White Noise – Non ascoltate

White Noise – Non ascoltate

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Michael Keaton si trova invischiato suo malgrado in White Noise di Geoffrey Sax, maldestro horror che vorrebbe ragionare sul lutto ma finisce quasi subito per perdersi in un nonsense di situazioni che trovano poca logica perfino in uno schema soprannaturale.

Rumore bianco, omini neri

Jonathan Rivers, un architetto di successo, è rimasto vedovo dopo aver perso la moglie Linda in circostanze misteriose. Un giorno viene contattato da Raymond Price, un uomo che dichiara di aver intercettato un messaggio di Linda attraverso il fenomeno della Transcomunicazione Strumentale, il metodo paranormale di comunicazione con l’aldilà per mezzo della registrazione di onde radio e video… [sinossi]

Sembra che sia arrivato il momento di rassegnarsi: il cinema horror statunitense, o quantomeno quello maggiormente istituzionalizzato, dorme oramai un sonno profondo, se proprio non si vuole parlare di coma. Tra ripescaggi malriusciti e stantii dei film che hanno incendiato il box-office orientale (The Grudge e la coppia The RingThe Ring 2, in un’operazione di copia e incolla talmente sfacciata da potersi permettere di affidare la regia agli stessi Takashi Shimizu e Hideo Nakata – per il secondo capitolo della sua saga) e stanche riproposte dell’ideale visivo statunitense del passato, sono poche le incursioni nel genere degne di nota.
Proprio a supporto di queste motivazioni è da difendere a spada tratta un cinema come quello di Wes Craven, capace di porsi su un livello superiore di discorso, sia con la trilogia di Scream (ma anche prima, con episodi quali lo splendido Il serpente e l’arcobaleno e il divertente La casa nera) che con l’ultimo, incompreso e sottovalutato, Cursed. Cercare altre vie per la messa in scena dell’horror non sembra invece aver interessato particolarmente Niall Johnson – mediocre sceneggiatore televisivo che qualcuno ricorderà responsabile di The Big Swap, pastrocchio farraginoso e pruriginoso sui rapporti di coppia – al momento di cimentarsi con lo script di White Noise.

Il film, nonostante le pretese pseudo-scientifiche alla base, avvalorate dal riferimento agli studi sul cosiddetto EVP (acronimo che sta per Electronic Voice Phenomenon) ovvero la registrazione elettronica delle voci dei defunti (sic!), è la più classica delle ghost story con tanto di fantasma buono che cerca di dare una mano al protagonista e ombre maligne che si preoccupano solo di spargere dolore nel mondo – anche se, nel caso specifico, si accontentano della città come loro campo d’azione. Vorrebbe in realtà essere anche una riflessione sull’ossessione e sull’elaborazione del lutto, ma questo aspetto non riesce mai a salire alla ribalta, sia per una messa in scena indecisa (e la mano tutt’altro che sicura di Geoffrey Sax non risulta di certo una carta ben giocata), sia per una sceneggiatura viziata da una scrittura ambigua, incapace di creare personaggi a tutto tondo e a tratti addirittura capace di incancrenirsi sulle progressioni drammaturgiche basilari.
Perché infatti l’omicida in carne e ossa viene introdotto senza alcuna spiegazione logica? Visto il luogo in cui si trova e il mestiere che svolge come ha fatto a procurarsi l’attrezzatura di cui dispone? E come mai anche lui è ossessionato dal “white noise”? E per quale motivo i tre omini neri vanno in giro a uccidere solo le persone che sono interessate al fenomeno? E perché la moglie defunta di Michael Keaton – unico membro del cast che viene naturale salvare per la recitazione sottomessa e mai urlata, ma che dispiace veder disperso in questo mare di banalità, così come lacerava vederlo galleggiare in First Daughter di Forest Whitaker; si attende di vederlo nel ritorno sulle scene del “maggiolino tutto matto” Herbie e soprattutto in Game 6 scritto da Don DeLillo per la regia di Michael Hoffman – non lo avverte che si sta andando a ficcare in un vero e proprio alveare di pericoli mortali?

La lista dei perché potrebbe continuare (quasi) all’infinito, tra personaggi che vengono trovati morti in situazioni non certo normali – vedi Ian McNeice schiacciato dal peso di una quindicina di monitor – e su cui nessuno indaga e la totale, cieca fiducia nel soprannaturale che anima i protagonisti. Ma forse il vero problema del film non sta in questi corti circuiti logici e neanche nella grossolanità della regia e della sceneggiatura: la triste realtà è che White Noise, così come molti altri esempi del genere negli ultimi anni, non fa minimamente paura. Di più: non spaventa neanche da un punto di vista meramente sensoriale. Il lavoro sul suono è talmente prevedibile (dall’orologio che smette di battere per precipitare nel frastuono assordante delle frequenze radiofoniche fino al fruscio che anticipa l’ingresso in scena delle tre ombre del male) e già visto che quando gli esseri maligni sfrecciano alle spalle del protagonista senza che lui se ne avveda producono lo stesso effetto del passaggio in colonna verso il trentesimo giro delle vetture di un Gran Premio di Formula Uno. E la noia diventa padrona: anche perché la pretesa originalità del soggetto è facilmente smontabile.
White Noise sarà anche il primo film a parlare dell’EVP, ma lo studio di questo fenomeno è solo un pretesto e se lo si toglie non si trova poi grande differenza da Ghost. E allora è consigliabile andarsi a ripescare Frequency di Gregory Hoblit con Jim Caviziel che tramite la frequenza di un apparecchio per radioamatori si mette in contatto con suo padre Dennis Quaid prima che questo muoia in un incendio; lì tra paradossi spazio temporali e omicidi plurimi c’era anche modo di divertirsi e (pur forzatamente) commuoversi. Qui c’è solo tanto, inutile, rumore bianco.

Info
Il trailer di White Noise.
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