La morte viene dallo spazio

La morte viene dallo spazio

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La morte viene dallo spazio, esordio alla regia di Paolo Heusch con Mario Bava alla fotografia, segna un passaggio fondamentale nella fantascienza italiana, anticipando i film catastrofici degli anni Settanta.

La fine del mondo

Un razzo a propulsione atomica guidato da un pilota, costruito grazie alla collaborazione internazionale, viene lanciato verso la Luna da una base ONU. A seguito di un incidente, il razzo oltrepassa la luna (mentre il pilota riesce a ritornare sulla terra) ed esplode in una cintura di asteroidi tra Marte e Giove. Gli asteroidi vengono così deviati con orbita convergente verso una collisione con la Terra. A causa del grande numero di oggetti cosmici che si stanno avvicinando alla terra, sembra che non ci sia alcuna speranza per evitare la catastrofe… [sinossi]

La morte viene dallo spazio, nelle rare occasioni in cui viene citato, lo è quasi sempre solo per il diritto di primogenitura all’interno della storia del cinema di fantascienza italiano; anche Space Men, l’esordio alla regia di Antonio Margheriti – il più celebre dei registi italiani dediti allo sci-fi –, gli succede di ben due anni. Andando a ritroso nel tempo non è così difficile imbattersi in esempi di viaggi spaziali o in ipotesi di pittoresche unioni tra uomini e marziane (rigorosamente uomini i primi e donne le seconde), ma si tratta in ogni caso di deviazioni nel fantastico che sposano la farsa, la commedia di costume, il gioco fine a se stesso. Facendo invece riferimento a un apparato narrativo e immaginifico desunto dal cinema hollywoodiano del periodo, e sfruttando il successo di iniziative editoriali come Urania, La morte viene dallo spazio mette in scena la fantascienza come dramma, thriller ad alta tensione che non cede mai alla risata sghemba.
Alla regia di questa coproduzione italo-francese (prassi piuttosto consolidata dell’epoca) esordisce Paolo Heusch, regista di cui si sono perse le tracce ben presto e che meriterebbe una riscoperta compiuta e un’analisi approfondita – tentata su queste pagine virtuali nelle scorse settimane, come potete leggere qui. Heusch, che tenterà di nuovo la carta del genere, così in voga in quegli anni di produzioni convulse nel tentativo di agganciare il treno della distribuzione internazionale, con il film di lupi mannari Lycanthropus (1963), prima di immergersi nell’universo-Totò, che risulterà fatale per la sua carriera, approccia il film di fantascienza in modo personale, e non così ligio alla “regola”.

Sono quegli gli anni di Ultimatum alla Terra di Robert Wise, La cosa da un altro mondo di Hawks/Nyby, Il pianeta proibito di Fred M. Wilcox, La guerra dei mondi di Byron Haskin, Gli invasori spaziali di William Cameron Menzies, L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel, L’astronave atomica del dottor Quatermass di Val Guest. Tutti titoli in cui l’uomo è proteso verso lo spazio perché quest’ultimo è abitato da entità aliene, nella maggior parte dei casi ostili e pronte a loro volta ad attaccare e invadere la Terra. Heusch, che prende spunto da un soggetto del torinese Virgilio Sabel (a sua volta regista del dimenticato Il figlio dell’uomo, bizzarra narrazione della vita di Gesù ambientata interamente in esterni pugliesi) poi lavorato in fase di sceneggiatura da Alessandro Continenza e Marcello Coscia, non è però interessato a guerre interstellari, o incontri con culture aliene. L’unica cosa che può arrivare dallo spazio è una miriade di detriti di asteroidi, così giganteschi da rischiare di ridurre il mondo in poltiglia distruggendo l’umanità.
Giocando con una certa intelligenza con il tema dell’atomica, così centrale all’interno dei discorsi politici dell’epoca – La morte viene dallo spazio ipotizza una grande collaborazione tra blocchi contrapposti, in cui Mosca e Washington parlano la stessa lingua, non si guardano in cagnesco e lavorano insieme per il bene della difesa dell’umanità –, Heusch sembra occhieggiare più che altro a esempi della cinematografia fantascientifica come Quando i mondi si scontrano di Rudolph Maté, o anche Uomini sulla Luna di Irving Pichel, nei quali il tema della conquista dello spazio viene declinato in direzione di un’esaltazione della predisposizione dell’uomo di sacrificarsi in difesa dei suoi simili. La morte viene dallo spazio, che troverà nell’inglese The Day the Earth Exploded un titolo di maggior effetto ma meno in grado di cogliere l’essenza del progetto, è uno sci-fi che non tollera gli esterni, ma rinchiude l’uomo in spazi sempre più chiusi e claustrofobici: i laboratori e gli uffici degli scienziati, i bunker in cui si deve nascondere la popolazione alla disperata ricerca di un luogo sicuro, la stessa navicella spaziale che, da speranza di una nuova era si trasforma in artefice di un possibile disastro planetario.

A cosa serve l’atomica, che le nazioni del mondo stanno accumulando per potersi minacciare vicendevolmente? Può rappresentare la salvezza dell’uomo, utilizzata magari non per vincere nuovi conflitti ma per sgretolare e ridurre a pulviscolo quei massi abnormi che stanno cadendo sulla Terra? Definire pacifista un film come La morte viene dallo spazio potrebbe apparire eccessivo, vista la naiveté politica che funge da coperta all’intera narrazione, eppure si scorge uno stimolo, un impulso alla pacifica convivenza tra credi ideologici e strutture statali differenti – la metafora del drink a cui “manca la vodka” per essere davvero completo è più di un motto di spirito.
Diretto con notevole senso della tensione, gestendo senza alcuna malagrazia anche i passaggi dalle tonalità più diverse (la love story tra addetti al calcolo matematico della traiettoria della navicella, l’inevitabile scienziato che perde il lume della ragione e, invasato da detriti religiosi, vorrebbe partecipare alla distruzione di tutto e tutti), La morte viene dallo spazio è una matura riflessione sulla tragedia (in)evitabile, e anticipa nelle declinazioni narrative alcuni disaster-movie che riporteranno in auge il tema del terrore nel corso degli anni Settanta e Ottanta. Heusch viene accompagnato in questa avventura dalla fotografia di Mario Bava, già al lavoro l’anno precedente su I vampiri di Riccardo Freda – che mescola scienza e orrore – e che nel 1959, prima di esordire alla regia con La maschera del demonio, firmerà fotografia ed effetti di Caltiki, il mostro immortale, sempre sotto l’egida di Freda. Anche Bava arriverà alla fantascienza, con Terrore nello spazio, a sua volta anticipando alcune “visioni” del cinema hollywoodiano. Ma questa è un’altra storia…

Info
La morte viene dallo spazio in inglese su Youtube.
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