Blanka

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Presentato alla Biennale College Cinema, Blanka è un film sui bambini di strada di Manila, opera del regista giapponese Kohki Hasei. La storia di Blanka e Peter, due figure marginali che si incontrano e aiutano a vicenda, è raccontata senza facili pietismi e senza commiserazione. I bassifondi della capitale filippina sono raccontati con colori saturi e sgargianti, poco realistici ma carichi di speranza.

Ragazzini corrono sui muri neri di città

Blanka, undicenne, vive nelle strade di Manila. Senza famiglia sopravvive tra elemosina e furtarelli. Un giorno vede in televisione la notizia di una famosa attrice che ha adottato una figlia e le viene un’idea: appendere dei manifesti in cui cerca una madre da cui essere adottata. Conosce Peter, un musicista mendicante, cieco dalla nascita. I due iniziano ad aiutarsi l’un l’altra. [sinossi]

Blanka ha solo undici anni, sopravvive a stento nei vicoli di Manila chiedendo l’elemosina o attirando, insieme al suo gruppetto di complici, persone e distraendole in modo da sfilare loro il portafogli dalla tasca. È una bambina con tanta energia, temprata da una vita dura, scaltra come i suoi compagni, che guarda al futuro con più speranza che rassegnazione. Vedendo la televisione conosce la storia dell’attrice, bella, ricca e famosa, che ha adottato una bambina povera come lei. E subito le viene la brillante idea di tappezzare i muri della città con un annuncio di ricerca madre da cui farsi adottare. L’amicizia con Peter, cieco dalla nascita che chiede offerte suonando la chitarra sui marciapiedi, avviene nel modo più ovvio, rubandogli i soldi dalla sua tazza. Peter è rassegnato che i bambini di strada lo facciano, approfittando della sua cecità. Quasi è contento di soccombere in una guerra tra poveri nel pensiero di aiutare involontariamente altre persone sfortunate.

Siamo lontani da un neorealismo filippino, da come un qualsiasi regista dell’arcipelago potrebbe raccontare la propria realtà, conoscendola in prima persona. Lo sguardo del giapponese Kohki Hasei è uno sguardo dall’esterno, consapevole di esserlo, creando un mondo più astratto che naturalistico. E lo è pur avendo studiato Manila e avendovi passato un periodo di perlustrazione già confluito nel suo cortometraggio Godog. Siamo lontani da un neorealismo cupo, fatto di colori scialbi. Hasei fotografa un mondo colorato di colori saturi, un mondo interiore, lo sguardo di una bambina solare piena di speranza, di un uomo non vedente dalla nascita. Confluiscono le varie esperienze del regista, che ha diretto video musicali e di moda, e che è attivo anche nel mondo delle gallerie d’arte, dell’arte indipendente, delle riviste di fotografia e musica.

Sembra di rivedere Sili, la bambina storpia nelle strade di Dakar de La petite vendeuse de Soleil di Djibril Diop Mambéty. La sua caparbietà, la sua emancipazione e quel nucleo di emarginati, di ‘freak’ (il nano, il cieco, le trans) tra cui si crea solidarietà per motivi di sopravvivenza. Un mondo quasi circense. Hasei racconta un personaggio altrettanto solare, senza compassione e rassegnazione, in una Manila illuminata di colori kitsch, di luci sgargianti, di notti illuminate a giorno, di luci calde di un tramonto, di locali messicani dove si servono cocktail, pollo fritto e anguria, di poster di spiagge tropicali con palme. Dove si va in skateboard addobbati di cd. Dove si esibiscono ventriloqui vestiti da Charlot con scimmiette pupazzo. Una Manila che sembra un grande luna park, ma Hasei non dimentica di mostrare la sofferenza che si annida dietro quelle luci scintillanti: quando Blanka appende un annuncio su un muro colorato, vediamo ai suoi piedi un’altra bambina che dorme per terra. Che si tratti di colori mentali, di una visione soggettiva del mondo è chiarito anche nella scena dei bambini che interpretano una nuvola di smog come un dipinto o come un arcobaleno. E nel gioco vedere/non vedere, a colori o senza si inserisce un’altra immagine, quella dei protagonisti di fronte a un film in bianco e nero di guerra in televisione, con Peter – che non può vederlo in quanto cieco – che esclama “Non ci sarebbero guerre se tutti fossero ciechi”.

In questa costruzione, Hasei riesce anche a inserire momenti ironici, surreali. Il ladro di tre anni di cui parla il telegiornale, che riferisce anche che in Giappone i cani randagi vengono soppressi con il gas, riferimento quest’ultimo a una società opulenta, quella cui appartiene il regista, dove gli ultimi, gli emarginati, i randagi che danno fastidio vengono eliminati. “Perché le galline non volano anche se hanno le ali?” si chiedono i bambini nella loro curiosità infantile, nella loro esplorazione del mondo. E, in un riferimento ovvio al tacchino de Il tempo dei gitani di Emir Kusturica, film che Hasei mette in cima a una lista di ispirazioni, anche le galline voleranno. Anche i ciechi, gli storpi, gli emarginati potranno, prima o poi, spiccare il volo.

Info
La scheda di Blanka sul sito della Biennale.
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