I dannati
di Roberto Minervini
Dopo sei anni Roberto Minervini torna alla regia con I dannati, confrontandosi per la prima volta con un’opera apertamente “di finzione”, e immergendo lo spettatore nella wilderness statunitense durante la Guerra di Secessione. In concorso in Un certain regard e in sala.
In compagnia dei lupi
Inverno 1862: durante la guerra di Secessione, l’esercito nordista invia a Ovest una piccola compagine di volontari con il compito di mappare e perlustrare terre ancora poco battute. Ma tra le montagne e le brulle distese, il manipolo di uomini non è solo. [sinossi]
A sei anni dal suo ultimo lungometraggio Roberto Minervini torna al cinema con I dannati, presentato in Concorso nella sezione Un Certain Regard del fesitval di Cannes e suo primo film di finzione. O per meglio dire suo primo lavoro dichiaratamente “messo in scena” poiché l’azione si svoge negli Usa del 1862, dunque non possiamo neanche lontanamente presumere di trovarci di fronte a un documentario: la scelta del regista è intelligente ed efficace, ma soprattutto è capace di rinverdire proprio quella tonalità genuinamente naturalistica che Minervini pareva avere un po’ smarrito in Louisiana (2015) e in Che fare quando il mondo è in fiamme? (2018). Il “documentario di creazione”, spazio ibrido tra presa diretta di fronte al reale e fiction strettamente intesa in cui l’autore si è mosso, cede qui il passo alla scrittura vera e propria, all’opera in costume, al racconto “western” e quel che ne scaturisce è la rinnovata precisione del gesto registico nel restituire ambienti, volti, sentimenti e senza artifici verrebbe voglia di dire. Nel fare questo Minervini pare mostrare, nel quadro della fiction appunto, quanto il cinema possa esprimere l’intima e viva essenza dei fenomeni e, ugualmente, quanto questa espressione sia sempre ineluttabilmente tecnica e pianificata in qualsivoglia “genere” ci si muova. È significativo infatti che l’autore sia ritornato alla famiglia Carlson di Stop the Pounding Heart (2013), “prelevando” tre personaggi del documentario sul religiosissimo clan e mettendoli ora nella mischia della Guerra civile americana: la scelta sottolinea sia la maggior vicinanza emozionale tra questo e quel film, sia quanto questa vicenda cerchi in fondo lo stesso nitore di quell’atto documentale. Tanto che, anche ne I dannati, i Carlson (padre e due figli) sono un triadico nucleo molto religioso come se fossero trasmigrati da un’opera all’altra rimanendo in qualche misura loro stessi. Per perseguire con rigore questo moto direzionale, Minervini lavora su due vettori: da una parte l’asciuttezza dell’intreccio, a dir poco minimale; dall’altra la cura ammirevole per la resa visiva, cui viene affidata la stratificazione dell’opera.
Nell’incipit un piccolo branco di lupi sta meticolosamente preparando il proprio pasto: i denti tolgono peli e pelle di un cerbiatto morto per poi passare a svuotare le interiora. Minervini inquadra la scena documentaria e simbolica per un paio di minuti prima di passare al racconto di finzione, suggerendo già però che la storia avrà a che fare con la natura ferina non degli animali ma dell’uomo, che infatti viene ritratto nella guerra di Secessione. In questo contesto, l’esercito nordista ha inviato un gruppo di volontari ad andare verso Ovest, quel West selvaggio che fu colonizzato copiosamente alla fine della contesa interna tra Nord e Sud: i soldati – nel film non compare nessun personaggio femminile, definendosi I dannati un lavoro anche su un maschile belligerante – sono pionieri dei pionieri, avanguardia del western (compreso quello del cinema) e mandati, chiaramente, al macello. La violenza esplicita è altresì consegnata pressoché esclusivamente al prologo animalesco, restando sempre fuori campo o fuori fuoco altrove: il nemico è alle porte ma non si vede mai in maniera definita e il film non giunge a un climax, snodandosi invece in una ricerca sensibile fatta di