Bonjour tristesse

Bonjour tristesse

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Restaurato in HD, torna in dvd Bonjour tristesse di Otto Preminger per Sinister e CG. Tratto dal celebre romanzo di Françoise Sagan, un incontro irrisolto ma stimolante tra un autore, Hollywood e la letteratura europea anni Cinquanta. Protagonista una splendida Jean Seberg.

La ventenne francese Cécile si muove, inquieta e incostante, in mezzo alla vita mondana di Parigi. Durante una festa è tormentata dal ricordo della sua estate precedente in Costa Azzurra, dove in compagnia dell’amato padre Raymond fu la causa (in)volontaria di un’imprevedibile tragedia… [sinossi]

Bonjour tristesse (1958) di Otto Preminger si profila fin da subito come un caso decisamente anomalo. Trasposto dal celeberrimo romanzo di Françoise Sagan, si svolge interamente in lingua inglese pur trattando di personaggi originariamente francesi, sulla cui nazionalità nella versione cinematografica si sorvola senza farvi cenno. È un film realizzato da un autore europeo approdato da vent’anni a Hollywood che in questa occasione ritorna in Europa per una produzione cosmopolita. Regista ucraino nato in epoca austro-ungarica e d’adozione hollywoodiana, fonte letteraria francese, locations a Parigi e in Costa Azzurra, comparto attoriale composto da ottimi performer britannici (David Niven e Deborah Kerr, benché entrambi ben impastati con Hollywood), deliziose ventenni americane che in seguito avranno un lungo sodalizio con la cultura europea, ivi compreso il cinema (la sfortunata Jean Seberg), brillanti attrici francesi che recitano in inglese (Mylène Demongeot) e camei di italiani spacciati per sudamericani (Walter Chiari). L’orizzonte potrebbe apparire quello delle spesso infelici coproduzioni, in cui domina un generale anonimato espressivo di gusto internazionale pronto per la più ampia esportazione.

Ma Bonjour tristesse mette in crisi tali coordinate, perché si percepisce comunque un tentativo alto, un approccio autoriale serio e determinato, e anche (soprattutto) il tentativo di dribblare logiche commerciali e cinema fatto per le grandi masse. Oltretutto Otto Preminger si rese presto produttore di se stesso, e nel panorama del cinema hollywoodiano ha quindi ricoperto rapidamente il ruolo di autore decisamente indipendente. Per cui si può ipotizzare, più semplicemente, l’incontro di un autore apolide con un testo fortemente amato, che si vuol trasporre in cinema cercando le migliori vie tra la propria ispirazione, il contesto espressivo americano in cui comunque Preminger si muoveva, e le migliori condizioni possibili offerte dal panorama industriale del tempo per restare fedele alla fonte letteraria.
L’impressione ultima è quella di un film strano, irrisolto, che alterna soluzioni semplicistiche (e semplificanti) a grandissimi momenti espressivi. Fa davvero strano, in un tessuto dialogico del tutto anglofono, sentire i nomi pronunciati alla francese, mentre il balletto sudamericano di Walter Chiari strappa risate a scena aperta. Da un lato viene da pensare a un prodotto che non disdegna le fascinazioni turistico-europee per sguardi americani, amplificati da uno splendido utilizzo del colore; dall’altro restano ben percepibili intenzioni autoriali, che sfidano le convenzioni espressive a partire dall’originale costruzione narrativa tra presente e passato.

Un film ibrido per eccellenza, che spesso sembra voler smussare le asperità del romanzo della Sagan scegliendo per buona parte schemi da commedia mondana applicati a una materia decisamente perturbante, per poi chiudersi invece con una drammaticissima e tetra svolta finale. Il film racconta infatti le vicende di Cécile, una ventenne francese che sulle prime vediamo collocata in un’annoiata vita mondana a Parigi, umbratile e incostante. È durante una festa che Cécile avvia una serie di flashback sulla sua estate precedente passata in Costa Azzurra col padre Raymond. Il padre è vedovo e benestante, uomo fascinoso e dedito al piacere. In vacanza è accompagnato da Elsa, la sua ultima fiamma, una svanita entusiasta praticamente coetanea di Cécile. Tra le due vi è una forte amicizia, ma il placido tran-tran vacanziero viene sconvolto dall’arrivo di Anne Larsen, vecchia amica della madre di Cécile da sempre affezionata a Raymond. Sulle prime Cécile accoglie bene l’arrivo di Anne, ma a poco a poco subentra in lei la gelosia verso il padre, con imprevedibili conseguenze.

