Les Sauteurs

Les Sauteurs, che arriva anche nelle sale italiane grazie a ZaLab dopo aver fatto incetta di premi in giro per il mondo nel corso del 2016, è un’opera che ribalta la prospettiva, costringe lo spettatore a ricomporre il proprio sguardo, di spettatore e di occidentale (cresciuto nel mito di un post-colonialismo mai davvero sviluppatosi). Chi sono i saltatori? Quali muri devono superare? Nell’Europa alla ricerca di un’identità, c’è chi vorrebbe essere solo riconosciuto come essere umano, (ri)partendo dalle basi. Un documentario potente e che fonde la teoria alla pura raffigurazione del “reale”, e del realmente mostruoso.

L’aldilà

Sul Monte Gurugú intorno a Melilla, enclave spagnola in Marocco, vivono migliaia di migranti africani in attesa di riuscire a scavalcare la barriera di filo spinato e telecamere che li separa dall’Europa. La loro è una vita ammassata e precaria, ma piena di progetti e futuro. A uno di loro, Abou originario del Mali, gli autori affidano una videocamera per raccontare la vita di questa comunità. Abou capisce la forza di quello strumento e diventa l’occhio grazie al quale per oltre un anno incontriamo da vicino le persone, ascoltiamo le loro storie, viviamo la fame, la violenza, la paura, ma anche i loro gioiosi tentativi di esorcizzarla. Insieme a lui entriamo in quell ’umanità, nella sua ferocia e nella sua bellezza, e l’accompagniamo con la speranza di riuscire a “saltare” al di là del muro. [sinossi]

“Les Sauteurs” sono, letteralmente, i saltatori. Saltatori in alto, ma non per sport, a meno che la vita non voglia essere considerata un lungo agone (preludio all’agonia). Poco più di un decennio fa, nel settembre del 2005, anche i media italiani si occuparono, per un breve periodo, di Ceuta e Melilla, nomi tra lo spagnoleggiante e l’arabo che in pochi si erano premurati di conoscere; in quel quasi autunno un numero elevato di migranti tentarono la fuga in Europa, oltrepassando la barriera con filo spinato che “protegge” le due enclavi spagnole in Marocco, per finire sanguinanti a terra sotto le fucilate dell’esercito di Madrid. L’Europa dell’accoglienza, l’Unione Europea che nel 2012 si vedrà assegnare il Premio Nobel per la Pace (con la seguente motivazione, a dir poco discutibile: “per oltre sei decenni ha contribuito all’avanzamento della pace e della riconciliazione della democrazia e dei diritti umani in Europa”), affronta i disperati che attraversano il confine a colpi di fucile. L’Unione Europea spara per uccidere, attraverso le forze armate spagnole. La difesa a oltranza del diritto del più forte non può essere messa in discussione; e se oggi si sgranano gli occhi increduli di fronte al folle desiderio di Donald Trump di allargare ulteriormente il muro che separa il sud degli States dal Messico, sarebbe il caso di ricordare le vittime di Ceuta e Melilla, tanto più che con il consenso di Frontex le barriere tra il Marocco e le due città autonome verranno rinforzate, fino a raggiungere i sei metri d’altezza. Così per i migranti non sarà più necessario sprecare proiettili, basterà la caduta a immobilizzarli e forse a ucciderli.