volti, aridi e nevosi paesaggi, azioni quotidiane nell’attesa che scoppi l’inferno (Il deserto dei tartari è in fondo sempre dietro l’angolo). L’avamposto trova una radura in cui accamparsi e da cui muoversi per procedere ulteriormente: la prima sequenza racconta la quotidianità del gruppo con dialoghi sui fucili e le Colt, partite a poker, preghiere, metodologie di avvistamento tra le alture, raccolta di pietre contenenti quell’oro che sarà una delle ragioni della conquista delle terre dei nativi. Gli uomini, ignari, sono circondati e dopo l’adagio arrivano le pallottole (per mano di altri americani): quel che ne consegue è uno scuotimento martellante che non porterà a una grande battaglia, ma semmai a un avvertimento dopo il quale il manipolo manderà quattro soldati a esplorare lo spazio oltre i monti per capire cosa fare. Il gruppo dunque si divide (i quattro poi si divideranno ancora), spingendo alcuni “avanti” in una sorta di dispersione assoluta del collettivo e del senso. In un film di grande rarefazione, Minervini riesce a farci sentire ogni singolo elemento: il gelo dell’acqua in cui ci si lava, il rumore delle pallottole, la paura, l’angoscia dei cavalli, la tonalità dell’aria, definendosi I dannati un lavoro che fa dell’intensità sensibile la propria cifra dominante. Guardando – come in Stop the Pounding Heart – alla pittura di Frederic Ramington o al Malick de I giorni del cielo e La sottile linea rossa ma pure a Tarkovskji (e forse anche alla pittura italiana Risorgimentale), Minervini mette in relazione la solitudine dell’uomo a un paesaggio che può essere testimonianza di Dio quanto della sua totale assenza, sollevando interrogativi (quantomai attuali) sulla guerra che è sempre intestina e sulla fragilità di ognuno di fronte alla sua inaccettabile violenza. Ma ponendo anche in relazione l’uomo al lupo, visto che vedremo alcuni soldati dissezionare un bufalo: il lato ferino è connesso alla nostra stessa animalità, eppure nessuno sa davvero perché si trovi lì e alcuni cercano di fornire motivazioni con brevi dialoghi che esprimono più la solidarietà nella mancanza di significati che la ragione vera e propria di un confitto sia interno (la Guerra civile) che indecifrabile (la conquista del West).
È quindi nelle intensità pittoriche e visive, nella ritrattistica di anonimi soldati (a parte Noah e Judah Carlson) colti in atti che non diventano mai azione, che va ravvisato il valore de I dannati, un differente ma concreto “documentario di creazione”, in cui la messa in scena finzionale è indubitabile ma in cui non per questo viene meno (anzi esce potenziata) l’abilità di esprimere un vissuto possibile, tenendo lo spettatore sempre a fianco di questa piccola compagine e mostrando Minervini una sensibilità allusiva che ribalta lo sguardo con cui il regista aveva portato alla luce i propri ultimi lavori, estremamente espliciti, estremamente brutali. Un film musicale e compositivo, tanto che è interessante che sia il direttore della fotografia, Carlos Alfonso Corral, a firmare la bella e avvolgente colonna sonora: I dannati è un’opera che con grande brillantezza affronta la guerra e la sua assurdità, l’idea di Dio in relazione a una natura umana ambigua, ma in cui sta allo spettatore cogliere il cuore pulsante. Lo si potrà trovare se ci si pone in ascolto di una partitura che si sviluppa in una “presa diretta” impossibile, ma soprendentemente percepibile.
Info
I dannati sul sito di Cannes.
- Genere: drammatico, western
- Titolo originale: The Damned
- Paese/Anno: Belgio, Italia, USA | 2024
- Regia: Roberto Minervini
- Sceneggiatura: Roberto Minervini
- Fotografia: Carlos Alfonso Corral
- Montaggio: Marie-Hélène Dozo
- Interpreti: Cuyler Ballanger, Jeremiah Knupp, Noah Carlson, René W. Solomon, Tim Carlson
- Colonna sonora: Carlos Alfonso Corral
- Produzione: Michigan Films, Okta Film, Pulpa Film, Rai Cinema
- Distribuzione: Lucky Red
- Durata: 88'
- Data di uscita: 16/05/2024