Contagion

Contagion

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Affrontando il blockbuster catastrofico, Soderbergh compie l’ennesima operazione spiazzante della sua brillante carriera. In Contagion, più che concentrarsi sulla spettacolarità del genere, preferisce adottare un registro realistico: rinuncia alle suggestioni visive dei totali sulle città deserte e resta coerentemente ancorato all’idea di indagare le reazioni degli uomini di potere e degli uomini comuni di fronte a un nemico invisibile.

Il nemico invisibile

Contagion segue il rapido sviluppo di un virus letale trasportato dall’aria che uccide nel giro di pochi giorni. Col rapido diffondersi dell’epidemia, la comunità medica mondiale si affretta a trovare una cura e controllare il panico che si diffonde più velocemente del virus stesso. Nel frattempo, la gente comune si sforza di sopravvivere in una società allo sbando… [sinossi]

Non è facile definire il cinema di Steven Soderbergh, perennemente in bilico tra scelte commerciali e ambizioni autoriali, drammi e commedie, realismo e fantascienza, ottimi film e pellicole deludenti. Ma è proprio questo il bello del regista/sceneggiatore/produttore americano [1], cineasta in continuo movimento, capace di confrontarsi con l’indie duro e puro (Bubble, 2005), improbabili remake (Solaris, 2002), biopic monumentali (il dittico su Ernesto Che Guevara: Che – L’Argentino e Che – Guerriglia, 2008) e divertissement da botteghino (Ocean’s Eleven, 2001). E, paradossalmente parlando, Contagion è la conferma della sua imprevedibilità: un classico soggetto da blockbuster catastrofico, un cast di stelle hollywoodiane, ma uno sguardo altro, analitico e riflessivo, nonostante alcune concessioni e alcune leggerezze di sceneggiatura.

L’aspetto più intrigante dell’ultima fatica di Soderbergh, alla 68esima Mostra del Cinema di Venezia nella sezione “parking” Fuori Concorso, è infatti lo sguardo, il punto d’osservazione: rinunciando in gran parte alla componente spettacolare, il regista di Atlanta sceglie un registro realistico, focalizzandosi sulle azioni e reazioni di alcuni personaggi e, soprattutto, sulle risposte delle varie istituzioni, del sistema Mondo costretto a confrontarsi con l’ignoto, l’imprevisto. Più di alcune sequenze che mettono efficacemente a dura prova la sensibilità dello spettatore comune [2], ci interessa l’attenzione dimostrata da Soderbergh per i dettagli scientifici, organizzativi e burocratici che si mettono in moto dopo il primo decesso, nonché per la non schematica riflessione sui mezzi di informazione. Contagion non scivola nella retorica del cattivo governo, dei buoni contro i cattivi, del complotto e dell’inevitabile malignità dei potenti e del naturale eroismo della gente comune, ma cerca di ipotizzare un probabile (e possibile) sviluppo degli eventi: Soderbergh, che non riesce comunque a rinunciare alla carica emotiva dei legami familiari e delle dinamiche interpersonali, prova a tratteggiare una cronaca obiettiva della diffusione e dell’escalation del virus. Mentre i giorni vengono ordinatamente indicati, è l’illustrazione puntuale degli studi sul virus e sull’antidoto a scandire il passaggio del tempo: Soderbergh, lasciando ampio spazio a una terminologia tecnica e alle analisi di laboratorio, costruisce una sorta di blockbuster-vérité. Ed è architettato con apprezzabile attenzione il personaggio del blogger, Alan Krumwiede (Jude Law), emblema dei pregi e difetti dell’informazione internettiana: come detto, non ci sono mostri o eroi in questo film.

Impreziosito da una colonna sonora che sembra pulsare sottopelle, Contagion regala una prima parte incalzante, tesissima, che introduce i vari personaggi e che non dimentica la centralità del virus, del nemico da studiare e isolare: alla lunga, però, Soderbergh smarrisce alcuni personaggi, probabilmente superflui (si veda, ad esempio, tutta la vicenda legata alla dottoressa Leonora Orantes, alias Marion Cotillard) o scritti frettolosamente (Aubrey Cheever/Sanaa Lathan, moglie del dottor Ellis Cheever/Laurence Fishburne) e si impantana in alcune parentesi melense (ancora il personaggio della Cotillard e buona parte della sua permanenza a Hong Kong, soprattutto nel finale).
Lontanissimo dal consueto cinema catastrofico, Contagion rinuncia anche alle suggestioni visive dei totali sulle città deserte, restando coerentemente ancorato all’idea di indagare le reazioni degli uomini di potere e degli uomini comuni di fronte a un nemico invisibile. Sarà interessante osservare la reazione del grande pubblico…

Note
1. 
Nonché montatore, direttore della fotografia, saltuariamente attore e via discorrendo.
2. A parte l’autopsia in cui viene scoperchiata con dovizia di particolari una calotta cranica, merita un accenno la sequenza in cui Mitch Emhoff (Matt Damon) scopre il cadavere del piccolo Clark (Griffin Kane): la morte di un bambino, in questo caso resa visivamente ancor più sgradevole dagli effetti del virus, appartiene solitamente alle immagini da non mostrare al pubblico occidentale.
Info
Il trailer di Contagion su Youtube.
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