Anche in virtù di questo clamoroso vuoto di memoria dell’intelighenzia europea, acquista un valore particolare Les Sauteurs, documentario che arriva finalmente anche nelle sale italiane grazie a ZaLab – che lo distribuisce in accordo con I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection – e che concentra la propria attenzione proprio sulle migliaia di migranti che si affollano sul Monte Gurugú, la punta più alta del cosiddetto Cabo de Tres Forcas. I migranti sovrastano con lo sguardo quel desiderio di terra libera (o così viene immaginata) che è lì, a pochissimi chilometri, ma non può essere raggiunta se non a sprezzo del pericolo, e mettendo a rischio la stessa vita. Quel guardare dall’alto in basso, seppur in maniera solo ideale, la terra europea – che è ancora africana, ovviamente, ma tenuta tra le dita con forza dalla Spagna, ex-impero che non abbandona i territori al di là del mare – sembra quasi un controcanto, la risposta all’occhio coloniale che tutto sovrasta, e che non ha ancora smesso di dilatare le pupille. In un cinema circondato da uno sguardo coloniale, che si vorrebbe “post” ma non ha davvero il coraggio – né la volontà – di abbandonare le proprie strutture di potere e sapere per tentare un vero dialogo con una controparte ancora oggi muta, se non per elargizione di una carità che passa attraverso i fondi per il cinema (si pensi in questo senso alle operazioni condotte con la camera in Africa e il fido bancario a Parigi), sono pochi a cercare una via alternativa. Tra questi senza dubbio l’algerino Tariq Teguia, del quale resta indispensabile il recupero di Roma wa la n’touma (Rome plutôt que vous, 2006), Gabbla (Inland, 2008) e Thwara Zanj (Zanj Revolution, 2013). Non sono dunque gli occhi del tedesco Moritz Siebert e del cileno Estephan Wagner a rendere interessante Les Sauteurs, che altrimenti avrebbe corso il serio rischio di adagiarsi su un’indignazione di sistema, strutturata anche là dove si rifugge ogni ingabbiamento strutturale. C’è un terzo occhio, un regista inatteso che diventa anche unico vero regista, nel senso che tecnicamente è l’unico ad avere in mano la videocamera, l’unico a poter girare, e quindi dirigere, il film. È l’occhio di Abou Bakar Sidibé, maliano in fuga dal Mali, uno dei migliaia sul monte Gurugú, uno dei saltatori.

Nella scelta di affidare a lui il potere dell’immagine, Siebert e Wagner non praticano un’operazione di facile antropologia eurocentrica, ma compiono un triplo salto mortale, in grado (almeno questo) di superare quell’insopportabile barriera, quel dolorosissimo filo spinato, quelle guardie armate pronte a usare la forza sul più debole, sull’inerme. Nel cedere lo scettro del visionario a un uomo che è al di là del muro, i due registi rinunciano allo sguardo coloniale; certo, rimane nelle loro mani il potere – tutt’altro che secondario – del montaggio, ma le immagini vivono di una loro vita. Una vita non mediata dalla speculazione politica e dalla convenienza. Ne I dannati della terra, testo cardine del pensiero di Frantz Fanon, si legge: “Politicizzare le masse non è, non può essere, fare un discorso politico. È accanirsi con rabbia a far capire alle masse che tutto dipende da loro, che se noi ristagniamo è colpa loro e se noi avanziamo è pure colpa loro, che non c’è demiurgo, non c’è uomo illustre e responsabile di tutto, ma che il demiurgo è il popolo e le mani di un mago non sono in definitiva se non le mani del popolo”. Siebert e Wagner mettono la videocamera nelle mani del popolo. Il popolo riprende se stesso, nel modo in cui ritiene opportuno, seguendo la morale che veicola il proprio pensiero (e viceversa).
Les Sauteurs diventa quindi il resoconto di un mondo a parte, che ha ricostruito le sue regole e la sua struttura sociale (“qui il dottore fa il commerciante, e il venditore di sigarette era un calciatore professionista”, avverte la voce narrante di Abou Bakar Sidibé, che di quando in quando fa capolino tra le riprese); un mondo esclusivamente maschile, esistente in un non-luogo solo per desiderare un luogo idealizzato, e che forse non verrà mai raggiunto. In quei tre metri di barriera c’è il confine tra il reale e l’immaginario, tra il quotidiano e il desiderio, tra la certezza di una stagnazione e il simbolo di un cambiamento. Per questo chi “tradisce”, svelando la presenza dei migranti alle guardie spagnole, deve essere punito, forse anche nel modo più crudele. Les Sauteurs non si limita a dipingere la tragedia più grande dell’oggi, ne svela l’uomo al di sotto di essa; schiacciati dallo strapotere della morte onnipresente, gli sguardi occidentali hanno con malizia a volte maggiore a volte minore disumanizzato il migrante, l’hanno reso omogeneo e quindi sterile – o, agli occhi più beceri, pericoloso. Les Sauteurs nega questa prospettiva, e ne propone un’altra. In attesa che la politica faccia i passi necessari per sradicare questa vergogna quotidiana, una rivoluzione in atto, a colpi di videocamera. E la dedica finale non può che essere per chi, in questo anno vissuto pericolosamente, non ce l’ha fatta.

Info
Il trailer de Les Sauteurs.
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