Accused

Presentato e premiato al Miff Awards di Milano, per la regia, l’interpretazione femminile e il montaggio, Accused è un thriller giudiziario che ricostruisce fedelmente un caso di cronaca che ha sconvolto l’Olanda. Un film secco che restituisce i fatti nudi e crudi e che sa usare sapientemente le regole della suspense.

Malasanità o malagiustizia?

Tratto da una storia realmente accaduta, il film segue le vicende giudiziarie dell’infermiera Lucia De Berk, che si ritrova in prigione accusata di essere un serial killer di neonati… [sinossi]

Il caso di Lucia De Berk è stato al centro delle cronache olandesi per quasi un decennio. Infermiera accusata di omicidio plurimo per la morte di numerosi pazienti, bambini e anziani, che sarebbe stata da lei procurata volontariamente somministrando farmaci mentre erano sotto la sua custodia. Condannata all’ergastolo in primo grado e in appello, e scagionata in un nuovo processo dopo che la Corte Suprema ha riaperto il caso. Un iter giudiziario lunghissimo e un calvario per la donna che ha scontato sei anni di reclusione. Un caso complesso che pone pesanti interrogativi sia di filosofia del diritto – dal processo indiziario alla colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio – ma anche intorno a più ampi temi a carattere scientifico, come il valore della statistica: l’accusa infatti si fondava sulla probabilità estremamente bassa che tutti quei decessi fossero spontanei.

La regista Paula van der Oest ricostruisce il caso nel film Lucia de B., con il titolo internazionale Accused, che è stato presentato e premiato al Miff Awards di Milano, riportando tutti questi interrogativi e queste riflessioni, che il caso presenta, con un film semplice e onesto, un courtroom movie che rispetta peraltro le regole base del film di genere, i meccanismi della suspense. Lascia che siano i fatti a parlare nel ricostruire la vicenda, permettendo che si formi spontaneamente nello spettatore un giudizio secondo un iter che probabilmente è lo stesso che è stato seguito dall’opinione pubblica olandese. Inizialmente siamo portati a credere nella colpevolezza, ma pian piano si insinua il dubbio, e gradualmente si forma l’opinione opposta, che opinione rimane. La malasanità cede pian piano il posto alla malagiustizia. Il nostro punto di vista è sostanzialmente quello della tirocinante nell’ufficio del pubblico ministero, cui si deve buona parte del lavoro che sostiene l’impianto accusatorio per il primo grado, che rivaluta poi tutta la questione. La regista non dà allo spettatore alcuna informazione aggiuntiva, spettatore non sa nulla di più di quello che sanno i personaggi del film, insieme ai quali costruisce progressivamente la verità. E la formazione del giudizio si basa anche sull’empatia che si crea con i personaggi, l’assistente procuratore di cui sopra, l’avvocato difensore e soprattutto lei, l’accusata, Lucia dal volto scavato e appesantito da una vita travagliata, per la quale si nutre fiducia.

Il caso ha tutte le caratteristiche del caso mediatico, come sappiamo bene anche in Italia. Lucia stessa e i suoi famigliari vengono a sapere di quello che sta succedendo proprio dalla televisione. Il mostro è sbattuto in prima pagina. Quello che si contesta al pubblico ministero è proprio il fatto di creare un quadro accusatorio indiziario basandosi su una serie di suggestioni biografiche dell’infermiera, relative al suo passato tormentato, che potrebbe fornire un ritratto psicologico compatibile con un atteggiamento di sadismo verso i pazienti. Stessa suggestione che può colpire l’opinione pubblica televisiva così come gli spettatori del film nella prima parte. Quello che si imputa ai magistrati inquirenti è proprio l’incapacità di non essere pubblico, di lasciarsi influenzare dall’evidenza, rifiutando così di vagliare anche ipotesi diverse. E con la conseguente scorrettezza di omettere e non portare a processo le prove contrarie alla propria tesi.
Paula van der Oest ci mostra il procuratore come ambizioso, preoccupato di non perdere un altro caso, che antepone il proprio successo alla vita di una persona che può finire in carcere ingiustamente. La regista ci mostra altri dettagli con spirito di denuncia, come gli interrogatori sadici. Ma tra i tanti particolari ci sono anche gli sguardi persi, nei processi, dei genitori o famigliari delle vittime, con le loro reazioni di soddisfazione al solo pronunciamento della parola ergastolo. Sguardi che pure generano empatia come la sensazione di voler sacrificare qualcuno comunque per poter rendere loro giustizia in qualche modo. E ancora, e soprattutto, la regista sa trasmettere quel senso lancinante di impotenza, di sfiducia in tutto e tutti, di Lucia, vittima di un errore giudiziario.

Paula van der Oest sa confezionare il tutto nella forma del perfetto thriller giudiziario, con i suoi colpi di
scena, con i suoi momenti di suspense hitchcockiana pura come quello dell’assistente del procuratore che trafuga in modo rocambolesco il referto che scagiona Lucia, cercandolo tra i cassetti e rischiando per il rotto della cuffia di essere scoperta. Certo, si può obiettare che romanzare una storia vera significa semplificarla, ma è nella natura stessa del cinema. E ciò ci porta dalle parti di un Costa-Gavras che teorizzava la possibilità di usare il cinema popolare per veicolare messaggi importanti, di impegno civile. Rimane solo il dubbio che il film non possa risultare altrettanto avvincente a chi già conosca la vicenda e la sua conclusione, cosa che peraltro vale per il suo pubblico naturale olandese visto che la storia di Lucia De Berk è stata un caso nazionale e ha campeggiato per tanti anni sui giornali.

Info
La scheda di Accused sul sito del MIFF 2016.

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