Le nostre anime di notte

Le nostre anime di notte

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Tenerezze (e non solo) senili tra divi inossidabili animano Our Souls at Night di Ritesh Batra, love story con i Leoni d’Oro alla carriera Jane Fonda e Robert Redford. Fuori concorso a Venezia 2017.

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Addie Moore ha una singolare proposta da fare a Louis Waters. Sono entrambi oltre l’età della pensione e vedovi da qualche tempo. Entrambi vivono in una tranquilla città del Colorado dove la cosa migliore è che tutti conoscono tutti. E la cosa peggiore è che tutti conoscono tutti. Anche se sono vicini di casa da molto tempo, la loro conoscenza è poco più che casuale, finché un giorno Addie propone a Louis di dormire insieme, solo per farsi compagnia, per avere qualcuno con cui parlare al buio, per sentire la presenza di un’altra anima accanto a sé, per favorire il sonno. [sinossi]

C’è un potere misterioso nel pragmatismo americano, un fenomeno culturale – e in quanto tale difficile da replicare altrove – che trova le sue radici nel western, nella sua “etica dell’epos”, capace di emozionare senza ricercare per forza le lacrime. Il regista di origini indiane Ritesh Bathra (Lunchbox) maneggia con cura e precisione questa virtù del senso pratico statunitense in Le nostre anime di notte (Our Souls at Night), romance senile con protagonisti Jane Fonda e Robert Redford, proiettato fuori concorso al Festival di Venezia 2017 in occasione del Leone alla Carriera conferito ad entrambi.

Senza troppi convenevoli, tutto accade rapidamente nei primi minuti del film: due anziani dirimpettai, con qualche trauma (una figlia morta, una relazione extraconiugale) e una lunga vita alle spalle, decidono di dormire insieme, perché a una certa età le notti sono lunghe e difficili ed è decisamente preferibile non affrontarle da soli.
Non nasconde la sua adesione a ben consolidati snodi del melodramma, Le nostre anime di notte, ma proprio nel suo darli spesso per scontati, senza indugiare in autocompiacimenti, né affondare il coltello nelle “piaghe” accumulate strada facendo dai protagonisti, riesce a costituirsi come una convincente parabola sull’amore e su uno dei suoi aspetti fondamentali, la condivisione, senza trascurare poi la questione “carnale” della faccenda.

Prodotto da Netflix e indirizzato a un vasto pubblico, Le nostre anime di notte è quello che si suole chiamare un “prodotto medio”, che però sarebbe ingiusto definire “televisivo” nel senso dispregiativo che solitamente caratterizza questo appellativo. Ha i tempi giusti, avvolgenti e rallentati dei suoi personaggi, Le nostre anime di notte, che si avvale di una fotografia poco appariscente e di una regia tutta al servizio dei suoi protagonisti. Ma a tratti è proprio nel suo nascondersi dietro alle sue star, che l’autorialità discreta di Ritesh Batra emerge al meglio, portando alla luce, disseminato all’interno della narrazione, anche il valore simbolico ed extradiegetico di Redford e Fonda. Al loro quarto film insieme (dopo La caccia di Arthur Penn, A piedi nudi nel parco di Gene Saks e Il cavaliere elettrico, di Sydney Pollack, anch’esso proiettato a Venezia 2017) i due trasferiscono inevitabilmente sullo schermo anche il loro vissuto personale e l’ombra dei personaggi incarnati in passato. Per cui si ritrova, nell’anticonformismo di Addie (Fonda), che pretende che Louis (Redford) entri sempre dalla porta principale e non dal retro, il vecchio animo da contestatrice della Fonda, mentre le mille piccole espressioni facciali di Redford, le rughe così incise sul volto, riportano gli echi dei tanti western interpretati, da Corvo Rosso non avrai il mio scalpo! a Butch Cassidy a L’uomo che sussurrava ai cavalli, di cui il nostro ha firmato anche la regia.

Tratto dal romanzo omonimo di Kent Haruf, Le nostre anime di notte avrebbe potuto probabilmente prendersi maggiore cura dei personaggi di contorno, a partire dai figli dei due protagonisti. Quello di lei, incarnato da uno spaesato Matthias Schoenaerts, pare uno giuggiolone utile solo a rifilare il nipote alla madre e offrire così alla neo coppia l’illusione di una “famiglia”, ma si rivela poi anche troppo, insensatamente severo nei confronti di questa inaspettata love story della genitrice. Il personaggio della figlia di lui, poi, è una semplice apparizione, talmente fugace che la donna si ritrova a rinfacciare il rinfacciabile al padre nel giro di pochi minuti. Avrebbe inoltre meritato maggiore spazio quel controcanto inacidito degli anziani amici di Louis (tra loro troneggia un ghignante Bruce Dern), sempre pronti a spettacolare malignità sulla neo coppia dai tavoli di un diner.

Ma pazienza, Le nostre anime di notte è un prodotto ben confezionato e che riserva qualche sorpresa, a tratti assume l’andatura rallentata e incerta di Redford, non nasconde di avere nei suoi attori il suo centro vitale, la sua ragion d’essere. E dunque, proprio come i protagonisti di questa schietta storia d’amore, anche il film di Bathra non rinnega niente, sa benissimo che condividere un frammento di vita, magari anche solo per raccontarsi la propria giornata come fiaba della buonanotte, è qualcosa che consola e appaga a tutte le età.

Info
La scheda di Le nostre anime di notte sul sito della Biennale.
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