Akira

Germinato tra le pagine del manga Domu – Sogni di bambini, Akira è il punto di arrivo dell’animazione giapponese degli anni Settanta, delle serie televisive dei robot giganti, della messa in scena quotidiana delle città rase al suolo da mostri alieni. Ōtomo tira le fila della fastosa fantascienza pre-cyberpunk nipponica.

I figli della bomba

Neo-Tokyo, 2019. Nella città devastata dalla Terza Guerra Mondiale, regna il caos: bande di motociclisti si fronteggiano, gruppi di terroristi e di ribelli mettono la città a ferro e fuoco, sette religiose proliferano in attesa della seconda venuta del leggendario Akira… [sinossi]

Esce nelle sale per un solo giorno, come evento, una delle pietre miliari dell’animazione giapponese, della fantascienza cyberpunk, della storia del cinema: Akira di Katsuhiro Ōtomo. L’iniziativa della Nexo Digital, che nei prossimi mesi distribuirà anche il commovente Wolf Children di Mamoru Hosoda, getta sale su una ferita mai cicatrizzata: l’animazione nipponica, e non solo, è un oggetto alieno per il nostro circuito distributivo. Col tempo si è recuperato qualcosa (Miyazaki, in primis), ma sempre a fatica, per pochi giorni e/o con una diffusione a macchia di leopardo e/o con una programmazione suicida – il pomeriggio, per mamme e bimbi.
Il discorso potrebbe dilungarsi all’infinito: perché non distribuire l’avvincente Sword of the Stranger di Masahiro Andō? Perché ignorare sistematicamente il successo della serie One Piece e i relativi lungometraggi? Perché imporre ai poveri spettatori prodotti di infimo livello e al contempo snobbare sistematicamente buoni/ottimi film? Discorso valido per tanta, troppa animazione europea, asiatica e statunitense: dal sorprendente The Secret of Kells di Tomm Moore e Nora Twomey all’intera filmografia di Bill Plympton, da Alois Nebel di Tomás Lunák a Tatsumi di Eric Khoo. Meglio fermarsi qui, a questi pochi esempi di un meraviglioso universo immaginifico negato ai nostri occhi.

Torniamo a bomba. Ai figli della bomba. Al capolavoro di Ōtomo. Correva l’anno 1988, stagione fondamentale per l’animazione del Sol Levante. Tre titoli bastano e avanzano per inquadrare la portata artistica di questo Mondo Altro: Il mio vicino Totoro di Hayao Miyazaki, Una tomba per le lucciole di Isao Takahata e Akira [1]. Stupore, potenza visiva e immaginifica, poesia, politica, storia. Mondi disegnati che prendono vita e diventano eterni: la paciosa rotondità di Totoro, l’incontrollabile potenza devastatrice di Akira e Tetsuo, gli occhi belli e tragici della piccola Setsuko. Mondi con e senza la bomba, proiezioni di una generazione di artisti che ha dovuto fare i conti direttamente (Miyazaki, Takahata) o indirettamente (Ōtomo) con la guerra e con l’apocalisse.

Akira è un capolavoro. Ci si potrebbe fermare qui e lasciare spazio alla visione, a quel tutto che annichilisce lo spettatore, che lo sovrasta, rendendolo piccolo piccolo. Ōtomo condensa in poco più di due ore il suo manga fluviale, come aveva fatto Miyazaki nel 1984 con Nausicaä della Valle del vento, altro caposaldo, altra opera politica e filosofica, meravigliosa e insormontabile [2]. Questo lavoro di compressione apparentemente impossibile si traduce in un film densissimo, in un martellamento di immagini, suggestioni, snodi narrativi, sottotrame. In Akira c’è tutto: la terza guerra mondiale, una città distrutta e ricostruita (la monumentale Neo-Tokyo), la disperazione e ribellione sociale, la crisi economica, la corruzione politica, lo spettro della dittatura militare, il fanatismo religioso, la mutazione dei corpi e la fusione col metallo, la dimensione e sperimentazione extrasensoriale… Akira è l’inizio e la fine. È l’esplosione e l’implosione. Akira è Blade Runner, è William Gibson all’ennesima potenza, è Shinya Tsukamoto senza limiti di budget, è la culla di Mamoru Oshii e Satoshi Kon, è Cronenberg, è il Godzilla che è dentro ognuno di noi. Akira è la Storia che si ripete: Hiroshima e  Nagasaki, e poi Fukushima, e poi chissà.
Germinato tra le pagine del manga Domu – Sogni di bambini (1980-83), Akira è il punto di arrivo dell’animazione giapponese degli anni Settanta, delle serie televisive dei robot giganti, della messa in scena quotidiana delle città rase al suolo da mostri alieni. Ōtomo tira le fila della fastosa fantascienza pre-cyberpunk nipponica: ritroviamo la fusione carne-metallo di Tekkaman (1975), la distruzione/disperazione di Star Blazers (aka Corazzata Spaziale Yamato, 1974-75), gli esper di Mobile Suit Gundam (1979) e via discorrendo. Il film di Ōtomo è l’opera che pone fine e al tempo stesso rilancia il discorso iniziato dai vari Leiji Matsumoto e Gō Nagai, Takahata e Miyazaki, Osamu Tezuka e Yoshiyuki Tomino.

Anche dal punto di vista produttivo e visivo, Akira può essere considerato la summa, la parte per il tutto: opera colossale, costata un miliardo di yen, realizzata da circa 1.500 animatori, composta da 150.000 disegni, ha richiesto lo sforzo congiunto di Kodansha, Bandai, Toho, Tatsunoko, Tokyo Movie Shinsha… Da ogni tavola, da ogni dettaglio e in ogni movimento emerge lo sforzo artistico, tecnico e produttivo. Il rivoluzionario utilizzo della computer grafica, perfettamente integrata con le tecniche tradizionali, la lipsynch, la maniacale cura dei dettagli (le finestre dei mastodontici palazzi, ad esempio), la fluidità dei movimenti e tutto quel che segue lasciano anche oggi, a venticinque anni di distanza, sbalorditi.
Trascinati dalle sonorità tribali, dalle percussioni che si fondono con le note sintetiche, sfrecciamo velocissimi tra le strade selvagge di Neo-Tokyo, restiamo impotenti di fronte al blob apocalittico di Tetsuo, cerchiamo inutilmente di imprimere nei nostri occhi e nella nostra mente gli infiniti dettagli di un’opera che ci racconta il futuro. Il domani. Akira è un film da vedere e rivedere, da studiare, anche solo da ascoltare – la colonna sonora di Shōji Yamashiro, così ipnotica. Akira è la polizia che spara e uccide senza remore, è il crollo di un sistema, è l’eroico Kaneda, è l’inadeguatezza di Tetsuo, è la bella e rivoltosa Kei, è la vita in vitro dei bambini esper. È il messia Akira. È la bomba Akira. È Takashi che appare e scompare, lasciandoci a bocca aperta e a occhi sgranati. È un capolavoro.

Note
1.
Anno straordinario il 1988. Tra gli altri titoli della stagione, ricordiamo quantomeno Mobile Suit Gundam: Il contrattacco di Char di Yoshiyuki Tomino, Lamù: Un ragazzo, una ragazza di Satoshi Dezaki e gli OAV Patlabor e Appleseed.
2. Ōtomo inizia il manga nel 1982 e lo completa nel 1990. Miyazaki, che aveva pubblicato le prime tavole proprio nel 1982, conclude il suo fantasy post-apocalittico solo nel 1994, dieci anni dopo la trasposizione cinematografica.
Info
Akira sul sito della Bandai.
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