Push

Thriller fantascientifico adrenalinico e dal gusto un po’ retrò, Push di Paul McGuigan è un film narrativamente slabbrato, ma non privo di fascino. Messo alla guida di una vettura che non ha apparentemente bisogno di alcun freno, l’autore britannico si lancia a velocità folli in un percorso dominato da figure che fanno affiorare sprazzi di cyberpunk nipponico, retaggi di fantapolitica d’antan e tanto, tantissimo, action hongkonghese.

Urlatori, veggenti e guaritori

Nel pericoloso mondo dello spionaggio, un gruppo di persone con poteri paranormali artificialmente amplificati è in grado di muovere oggetti a distanza, prevedere il futuro, creare nuove realtà ed uccidere con la sola forza della mente. In questo scenario un giovane e una teenager devono fuggire da agenti segreti in una corsa contro il tempo che determinerà il futuro della civiltà… [sinossi]

Strano tipo di cineasta, Paul McGuigan, di quelli che non al giorno d’oggi possono essere considerati in via di estinzione: esordisce nel 1998 con un film che sembra voler rincorrere le glorie multimiliardarie di Trainspotting, senza convincere (The Acid House), si fa le ossa con un robusto gangster movie crudo e violento (Gangster No. 1) e con un thriller medioevale che guarda tanto a Umberto Eco quanto al genere (The Reckoning). A questo punto, approdato dall’altra parte dell’oceano, McGuigan mette in piedi un thriller ossessivo e romantico, Wicker Park, che essenzialmente conferma le sue doti di regista adatto alla bisogna, onesto mestierante in grado sempre di portare la barchetta in salvo in porto. Ma c’è qualcosa che si agita nelle sue creature, si ha sovente la percezione di intuizioni tutt’altro che banali lasciate a muoversi nel sottobosco: ovvero tutto ciò che deflagrerà nell’ottimo Slevin, fino ad adesso lo zenith della carriera del quarantaseienne scozzese.
Date queste premesse non erano poche le aspettative che ci spingevano verso la visione di Push, e a essere onesti non tutte riguardavano il buon McGuigan: come il suo autore, Push ha il pregio di essere un film probabilmente fuori tempo massimo. Sorta di viaggio nella fantascienza che ricorda da vicino l’approccio al genere che furoreggiò nei paesi anglosassoni nel corso degli anni ’70, Push è una storia che riporta alla mente più che i blockbuster ad alto tasso di adrenalina e di effetti speciali, un cinema maggiormente interessato alla messa in scena delle pulsioni umane.

Non è un film facile, l’ultima fatica di McGuigan, e sicuramente non è un film esente da difetti: tutt’altro, lo troviamo slabbrato, a volte confusionario da un punto di vista strettamente sinottico, fin troppo semplicistico in un finale che con ogni probabilità non ha ricevuto in dono il respiro, l’afflato epico che avrebbe meritato. Tutte falle nel sistema che riconosciamo, e che crediamo sia anche giusto sottolineare: ciononostante, risulta a nostro modesto avviso impossibile non farsi affascinare dalla straordinaria capacità tattile dell’approccio registico di McGuigan. Messo alla guida di una vettura che non ha apparentemente bisogno di alcun freno, l’autore britannico si lancia a velocità folli in un percorso dominato da figure che fanno affiorare, negli intricati meandri della mente, sprazzi di cyberpunk nipponico (alzi la mano chi non ha visto, dietro gli esperimenti psichici ai quali sono sottoposti i protagonisti di Push e nelle capacità sensoriali delle quali sono dotati, il volto dell’insuperabile Akira di Katsuhiro Otomo), retaggi di fantapolitica d’antan e tanto, tantissimo, action hongkonghese. Non è dunque un caso che il film sia interamente ambientato nella città-stato che fu inglese fino a un decennio fa, ed è proprio la scelta della location uno dei punti a favore inequivocabili della pellicola: i colori, gli spazi, il futuro tangibile e angoscioso di cui Hong Kong profuma in ogni angolo, si sposano alla perfezione con il mood imperante. Così come i volti anonimi e sofferti di un manipolo di attori (Chris Evans, una Dakota Fanning entrata nella pubertà, Camilla Belle, Djimon Hounsou e Ming-na Wen) che non avremmo mai immaginato in grado di sorprenderci in modo così positivo. Proprio per la sua struttura narrativa tutt’altro che solida, Push è un film che deve vivere sui volti dei suoi protagonisti: McGuigan corre in loro aiuto costruendo almeno due sequenze (l’attacco dei bleeder al mercato del pesce e il tentativo di Evans di uccidere Hounsou) realmente notevoli, ennesima dimostrazione della profonda essenza cinematografica che lo anima.

Perché è un film fuori tempo massimo, Push, e probabilmente andrà incontro a un sonoro tonfo commerciale – soprattutto nel nostro derelitto paese, da sempre in evidenti difficoltà quando ha a che fare con la fantapolitica – ma ha la capacità di stregare il proprio spettatore, circuendolo con una serie di malìe sanamente umorali. Pregio che sarebbe davvero ingiusto non riconoscergli. Se avete realmente voglia di confrontarvi con Push, fatevi fagocitare dal suo universo roboante e rumoroso, dalla sua umanità alla ricerca di una purezza impossibile, dalla sua vibrante carica visionaria. Se sarete in grado di agire in questo modo, uscirete dalla sala pieni come dopo una cena succulenta; altrimenti sarete le ennesime persone destinate a cozzare contro la scorza di McGuigan e del suo cinema, maledicendo lui e (chissà) anche noi che vi abbiamo consigliato la visione. Bè, sarebbe un peccato. Davvero.

Info
Il trailer di Push.
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