Per una buona metà Bonjour tristesse non fa altro che radiografare le smanie vacanziere di una upper class che oggigiorno potremmo definire radical chic. Un nucleo benestante e acculturato che si perde dietro al nulla, tra un party, uno yacht e un casinò. Eppure fin dalle prime battute vi è una nota dissonante, che Preminger dissimula con grande sagacia: l’estrema naturalezza con cui si dà evidenza a un rapporto pressoché incestuoso tra Cécile e suo padre. Tra loro l’affettività è pienamente espressa, compresi anche dei mezzi baci sulla bocca. Nessuno si turba, tutto è regolare e sorridente sotto al sole della Costa Azzurra. Non vi è conflitto drammatico, nessuno soffre, Cécile ed Elsa sono amiche e nemmeno l’arrivo di Anne pare scalfire più di tanto l’andamento delle cose. Sulle prime, anzi, pare di assistere alla celebrazione di una nuova morale, in cui i rapporti umani possono essere ridisegnati secondo proprie esigenze e senza troppe preoccupazioni di morbosità (in linea, in qualche modo, con lo spirito eccentrico di Françoise Sagan, che non a caso vide il proprio romanzo messo all’indice dal Vaticano).
Tuttavia l’ombra della crudeltà adolescente è dietro l’angolo, pronta ad esplodere, specie se si trova a combattere per la propria autoconservazione. In sostanza Cécile non fa altro che lanciare una sfida disperata al tempo e alla maturazione, nevroticamente desiderosa di restare per sempre in quel rifugio di piacere che è l’adolescenza. Non accetta Anne come futura moglie di suo padre e provoca accidentalmente una tragedia. Una tragedia che, paradossalmente, la rinchiude per sempre in quella prigione da lei stessa desiderata, in cui finisce per vivere come una sorta di moglie al fianco di suo padre.

Preminger sembra trattare tale sostanza narrativa, tetra e corposa, con un approccio ambivalente, tra attrazione per essa e spavento. Per buona parte Bonjour tristesse sembra banalizzare infatti il testo della Sagan seguendo linee consuete e accettabili per il grande pubblico; fino alla svolta finale sembra di assistere a una qualsiasi delle tante variazioni sul rapporto conflittuale tra figliastra recalcitrante e matrigna assennata, con la posta in gioco l’affetto del padre che si vuole conservare come totalizzante.
Il tono è da commedia mondana, enfatizzata dal ricorso a eleganti vestiti, toilettes e splendide locations, mentre Jean Seberg tratteggia un personaggio sostanzialmente vivace e spigliato, una ribelle dalle polveri bagnate che spesso fa pensare solo a una ricca viziata. Pure lo scherzo finale, dal quale scaturirà la tragedia, è trattato espressivamente come una pura e semplice marachella. Preminger inietta qua e là il seme del dubbio solo negli splendidi ritorni al presente narrativo, affidati al bianco e nero, in cui Cécile dà conto di uno sconfinato senso di colpa e delusione.
Insomma, come tutta l’operazione anche l’approccio alla materia narrativa è ibrido, indeciso, anche un po’ terrorizzato dagli antri della psiche e forse intimorito dalla fonte letteraria. Tuttavia la messinscena, come sempre in Preminger, è di primissima qualità; basti vedere l’utilizzo espressivo della profondità di campo in combinazione col colore e le squisite fughe prospettiche dell’inquadratura. Autore plastico come pochi altri dell’età classica americana, Preminger sembra spesso ispirarsi all’arte astratta, evocata già dagli splendidi titoli di testa di Saul Bass. E in rapporto alla grammatica classica del cinema americano Bonjour tristesse tenta comunque strade nuove, cerca soluzioni per inediti contenuti; l’alternanza tra bianco e nero e colori legata ai due piani temporali del racconto (significativamente, il bianco e nero è riservato alla colpa del presente) e la voce over che dà conto di pensieri, riflessioni e ricordi, fungendo anche da raccordo tra passato e presente. Vi è la palese intenzione di trovare una veste filmica a contenuti non così frequenti nel cinema classico hollywoodiano come l’inquietudine esistenziale e lo scavo psicologico in profondità.

Se spesso il film lascia l’impressione di irrisolto e sfilacciato, sarebbe sufficiente lo splendido finale per risollevarne totalmente le sorti; dopo aver sostato più volte davanti a vari specchi, Jean Seberg siede alla toeletta e si strucca, piangendo. La prigione è pronta, Cécile adesso ne ha piena consapevolezza. Non crescerà mai, amerà solo il padre, al quale adesso la lega anche un terribile e indissolubile senso di colpa. Certo Preminger non temeva i film scomodi (fu uno dei primi nel cinema americano a raccontare la tossicodipendenza in L’uomo dal braccio d’oro, 1955). Qui il suo cinema incontra l’inquietudine europea anni Cinquanta, le estenuazioni psichiche dell’esistenzialismo nel quale la Sagan non si riconosceva neanche più di tanto. Era inevitabile che l’incontro tra Hollywood e una materia ad essa tanto estranea si traducesse in scontro. Per questo Bonjour tristesse è un film non del tutto compiuto, ma estremamente stimolante.

Extra
Trailer cinematografico.
Info
La scheda di Bonjour tristesse sul sito di CG Entertainment.
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