporto ambiguo e ambivalente che la critica, come il pubblico e come gli studiosi di cinema, ha con le opere del regista statunitense, osannato e osteggiato a intervalli praticamente regolari.

Premessa, questa, necessaria per approcciarsi ad un film come Che – L’argentino, vista l’ostinazione con la quale Soderbegh ha portato avanti il progetto e visto anche lo sguardo ambiguo, diremmo anche strabico, con il quale il regista di Atlanta ha guardato ad un mito come Che Guevara. Diciamolo subito, Soderbergh con Che – L’argentino, ma siamo sicuri che ciò varrà anche con la seconda parte del dittico (Che – Guerriglia) ha compiuto l’operazione cinematografica più personale ed intima della propria carriera, cercando di demitizzare nel modo più assoluto il Che, restituendoci solamente Ernesto Guevara, l’uomo e la sua carne piuttosto che il mito campeggiante ancora sulle bandiere e sulle magliette rosse di tutto il mondo. A partire dalla preparazione alla campagna cubana per arrivare alla marcia trionfale verso L’Avana, passando per la guerriglia della Sierra Maestra contro l’esercito di Fulgencio Batista, Soderbergh ha quasi decostruito una delle icone più ingombranti dello scorso millennio riducendola ad un ammasso di carne imperlata di sudore, peraltro continuamente scossa dai colpi di tosse indotti dall’asma che lo perseguiterà fino alla morte.
Per fare tutto ciò il regista ha scelto uno stile molto diretto, aggressivo, persino naturalistico (qualcuno dirà documentaristico, ma solo per smorzarne la portata…) nel rifiuto di utilizzare luci artificiali, restando spesso molto attaccato ai personaggi, cercando insomma di rendere prima di tutto l’atto fisico della rivoluzione più che quello ideologico. L’ideologia, infatti, non sembra trovare spazio nemmeno nei personaggi secondari con i quali il Che più che dialogare semplicemente “inciampa” per pochi attimi: su tutti spicca un Fidel Castro quasi caricaturato nelle sue pur riconoscibilissime pantomime che lo hanno reso celebre, finendo quasi per trasformarlo in un Benzino Napaloni qualunque. Ma togliere l’humus comune dell’ideologia rivoluzionaria, il cemento che rinsaldava gli animi dei guerriglieri, serve essenzialmente a Soderbergh per preannunciare l’isolamento in cui cadrà Che Guevara dopo la rivoluzione, dalle sgomitate di Castro alle “promozioni” in giro per il mondo, fino alla capitolazione quasi solitaria avvenuta in Bolivia.

Soderbergh, come per confermare la sua tesi primigenia (Che Guevara, dopotutto, era un uomo e a quello si è puntato), ci presenta appunto un uomo solitario, al di là delle grida trionfali che lo accologono al suo arrivo nei piccoli centri debatistati che sembrano strizzare l’occhio all’idolatria successiva alla sua morte. In questo guardando al Che Guevara di Soderbergh sembra di guardare alla trasfigurazione di un personaggio di un grande western, come l’Antonio das mortes di Glauber Rocha che, sconfitta un’ingiustizia fugge subito via per cercarne un’altra, o ancora come l’Ethan Edwards di Sentieri selvaggi, che scompare in un radioso futuro solitario, il tutto ovviamente senza l’epopea tipica del genere.
Va da sé che, forse paradossalmente pensando alle intenzioni, l’operazione soderberghiana risulta essere a tratti molto cerebrale, come nei continui salti temporali con cui è contrappuntata la pellicola – marcati a là Soderbergh versione Traffic, ovvero con un viraggio in bianco e nero per tutte le parti ambientate durante il viaggio del Che a New York per il celebre discorso alle Nazioni Unite, quasi per “musealizzarne” l’immagine – ai quali il regista sembra ricorrere sistematicamente ogniqualvolta necessiti di raffreddare la portata simbolica dell’agire dell’uomo Guevara. Ecco spiegati anche i bruschi azzeramenti dell’azione, anche coraggiosi se visti nel quadro più ampio della trasposizione di una esistenza rivoluzionaria. L’anti-spettacolarizzazione di un mito passa anche da questo, con buona pace dei puristi…

Info
Il trailer di Che – L’argentino.

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