Memorie del sottosviluppo

Memorie del sottosviluppo

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L’intellettuale che vuole “farsi” popolo senza riuscirci: l’eterno dilemma veniva affrontato nel 1968 da Tomás Gutiérrez Alea in Memorie del sottosviluppo, ritratto già disilluso della Cuba di Fidel. Al Cinema Ritrovato 2016.

Que viva la solitudine

L’Avana. Dopo la caduta della dittatura militare di Batista, la famiglia di Sergio, un intellettuale cubano di origine borghese, è fuggita a Miami. Lui invece ha deciso di restare nell’isola. [sinossi]

La storia del cinema è fatta anche, ovviamente, di diversi tentativi di cinema rivoluzionario, quantomeno là dove vi era una rivoluzione in corso – o appena compiuta, o all’orizzonte – che potesse giustificare tale slancio. Da Ottobre a Il vento dell’Est, oggi si rivede quei film con un senso di smarrimento e anche di sbigottimento, di fronte a quel che poteva essere e che non è mai stato. In tale filone – ormai trapassato dalla storia, ma quasi sempre ancora vivo per l’insegnamento politico-estetico che se ne può trarre – rientra, con qualche forzatura, anche Memorie del sottosviluppo, film che venne realizzato nel 1968 a Cuba da Tomás Gutiérrez Alea (autore in seguito di un titolo celeberrimo come Fragola e cioccolato) e che è stato ripresentato in questi giorni a Bologna per la trentesima edizione di Il Cinema Ritrovato.

Paradossalmente, Memorie del sottosviluppo – tratto da un romanzo di Edmundo Desnoes – lo si può vedere allo stesso tempo come un film rivoluzionario e anti-rivoluzionario, per il gioco di adesione e distanza che instaura rispetto al suo protagonista, un intellettuale borghese che, al contrario di familiari e amici, ha deciso di restare nella Cuba di Castro. Partendo proprio dalla deposizione di Batista (e dalla partenza in aeroporto per Miami della moglie e dei genitori del protagonista) e arrivando fino alla crisi della Baia dei Porci, Gutiérrez Alea fa leva sull’inesausto esercizio del dubbio, che è la caratteristica precipua del suo personaggio, oltre a diventare questione estetica primaria del film stesso.
Memorie del sottosviluppo infatti utilizza i codici del cinema “borghese”, dallo psicologismo dei personaggi all’uso di una voice over narrativa e poetica, e li mette a confronto con elementi dissonanti – quasi da cinema di propaganda – come ad esempio le riprese dal vero di rivolte e repressioni dell’epoca di Batista.
Lungi però dal disperdersi nell’ambiguità ideologica e dal chiudersi nel mondo delle sue finzioni (come invece accade al protagonista), il film di Gutiérrez Alea mette consapevolmente in scena l’inevitabile impasse cui, sempre, si trova il cinema (e l’arte in genere) al cospetto di una qualsiasi rivoluzione. Come può esistere un’arte del popolo rivoluzionario, dell’uomo nuovo, forgiato dall’ideologia socialista? È impossibile, perché l’artista resterà sempre un intellettuale borghese incapace di “confluire” nel popolo rivoluzionario e di identificarsi totalmente in esso. Vi è sempre una frattura, una distanza, che è quella della cultura, di un certo tipo di cultura per sua natura elitario. Ecco dunque che il nostro protagonista, Sergio, porta la sua ragazza – figlia del popolo e rimorchiata per strada – a vedere la casa di Hemingway. Lei non capisce e si annoia e lui allora si nasconde, si trincera nella villa: è quello d’altronde il suo luogo, un museo dei ricordi, di carte e geroglifici, in cui rifugiarsi per non affrontare in modo diretto e non filtrato la realtà.

Diviso per capitoli, ciascuno intitolato con il nome di uno dei personaggi che entrano brevemente (e più o meno intensamente) nella vita del protagonista, Memorie del sottosviluppo già in questa sua cadenza ci suggerisce come quel che manca al nostro intellettuale (e che gli mancherà sempre) sia l’apertura verso l’Altro. Sergio difatti è tanto restio verso il mondo esterno da rifugiarsi spesso nella sua casa modernista in collina, dove dalla vetrata del salotto osserva il Malecón dell’Avana, con fare sempre più disilluso, distaccato e persino schifato.
Inoltre Sergio è un intellettuale che non produce: non riesce a scrivere e si alambicca in pensieri ombelicali, per poi decidere d’istinto di gettarsi in strada, in cerca di carne fresca, di sangue giovane, vale a dire di una ragazza del popolo. Ed è proprio la relazione che Sergio istituisce con la giovane minorenne che permette di delineare ancor meglio il discorso di Gutiérrez Alea: l’intellettuale è così ‘assetato’ del popolo, ne è talmente attratto, che finisce sempre per sfruttarlo ai suoi scopi, non solo culturali, ma anche biecamente sessuali. Eccolo lì, allora, che lo sfruttamento capitalista delle masse si ripropone in maniera estenuata, volgare e con la classica falsa coscienza borghese.

Nel raccontarci questo, Gutiérrez Alea utilizza uno stile sporco e da ‘soggettiva libera indiretta’, un po’ pasoliniano e un po’ nouvelle vague, con cui riesce a rendere perfettamente la crisi d’identità del suo protagonista, ma anche lo smarrimento che, sempre, si ha di fronte a nuove realtà sociali. Ed è senz’altro un segno di grande libertà sapere che nella Cuba castrista di allora sia stato possibile realizzare questo film, promessa di un grande cinema cubano e latino-americano che poi è andato col tempo spegnendosi. Come ogni ardore rivoluzionario…

Info
La scheda di Memorie del sottosviluppo sul sito del Cinema Ritrovato.

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