Che – Guerriglia

Che – Guerriglia

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Con la seconda parte del dittico dedicato a Ernesto Guevara, Che – Guerriglia, Soderbergh perfeziona il discorso del precedente capitolo, lavorando ancora di più sull’astrazione e sull’impostazione anti-retorica.

Dead Man Walking

Gli ultimi tre anni di vita di Ernesto Guevara a seguito del trionfo della rivoluzione cubana: dal 1965 – quando il Che lascia tutto, sua moglie, i suoi figli e gli incarichi politici a Cuba per andare in Bolivia allo scopo di contribuire a una nuova rivoluzione – fino alla sua morte, avvenuta il 9 ottobre 1967 a La Higuera… [sinossi]

La seconda parte del dittico su Ernesto “Che” Guevara non solo conferma in pieno le già buone basi su cui poggiava il primo episodio (Che – L’argentino), ma anzi rafforza la missione cinematografica portata avanti con forza e coraggio da Steven Soderbergh in questa sua rilettura per nulla romanzesca del guerrigliero argentino. La significativa distanza temporale con cui il regista di Atlanta riprende il suo discorso, saltando a piè pari tutto l’evolversi della Cuba castrista, è già di per sé un segno inconfutabile del mancato interesse per tutto quell’apparato ideologico con cui la figura del Che è stata sempre accompagnata.
Che – Guerriglia, infatti, si apre con il celebre discorso di Fidel Castro nel quale annunciava il disimpegno dell’eroe rivoluzionario dalla causa cubana: Soderbergh lo mette in scena così com’è, senza rielaborarlo, riportando fedelmente il video originale e attaccandosi quasi ossessivamente a uno schermo che lo proietta. Questo è quello che rimane della Cuba del Che, una lettera che Fidel legge con la prosopopea che gli è tipica, in una scena che ben sintetizza in sé il rapporto non certo idilliaco tra il Comandante e il Lider Maximo, dopo che dalla rivoluzione si passa dall’altra parte della barricata, cioè all’esercizio del potere.

Il Che soderberghiano è dunque un uomo solo, come già in un certo senso preannunciava la prima parte del dittico, uno straniero sempre e comunque, che deve ricominciare da capo la propria vita. Sembra rinascere, e in effetti Soderbergh è come se ridisegnasse una nuova vita per il Che, lasciandolo da parte per un attimo per poi farlo riemergere sotto mentite spoglie e quasi irriconoscibile in Bolivia, dove parteciperà ad un’insurrezione armata contro il governo che la comanda, truccato, con i capelli tinti e una dentiera.
Come per suggellare e rafforzare questa nuova vita del Che, Soderbergh inanella scene su scene di presentazioni, strette di mano e abbracci con i suoi nuovi compagni d’armi, quasi azzerando in toto l’enorme passato che quest’uomo aveva costruito con sudore e fatica. Ma questa nuova vita per il Che non è altro che un morire lento, senza speranza, senza quell’afflato rivoluzionario che invece lo spingeva ardentemente nella Sierra Maestra cubana: il Che boliviano (che emerge dalla parole cupe dello stesso Guevara nel suo diario da cui è tratto il film) è un dead man walking, del tutto immerso in una fotografia dimessa e spettrale lontanissima dai colori caldi e passionali di Cuba, che si porta negli occhi la morte, il disfacimento fisico, la sconfitta politica più che militare.

Il Che boliviano di Soderbergh sembra, e questa sì che è la scelta ideologica più forte che Soderbergh ha messo in campo in questa sua fatica intimamente anti-ideologica, votato all’auto-distruzione, al nichilismo più assoluto, un eroe che non cerca quella bella morte “romantica” a cui l’iconografia tradizionale lo ha sempre accostato, ma una morte che è quasi una fuga, dalle sconfitte della Storia e dagli errori (e Guevara ne ha commesso uno dopo l’altro in Bolivia: innanzitutto, ed è quello senza dubbio più importante, ipotizzando un’insurrezione armata in un paese in cui mancava totalmente l’appoggio sia della base proletaria che del partito comunista; e poi l’ultimo, il più tragico, dimenticando le medicine necessarie per combattere l’asma in un accampamento di fortuna lasciato in fretta e furia).
Non v’è dubbio, lo ripetiamo, che questa scelta di Soderbergh introduca nella pellicola un’accezione ideologica molto forte, che acquista una valenza simbolica possente proprio perché inserita in un quadro anti-retorico e dunque anti-ideologico (visto che parliamo di un personaggio storico in cui è pressoché impossibile separare le proprie azioni dal proprio credo politico).

“Si deve vivere come se si fosse già morti” ripete il Che; e lui lo era, probabilmente già da quando marciava trionfale verso L’Avana…

Info
Il trailer di Che – Guerriglia su Youtube.
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