Cape No. 7

Cape No. 7

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Presentato al Far East 2009, Cape No. 7 è essenzialmente un musicarello, sottogenere che il Bel Paese conosce bene. Un po’ commedia, un po’ melodramma, numerosi personaggi stereotipati, canzoncine, sole, cuore, amore, qualche lacrima e l’immancabile lieto fine scritto già nei titoli di testa. Un prodotto visceralmente popolare, semplice, addirittura semplicissimo nella trama, nelle dinamiche tra i personaggi, nella messa in scena piatta ma non scadente.

Quando dico che ti amo

Nella località balneare di Hengchun si terrà presto un concerto del cantante pop giapponese Kousuke Atari. Gli organizzatori, però, vogliono affiancargli un gruppo spalla composto da musicisti locali. Leader del gruppo sarà il rockettaro e scontroso Aga, impiegato come postino e ancora scottato dal mancato successo sulla scena musicale di Taipei… [sinossi]
Quando dico che ti amo credi a me
è la pura sacrosanta verità
fino a ieri sono stato uno che
s’era sempre divertito e niente più.
Quando dico che ti amo – Tony Renis

La cinematografia taiwanese produce poco e incassa ancora meno nonostante la qualità spesso assai elevata dei suoi prodotti (è quasi superfluo ricordare nomi monumentali come Tsai Ming-liang, Hou Hsiao-hsien, Edward Yang…). Logica curiosità ha destato quindi il campione d’incassi Cape No. 7 (Hái-kak chhit-ho), diretto da Wei Te-sheng e unico rappresentante taiwanese al Far East 2009. La scelta del festival friulano, fondamentale vetrina per il cinema popolare (e non solo) asiatico, è certamente condivisibile, nonostante la modesta qualità della pellicola. Un così largo successo di pubblico meritava un’attenta visione, anche per capire le possibili future scelte e orientamenti produttivi dell’industria taiwanese.

Cape No. 7 è essenzialmente un musicarello, sottogenere che il Bel Paese conosce bene. Un po’ commedia, un po’ melodramma, numerosi personaggi stereotipati, canzoncine, sole, cuore, amore, qualche lacrima e l’immancabile lieto fine scritto già nei titoli di testa. Un prodotto visceralmente popolare, semplice, addirittura semplicissimo nella trama, nelle dinamiche tra i personaggi, nella messa in scena piatta ma non scadente. Tutto ruota attorno al concetto, discutibile ma universale, di prodotto destinato a tutti, alla grande massa, con particolare attenzione nei confronti del pubblico adolescenziale. Ecco allora la musica pop, i grandi sentimenti e la pochezza dei conflitti interpersonali, la recitazione sopra le righe, tipica delle commediole musicali e non solo.

C’è un po’ di tutto in Cape No. 7. Qualche bella fanciulla, comprese un nugolo di modelle in costume, un paio di fascinosi cantanti, una rappresentazione da cartolina (modello Pro Loco) di Taiwan, una sottotrama melodrammatica decisamente posticcia, il riscatto attraverso la musica, una storia amore fintamente travagliata, un numero eccessivo di spalle comiche. La storia d’amore tra l’ombroso rockettaro, diventato postino per ripiego e incupito con tutto e tutti, e la bella giapponesina è sviluppata parallelamente a una vecchia relazione (la sottotrama melò, inutile surplus), raccontata attraverso della corrispondenza riemersa dopo anni d’oblio, e procede come da routine di questo sottogenere alternandosi alla formazione del gruppo musicale, ovviamente composto da improbabili personaggi. Cape No. 7 strappa qualche risata ma perde per strada i suoi personaggi, quasi sempre tratteggiati superficialmente, e ha una durata inspiegabilmente eccessiva (129 minuti) che rende ancor più evidente i ripetuti cali di ritmo. Si salvano alcune gag ai limiti della slapstick comedy e il tenero imbarazzo dei due giovani amanti dopo un’imprevista (per loro…) notte d’amore. Un prodotto di questo tipo, dichiaratamente di intrattenimento leggero, quasi impalpabile, dovrebbe saper offrire spunti comici e romantici più convincenti senza dimenticare un’auspicabile capacità di sintesi.

Nella ipotetica sfida a distanza geografica e temporale con i vari Quando dico che ti amo (1967) di Giorgio Bianchi, Perdono (1966) e Stasera mi butto (1967) di Ettore M. Fizzarotti e Zum zum zum n. 2Sarà capitato… (1969) di Bruno Corbucci, Wei Te-sheng non esce vincitore. Non è un buon segno.
In linea col film, ci concediamo un lieto fine. Nonostante i macroscopici difetti, Cape No. 7 potrebbe rappresentare un’ottima opportunità per  Wei Te-sheng: dopo essere stato costretto ad accantonare il progetto di realizzare Seediq Bale (lungometraggio ispirato a una sommossa avvenuta nel 1930 a Taiwan, durante l’occupazione nipponica), Wei ha finalmente trovato i fondi necessari. Potere del box office.

Info
Il trailer originale di Cape No. 7.
La scheda di Cape No. 7 sul sito del Far East.
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